30 ottobre 2006

Derby amaro

Perdere un derby provoca sempre una stizza amara.
Che si abbiano 12 punti veri di vantaggio o che si faccia un campionato di preparazione alla Champions come l'attuale, la supremazia sotto il campanile vale indiscutibilmente una stagione!

Ieri sera, 29 ottobre, il Milan ha perso per la seconda volta di seguito in casa, come non gli capitava da nove anni, contro gli odiosi nerazzurri: quelli dello scudetto politico della vergogna.
Ha perso e rischiato la goleada sino al 60° giocando sui suoi standard peggiori dell'anno.
Una difesa impresentabile, con Dida tremebondo come gli capita troppo spesso nelle occasioni importanti, un Nesta fermo come un paracarro, Cafù un ex e Janku un mediocre senza personalità che solo Galliani vede campione per giustificare una delle tante topiche delle sue campagne acquisti.
Al quarto gol degli odiosi nerazzurri, segnato dal più insopportabile di tutti, Materazzi, costui si faceva espellere per un festeggiamento becero ora finalmente vietato dai regolamenti.
Sotto di tre, svillaneggiato dalla curva dei motorini, il Milan ha tirato fuori orgoglio ed attributi, giocando finalmente una partita d'attacco in verticale, occupando stabilmente le fasce, mettendo passione ed irruenza, sino a sfiorare un clamoroso pareggio nei minuti di recupero.
Ciò gli ha meritato la hola della curva epurata dal vicepresidente esecutivo, ma non cambia la sostanza di una sconfitta insopportabile.
Sono ricomparsi gli attaccanti a tabellino. Il Gila molto più solido di un Inzaghi in tilt ed in debito di considerazione con gli arbitri, Seedorf che ha dimostrato di sapere offendere con il tiro da media, se solo la panchina gli vieta di fare la foca da circo, Kakà ha confermato d'essere l'unico fuoriclasse di questa squadra.
L'attacco in trance agonistica ha supplito anche al vuoto di un centrocampo in cui Pirlo sembra sempre di più perso alla causa ed inoltre svogliato e supponente.
Dimenticavo che per 45' ha giocato Oliveira, il fuoriclasse da 44 miliardi di lire, che Galliani ha acquistato perché sponsorizzato dal fratello di Ronaldinho. Non pervenuto anche stavolta.
Stesso timing per Maldini, che a 38 anni ha dato vigore e dinamismo alla fascia di sinistra, sempre orfana del concorde brasiliano.

Adesso tappiamoci le orecchie per non ascoltare gli sfottò degli interisti e pensiamo seriamente a come aggiustare in modo dignitoso questo campionato, senza farci venire angosce da quarto posto che sembrano onestamente al di fuori della nostra portata, a causa degli otto punti di penalizzazione e dell'involuzione di una squadra che è ormai arrivata al capolinea della propria avventura in rossonero.
L'handicap non è stato alleviato dal Coni, sembra per un dictat della "soave" Melandri.
La coproduzione Galliani-Meani, con regia dell'avv. Rossi, è talmente di successo che hanno pensato di lasciarla in cartellone.
Pensiamo a non gettare alle ortiche una stagione che può servire per la ricostruzione della squadra, magari con qualche acconcio innesto al mercato di riparazione di gennaio.
Ma di ciò si occupi Berlusconi, e non il nefasto pelato.

Arrivederci al derby di ritorno ed alla Champions, se avremo fiato e gambe per andare avanti oltre il girone eliminatorio.

