28 giugno 2007

Niente lacrime per lo stop a Bpm-Bper

Non si sorprendano i lettori se LiberoMercato non si unisce ai lamenti per le mancate nozze fra la Popolare di Milano e la Bper. Né alla reprimenda contro i dipendenti-soci della Bpm che hanno dato man forte ad affossarle. Le fusioni si fanno se vi è convenienza. Di mezzo ci sono i soldi (il concambio) e potere (la governance); e l'uno e l'altro pendevano a favore degli emiliani. Logica vuole che se uno paga bene, pretende anche di comandare. E alla fine la reazione della Borsa(+5,8% per Bpm, meno 0,8% per Bper) dice di più delle dietrologie sui sindacati. Se ieri, nel corso di una turbolenta seduta in cui è stato scambiato quasi il 9% del capitale, il titolo Bpm è salito fin oltre il 7,5% (mentre Bper è arrivata a perdere il 2,5%) un motivo ci sarà. La spiegazione che rimanda ad un'Opa ostile spiega poco o niente alla luce del quadro normativo vigente. La verità, che gli analisti finanziari più attenti hanno colto, è che il deal Bpm-Bper, così come congegnato nell'accordo-quadro del 20 maggio, non era granché. Passi per quel concambio 1,76 azioni Bpm contro una Bper, ampiamente sbilanciato a favore degli emiliani. Ma che dire della governance? Barocca è il complimento migliore che si può fare, dominata dall'ossessione di impedire che una parte prevalesse sull'altra: ingessata da quorum deliberativi elevatissimi, in assemblea straordinaria come in cda e nei comitati. Senza considerare la ripartizione dei poteri a livello di direzione generale, premessa di una ingovernabilità che a sua volta è l'anticamera dell'insuccesso di una fusione.
Certo, il piano industriale era un buon piano: ma alle condizioni pattuite, gli azionisti della Milano avevano ben poco da guadagnarci (i corsi borsistici dell'ultimo mese lo provano). D'altra parte, se il governatore Mario Draghi e la Vigilanza avevano espresso più d'una perplessità qualche motivo ci sarà. Ridurre il voto del consiglio di amministrazione della Bpm ad un regolamento di conti fra l'azionista di riferimento (i soci-dipendenti, la loro associazione o i sindacati che dir si voglia) e il presidente Roberto Mazzotta, è una semplificazione che non tiene conto della realtà. Nel cda di martedì sera si sono espressi contro l'accordo 11 amministratori su un totale di 19 presenti, tre erano gli astenuti e cinque i favorevoli. Di questi ultimi - a parte Mazzotta e il vicepresidente Marco Vitale -due sono stati eletti nell'ambito della lista dei dipendenti in pensione. Fra i consiglieri per così dire di provenienza esterna, uno ha votato contro, l'altro si è astenuto. E tra gli astenuti c'è stato pure Jean Jacques Tamburini, rappresentante degli alleati francesi. Tanto basta per dire che la tesi del condizionamento"bulgaro" dei sindacati non sta in piedi.
A Mazzotta va riconosciuto l'onore delle armi per l'impegno profuso ma va anche detto che, nell'ansia di chiudere l'operazione ad ogni costo, è rimasto senza esercito. Una sconfitta per il banchiere-Mosè che ha preconizzato la Superpopolare senza ottenerla. È stato ingenuo pensare che l'enfasi del salto dimensionale potesse indurre i dipendenti-soci a rinunciare a quanto conquistato in un secolo di storia. Finché potranno (cioè finché la banca avrà clienti e utili a sufficienza, e non interverranno stravolgimenti dall'alto), i dipendenti faranno al più qualche concessione, come è successo - merito anche di Mazzotta - negli ultimi cinque anni. Quando non sarà più possibile, venderanno al miglior offerente.

Semmai, questa vicenda, come quella della riforma legislativa che galleggia in Parlamento, dimostra ancora una volta che quando si parte con il piede sbagliato, pensando di aggiustare surrettiziamente le cose in corsa, si finisce per deragliare.

di Lorenzo Dilena, su LiberoMercato

Una ricostruzione puntuale ed acuta. Un invito a leggere per quelli che credono che solo il Corrierone degli onesti, avulso da interessi di qualsivoglia natura, sappia rappresentare la realtà con verità critica.

