30 dicembre 2006

Morte di un dittatore arabo

Saddam Hussein, il despota di Bagdad, è stato impiccato stamane all'alba.

Si chiude tragicamente la storia personale e politica di un dittatore sanguinario che ha perseguitato per un trentennio i propri connazionali sciiti e curdi. Le nefandezze del satrapo irakeno sembrano inoppugnabili. E chi gestisce ora il potere, in un regime di democrazia simulata, lo ha punito secondo le regole di cui Saddam aveva fatto abuso.
Non molto ci sarebbe da aggiungere se costui fosse stato semplicemente un rais mediorientale.
Sarebbe stata un'abituale storia di una dittatura mediorientale finita male invece che con una successione familiare.
Il problema nasce dalla pericolosità cosmica che l'Occidente (l'unico che conta) ha creduto di riconoscere nel suo regime, mentre contemporaneamente ben altri nemici e di ben altro spessore facevano stragi nelle capitali del mondo.

Si leggono inevitabilmente molti commenti sulla sua condanna a morte.
Di pieno convincimento negli Stati Uniti, convinti assertori della massima pena per ogni massima colpa, ed in Inghilterra, che con loro sta condividendo l'onere della sporca guerra per liberare l'Iraq dal bathaismo ed indirizzarlo verso sistemi di democrazia rappresentativa.
Scontato, plausibile e doveroso il no delle religioni alla pena capitale.
Ipocrita e spocchioso, come noiosamente sa esserlo, il no della cosiddetta Europa. In fondo è morto un socio in affari!
Ovviamente il no in Italia è singhiozzante, universale, trasversale agli schieramenti, piagnucoloso. Indignato e gridato quello della sinistra.

E allora dal mio niente mi permetto di battere un pugno ed urlare: "non ci sto".
Proprio non ci sto, come un presidente della repubblica, ora emerito, accusato da un pentito di avere usufruito fuori sacco di duecentomilioni di monetine al mese per le attività meno eleganti del ministero dell'interno. Disse "non ci sto" e basta, e senza prove a discarico.

Io con qualche spiegazione.
Io rispetto il no dei cattolici della gerarchia e di coloro che fanno della fede una regola quotidiana di vita. Considero coerente il no dei radicali che, fatta eccezione qualche recente amnesia della Bonino, hanno denunciato come sanguinari i regimi di Cuba, Cina e paesi islamici africani.
Mi provoca il voltastomaco il no della sinistra che sulle carneficine fa il compare di Collegno dai tempi di Stalin e che, nella recente storia italiana, proprio la pena di morte ha usato per liquidare i nemici del suo popolo.
Benito Mussolini ed Aldo Moro, in contesti diversi, con colpe storiche opposte, sono la prova che la sinistra non rifugge dalla pena suprema per eliminare i simboli viventi delle ideologie nemiche.
Proprio come i vituperati americani. Perché la cultura imperialista ha colorazioni diverse, ma recita da sempre gli stessi copioni.
I figuranti che vogliono cambiare commedia in corso d'opera sono solo dei mistificatori e degli ipocriti.
La loro recita entusiasmerà il popolo delle anime belle e dei trinariciuti ma a me, che ancora sto aspettando le scuse per i gulag della Siberia, il "mi vergogno" per lo scempio di Piazza Loreto, l'abiura per i compagni che sbagliarono in Via Fani, questo grido di dolore per la morte di un dittatore fa solo schifo.

24 dicembre 2006

Ho letto Simenon

Ho rifiutato per anni di leggere un autore per un mero pregiudizio, una delle colpe che considero imperdonabili negli altri e nonostante amici sensibili me lo consigliassero vivamente.
Da alcuni mesi sto leggendo romanzi di Simenon quasi con frenesia, identificandomi nei suoi personaggi soli e quietamente disperati.
La sua prolifica produzione sembra non avere prodotto scontati effetti di banalità e ripetitività delle trame. Le vicende, siano esse ambientate nelle periferie di Parigi o nella provincia francese, hanno sempre un sapore di sorprendente novità, una preziosa scoperta di esistenze chiuse nel dolore e nella sconfitta.
Ho finito di leggere Il Clan dei Mahè.
È la storia di un perdente che insegue un chimerico obiettivo di sradicamento dal proprio contesto familiare ed ambientale, accumulando passo per passo nuove frustranti disperazioni sino al dissolvimento finale.
Romanzo bello, con una ritmica narrativa lenta ma avvincente, impreziosita dall'abituale maestria di Simenon nel disegnare compiutamente i profili psicologici di tutti i suoi personaggi, anche quelli minori, sino a comporre un armonico affresco che s'impossessa della nostra memoria.

19 dicembre 2006

Italiani brava e maleducata gente

Anni Quaranta non è defunto.
E' solo ripiegato su se stesso e riflette sull'aspetto drammatico dell'esistenza dopo essersi intrattenuto sulle comicità e gli squallori del nostro quotidiano, sulla modestia delle nostre passioni.
Ma anche nei momenti più ardui, noto che la stirpe italiana riesce a dare il peggio di se stessa.
Leggevo tempo addietro che il cellulare, prezioso strumento di civiltà e di libertà se usato con parsimoniosa correttezza, veniva sguaiatamente usato nelle scuole e squillava nei luoghi di culto, ove si va per convinzione e per rispetto di Dio e quindi del prossimo.
Non credevo che le corsie di ospedale si fossero trasformate in un posto telefonico pubblico.
E qui l'italico dà il meglio di se stesso.
Il meno sofferente prevarica la quiete del più malato urlando banalità nell'aggeggio, ad ogni ora del giorno e della notte.
Il modo d'uso "silenzioso" viene considerato un insulto perché impedisce di mettere in mostra la fantasia musicale e la perizia nell'esasperare i decibel del suono.
Il perfezionismo si tocca nell'orario visite, quando le conversazioni intorno ai letti si intrecciano con le telefonate in arrivo ed in partenza.
Una vera community dei cafoni .
Ma siamo buoni.
E' Natale.
Una festa di speranza soprattutto per coloro che ad essa si aggrappano per immaginare altri Natali come quelli della gente normale.

Buon Natale a tutti!