25 ottobre 2006

Promemoria per mio figlio

Tradotto dal politico-burocratese, la vicenda del Tfr è in questi termini.
Tu alla fine del mese rinunci ad un tot di retribuzione per accantonarla, per la tua buon'uscita alla cessazione del rapporto con l'azienda.
Sino ad oggi questi soldi se li incamerava il datore di lavoro, che iscriveva il debito in bilancio senza preoccuparsi di dotarsi della relativa copertura.
Non glielo imponeva né la deontologia contrattuale né una delle tre-quattromila leggi, leggine, decreti, norme attuative che il Parlamento italiano emana ogni anno.
Era, di fatto, un conto soci che veniva onorato se al momento dell'addio l'azienda era ancora viva e vegeta. Diversamente, passavi fra i creditori privilegiati con tutte le garanzie del caso per il liquidatore fallimentare.
In quarant'anni di vita lavorativa, mai sentito un sindacalista denunciare l'esistenza di fondi liquidazione senza copertura. Figuriamoci l'ufficio studi di Confindustria.
Silenzio anche da parte della stampa economica e dei guru della Bocconi.
Era una stranezza del sistema Italia, ma funzionava perfettamente nel silenzio omertoso di tutti.
L'unica vera garanzia era che il tuo debitore potevi guardarlo in faccia e, ultima ratio in caso d'inadempienza, rigare la Bmw del direttore del personale.
Lo stato sociale?
Si faceva vivo all'atto dell'erogazione della liquidazione tassandoti con una sontuosa aliquota.
Adesso cosa cambia?
Cambia il tuo debitore. Si chiamerà Inps.
Solo a nominarlo vengono i brividi, poiché i tuoi soldi accantonati non solo continueranno a non avere copertura ma saranno a forte rischio di prelievi per la c.i.g. della Fiat, contributi di solidarietà, prelievi patrimoniali ed altre viscate del genere.
Ma tu ti chiedi perché il sindacato non ha reagito indignato, anzi ha sottoscritto questi protocolli.
Semplice.
Con i fondi Tfr espropriati e le pensioni prossimamente riformate, ipotizzano di introdurre una contrattazione previdenziale integrativa gestita, bada bene, non da esperte società finanziarie ed assicurative, ma dai sindacati stessi con l'assistenza di Unipol e compagni, al fine di costituire masse di liquidità da portare a sostegno di qualche capitano coraggioso nel risiko dei capitali.
Quanto a quelli delle piccole aziende, continuino a sbrigarsela con i loro datori di lavoro.

Questa è una storia tutta italiana.
Italiana perché in Europa non esiste, di fatto, la liquidazione di fine rapporto ed il lavoratore gode quindi di una maggiore retribuzione.
Italiana perché una norma espropriativa di stampo leninista, dopo la caduta del muro, poteva essere concepita e realizzata solo in questa penisola mediterranea a conduzione ulivista.
E adesso?
Adesso metteranno mano alle pensioni, se i numeri gli consentiranno di governare sino all'autunno del 2007.
E le lacrime diventeranno pianto dirotto.

22 ottobre 2006

Alla fine del viaggio

Non c'è molto da commentare dopo Milan-Palermo 0 a 2.
È stato già detto tutto sul grado di sfinimento di una squadra senza riserve atletiche e senza gioco.
È stato sufficiente incontrare un avversario di buon valore ed organizzazione, che in estate ha fatto gli acquisti giusti (Simplicio non ti dice nulla Galliani?), ed è calata subito la notte.
I rossoneri hanno un attacco tatticamente incapace di segnare, perché le due punte giocano in un metro quadro e non se la passano nemmeno sotto tortura, e Tizio Oliveira non risulta pervenuto nel mondo del calcio.
Difesa e centrocampo vivono degli scampoli di vitalità di ex atleti senza entusiasmi e senza nerbo.
Poiché nella vita i belgi di Bruxelles capitano ogni cinque anni, aspettiamoci nel campionato altre magre figure e delusioni cocenti.
Se la dirigenza esistesse ancora, ne prenderebbe atto per mettere a frutto l'annata di transizione con qualche inserimento di prospettiva al mercato di gennaio e per pretendere un nuovo modulo di gioco, previo pensionamento di Ancelotti.
Se invece si continuerà a specchiarsi nella fotografia di quando si era giovani e belli, si correranno rischi anche gravissimi.
Ho abbastanza anni per ricordare il Milan di Radice che andò in Serie B convinto di giocare meglio di tutti gli altri.
Provvedere, sin che c'è tempo!