27 giugno 2007

Il futuro che verrà (segue)

Consigli per W

Va bene, come dice W., che “bisogna lanciare lo sguardo il più lontano possibile”, ma neanche tanto lontano, sennò il circondario ti porta a fondo. W. si dia un’occhiata intorno e metta mano,
al più presto, a una tipica caratteristica della sinistra italiana: il suo farsi antipatica, scassaballe, saputella. E’ una faccenda che sta tra la fisiognomica e l’ormonale: una volta arrivati al potere, chi più chi meno, prendono tutti la faccia di Visco. Allungano lo sguardo sospettoso, scrutano come scienziati un orizzonte di soli insetti, rispondono sgradevolmente come fossero chini sulle sorti del mondo. Certi cazzoni di sottosegretari, le cui funzioni sono ignote anche in famiglia (ce ne sono oltre cento, manco abbondassero gli idraulici), vagano altezzosi spacciandosi per Winston Churchill. Se il Cav. fa (e strafà) di tutto per piacere, è il caso di rispondere cercando, strategicamente, di fare di tutto per stare sui coglioni?


da Il Foglio di oggi.

Il futuro che verrà

Noi, che abbiamo letto come con Veltroni il Partito democratico potrebbe passare dal 23/25 per cento al 35/36, perché la zona che oscilla tra i Poli pesa il 14 per cento. Noi che abbiamo letto come il 23/25 di oggi sia formato dal 18/19 di elettori di Ds e Margherita, dal 2 per cento di “altri partiti” e dal 3 di indecisi o astenuti, e come il potenziale apporto di Walter potrebbe assommare un +5 di elettori della coalizione di centrosinistra che attualmente non voterebbero Margherita o Ds, un +1 della coalizione di centrodestra, un +2 di altri diessini o della Margherita stessa e un +3 di astenuti/indecisi, così da arrivare a quel +11 che sarebbe il totale potenziale dell’apporto personale di Walter al Partito democratico, che passerebbe appunto dal suddetto 23/25 al suddetto 35/36. Noi, dicevamo, non abbiamo nessuna difficoltà a riconoscere in Renato Mannheimer, l’uomo strapagato per farsi le pippe, il nostro perfetto modello di vita.

Andrea's Version, sul Foglio di oggi.

Stop alla ipotizzata Banca delle Regioni

Dopo un lungo e drammatico consiglio d'amministrazione, la maggioranza del board ha detto no alla fusione con la Popolare dell'Emilia. È l'epilogo stupefacente di una trattativa che sembrava volgere verso una conclusione positiva, cementata da modifiche statutarie suggerite da Banchitalia.
Alla stretta finale sono invece tornati in superficie tutti i variegati motivi di dissenso, fatti di volta in volta propri dalle sigle sindacali maggioritarie e dalla Cisl, che nella fase finale è stato l'autentico volano che ha cementato il fronte del dissenso.
Le ragioni di fondo del no vanno equamente ripartite fra la dilagante sfiducia verso la capacità di conduzione dell'operazione da parte del presidente Mazzotta ed il disagio per un accordo che, complessivamente, vedeva la Bpm comprimaria nella nuova società.
La responsabilità del rifiuto se la sono messa sulle spalle i gruppi di opinione storicamente maggioritari e protagonisti del consenso assembleare della cooperativa milanese.
Questa vicenda, trascinatasi per mesi, ha assunto connotazioni molto strane, sempre più avulse dai canoni tipici delle operazioni di merger.
Messo in soffitta il piano industriale, assente una due diligence che aprisse squarci di comprensibilità sull'articolazione piuttosto oscura delle partecipazione di Bper, tutto si è concentrato su un modello di governance autoreferenziale per il consiglio e su uno statuto trasparente come una deliberazione dell'Onu.
Banchitalia, di proprio, ha aggiunto una richiesta di agibilità assembleare che ha suscitato giuste ed allarmate preoccupazioni.
Con queste coordinate è stupefacente come Mazzotta, capace di una innegabile abilità manovriera, avesse in pugno la vittoria sino all'89mo!
Ora cosa succederà?
La Borsa oggi ha già dato una sua rozza risposta. Bpm torna preda e cresce quasi in doppia cifra. Bper, sebbene in un mercato secondario, perde vistosamente.
I risvolti economico-politici sono di ben altro spessore e su questi ci ripromettiamo di tornare con più tranquilla ponderazione.