14 ottobre 2006

La palude

E' arrivato il decreto Gentiloni sul cosiddetto riordino del sistema televisivo e puntualmente è seguita la furiosa reazione di Berlusconi.
Che noia e che tristezza.
Da oltre quindici anni la politica italiana, tutta, ruota intorno a questo tema.
Da un lato gli statalisti che vorrebbero tornare alla sola Rai con qualche privata per la pornografia notturna; dall'altra Mediaset ed il suo proprietario che non intendono cedere un centimetro delle posizioni acquisite.
Ma nel frattempo sono passati i lustri!
Le battaglie di libertà combattute dal paese per un sistema televisivo più libero e concorrenziale sono passate senza lasciare traccia di cambiamento.
I gruppi editoriali del duopolio si sono omologati reciprocamente con palinsesti sempre più spogli, plebei, beceri oltre il limite della dignità.
La diretta e l'informazione si sono allineati al pensiero comune del generone romano, un po' fregnone, de sinistra veltroniana.
Il proprietario di Mediaset si è dato alla politica con un occhio sempre e solo attento alla tutela del proprio patrimonio.
E sono passati quindici anni in cui abbiamo sentito parlare solo di televisioni, duopolio e connesso conflitto d'interesse.
Mai di industria culturale.
Sentire la sinistra ancor'oggi anelare ad una Rai monocolore o Berlusconi che parla di attentato alla democrazia fa veramente pena.
Fa dispiacere constatare che la politica non abbia donato al Cavaliere una capacità di visione che sappia innalzarsi oltre Cologno Monzese, l'affollamento pubblicitario e altre bazzecole.
Non stupisce vedere confermato che il nascente Partito Democratico ed i suoi esponenti sappiano solo fare il girotondo intorno al cavallo di via Mazzini, mentre il riformismo è affidato al trio delle meraviglie Di Pietro-Mastella-Visco.
E in questa furibonda battaglia, questi titani della politica non avvertono che all'opinione pubblica, a differenza di quindici o dieci anni fa, di Rai o Mediaset e dintorni non interessa più niente.
Fatta eccezione per gli stipendiati dell'Auditel, tutti sapremmo sopravvivere a meno Mentana, Costanzo, reality e bischerate varie, ma anche a buona parte dei programmi Rai. Per par condicio.
Perché?
Perché questa televisione-spazzatura annoia e scandalizza chi ha una cultura civile o religiosa appena superiore a quella di un borgataro e per questa robaccia nessuno è disposto ad infervorarsi per più di mezz'ora.
Se poi l'iniziativa è il solito mezzuccio dei sagrestani di sinistra per indurre il Berlusca a trattare la sua uscita dalla politica, ciò aggiungerebbe disgusto a noia.
Anche perché, se non l'hanno ancora capito Prodi ed i post, con o senza Berlusconi in Italia la destra è largamente maggioritaria. A dispetto dei media omologati e presto statalizzati.

12 ottobre 2006

Alitalia requiescat in pacem

I quotidiani di questi giorni danno ampio spazio all'agonia di Alitalia dopo le intemerate del presidente della società Cimoli (più voliamo, più perdiamo) e del primo ministro Prodi, che ha baldanzosamente proclamato: datemi tre mesi e risolvo tutto.
Al primo viene da chiedere dove ha buttato i miliardi della ricapitalizzazione di due anni fa, che avrebbero dovuto fare uscire Alitalia dalla crisi; il secondo va solo interpretato.
Entro tre mesi nominerà un amico commissario straordinario (ma non andrebbe bene l'avv. Rossi?) e organizzerà una baracconata con Bruxelles per buttare un po' di miliardi nella più infernale fornace mangiasoldi del dopoguerra.
Chiudere? E' un verbo che tutta la nostra classe politica non conosce né sa coniugare.
Eppure le ragioni per portare i libri in tribunale sono così evidenti che anche un Prodi qualsiasi dovrebbe intenderle.
Alitalia è un'azienda morta nel sentito dell'utenza nazionale ed internazionale.
Chi ha avuto la sventura di usare la nostra flotta, cioè quasi tutti, ha toccato con mano cosa significhi insoddisfazione del cliente. Non è solo un problema di management, mezzi confortevoli, capitali per competere. Per Alitalia, il cliente a terra ed in volo è una cosa fastidiosa da trattare nel peggiore dei modi, con toni villani o infastiditi.
Soprattutto per questo Alitalia è finita, e con maggiore evidenza da quando le low-cost hanno percorso le rotte nazionali ed europee per meno della metà della metà del biglietto.
La risposta aziendale alla competizione è stata in questo ultimo decennio scioperi selvaggi, dichiarati, di settore, di terra e di fusoliera, occupazione degli aeroporti, degli hangar, dei pulman passeggeri.
Ultima ma doverosa considerazione.
Alitalia, con Banca Popolare di Milano, è l'unica azienda italiana dove governano, di fatto, i sindacati. Ma mentre in quella banca lo sforzo di coniugare competività e cogestione è in continuo divenire, qui questo potere si è tradotto in inaccettabili privilegi che hanno condotto allo sfascio di questi anni.
Mentre le altre flotte riducevano il personale di volo, in Alitalia, tutt'ora, assistiamo allo scandalo dell'equipaggio dei voli di Malpensa che parte da Roma il giorno prima, pernotta in albergo, lavoricchia e, riatterrato, ritorna a Roma.
La nuova frontiera della mobilità!
E allora i libri di questa azienda defunta e non più sopportabile portiamoli finalmente in Tribunale.
Il sistema paese non perderà né servizi né prestigio e continuerà a volare spendendo un po' meno.

PS: Aspettiamo con ansia la fine del viaggio terreno di Trenitalia, Poste Italiane ed altri baracconi regionali, provinciali e comunali. Dopo vedrete che le tasse si potranno ridurre senza guerre ideologiche.

10 ottobre 2006

Il campionato più bello del mondo

Nel post partita di Italia-Ucraina, Gattuso ha riconosciuto che il campionato italiano ha cessato di essere il più bello del mondo. Se n'è accorto un passionale ardente come SAR Ringhio, e ad affermare il contrario restano solo Franco Ordine ed i curvaioli di tutta Italia che di calcio non capiscono niente.
A me qualche dubbio era venuto dal 7 Aprile 2004. Cioè da quando, a La Coruna, svanì nel nulla il più bel Milan dell'ultimo decennio.
Cosa abbia determinato il più orribile delitto del nascente millennio non è dato sapere, ma è certo che da quel giorno l'unica squadra che in Italia sapeva fare calcio di classe sopraffina si è manifestata solo con rari ed intermittenti bagliori dei suoi vecchi e nuovi artisti.
Per il quotidiano, un sonnacchioso tran-tran sempre più lento ed asfittico.
E poiché il bel calcio in Italia è Milan e solo Milan, quando a Milanello girano l'interruttore sullo spento, il più bel campionato del mondo diventa una povera cosa. Se poi all'appello mancano anche gli spaccaossa di Torino, è nebbia profonda e umidità prodotta in quantità industriale dai chiagn' e fott' dell'altra riva dell'Olona.
Cosa sperare?
Che il Cavaliere si tolga lo sfizio di portarsi a Milano un Ronaldinho con la voglia, e che i Gobbi purgati tornino a dare un senso per nove mesi alla sfida.
A Moratti tornerebbe il piacere di spendere inutilmente 200 milioni in cartellini e la libidine di accendere lucini perché torni un Rossi a rimpinguare il palmares della vergogna.

01 ottobre 2006

Malinconie a San Siro

Primo giorno di ottobre.
Un fotogramma dell'autunno milanese.
Aria ferma, pioggerellina a scrosci, testa balorda e voglia di cuscino.
A San Siro, il Milan con il Siena rappresenta il suo frusto copione.
Giochicchio per linee orizzontali, divieto di tirare in porta, indolenza calcistica elevata all'ennesima potenza.
Poi i soliti dieci minuti finali alla baionetta, in cui riesce a diventare protagonista in negativo la terna arbitrale che, essendo giovane ed esordiente, deve dimostrare che non è né moggiana né al soldo del co.co.co. Meani, e riesce a dare fiato ai piagnistei dei milanisti, che non sono riusciti ancora a capacitarsi che sono rimaste solo le briciole del dolce.
In tribuna la faccia di Berlusconi, al cui fianco Galliani fa il curvaiolo con aplomb tutto brianzolo, è indicativa e nauseata. Non so se sia rimasto per vedere entrare in campo i 22 milioni del suo portafoglio e sbagliare un gol che il Balon d'Or avrebbe silurato in rete.
Alla fine, malinconica e silente incazzatura.
L'Aida, come scriveva Giuan Brera fu Carlo, era morta due anni fa ad Instanbul. Tutto il resto è una fiction cui credono solo Galliani ed il fido Meani, la nostra testa quadra di Reggiolo e Suma.
A proposito del quale. Durante la serata ci ha restituito il buonumore con uno dei più esilaranti post-partita della storia del canale. Travolto da centinaia di mail - vere - di imbufaliti supporter, è andato in deliquio accusando tutto il mondo di incompetenza e tradimento ed infine promettendo la colonna infame per l'eternità a tutti i miscredenti.
Roba da isteria adolescenziale.
Persino cipria-Lippi era vagamente costernato. Forse lo stesso Galliani, se la squalifica non gli impedisse di mettere la testa pelata negli studi di Milan Channel, avrebbe provato un lieve imbarazzo.