18 giugno 2007

Mamma li Turchi

Al congresso storiografico di Nizza, un esimio cattedrattico di Torino ha dimostrato con ragionevole certezza che gli Etruschi provenivano dal territorio turco, precisamente dall'Anatolia.
Sono state effettuate prove del DNA su abitanti del meraviglioso paese di Murlo, ritenuto, come una navicella sopravvissuta all'Oceano del tempo, un insediamento di purissima ed intonsa origine etrusca.
Murlo è adagiato sui rilievi delle crete senesi fra Buonconvento e Montalcino, e vi si respira la quieta beatitudine dei borghi senesi. Visitarlo ed innamorarsene è un tutt'uno.
Ora questa storia delle origini turche è un pò inquietante e pone domande non prive di fascino.
Le ferocia delle genti senesi, oltre alla loro innegabile ottusità politica, è frutto dei padri fondatori o del rimescolamento razziale che tremila anni di storia hanno certamente indotto?
Passare dal capoluogo nei giorni del palio fa pensare ai feroci Saladini, ma frequentare gli stupendi abitanti di quella terra, così ricchi di secolare cultura, fa convincere che i germi della follia li abbiano instillati dei barbari nordici attratti dal paesaggio e dal clima, in epoche in cui gli extracomunitari erano figli della steppa e non maghrebini.
La notizia è però curiosa e stimolante, e potrebbe rivalutare il contributo essenziale degli asiatici alle origini della civiltà europea.
Ordunque, non esitiamo oltre nell'ammettere la moderna Turchia alla Comunità Europea. Ne hanno più titoli di tutti. Prima di Enea, sono i nostri padri!

17 giugno 2007

Ho letto Simonetta Agnello Hornby

Intrigato dalle splendide critiche all'opera prima La melunnara, sono cascato nel tam-tam pubblicitario di Boccamurata, terza fatica dell'autrice, nata a Palermo ma di cultura anglofona. Infatti descrive una Sicilia altoborghese con il tono fra l'incantato e lo schifato della zitellona isterica inglese, che dopo una settimana nell'isola suppone di avere capito le diversità etniche degli isolani, ivi comprese le loro stupefacenti attitudini sessuali.
Ho smesso, mentalmente disidratato, a pag.103 ed all'autrice ho immediatamente applicato l'etichetta di solita stronza.
Se qualcuno più resistente e paziente mi vorrà convincere di avere compiuto una nefandezza, sono pronto, per ravvedimento operoso, a riprendere da pag. 1o4.

Il ventre molle dell'Europa

La vita politica della nostra penisola ci ha riservato in questo fine settimana queste chicche.
Dichiarazione delirante di Berlusconi: il ricambio al governo si fa con un bel regicidio. Il Cav. era accusato di essere fermo a Stalin. Non è vero. E' in vorticoso movimento. Ora è a Monza nel 1901.

Dichiarazioni di D'Alema: La magistratura italiana è come un sulk libanese. Motivo? Ha applicato alle intercettazioni che lo riguardavano l'aurea legge Violante. Il segreto istruttorio vale solo per i difensori degli imputati che, se lo desiderano, possono leggersi tutto l'indispensabile sul Corriere degli Onesti e sul quotidiano dei republicones. Per gli imputati di sinistra rivolgersi a Belpietro del Giornale. Perché il velista si incazza? Chi semina vento...

Festival e sfilata degli anormali a Roma. Prodi gorgoglia che non vuole ministri che partecipino all'equivoca manifestazione. Tre di loro se ne fottono, e presenziano per comunicare il patrocinio governativo allo storico evento. Però, poiché fa caldo, non seguono il corteo anche se almeno due di loro avrebbero tutto il diritto di esserne protagonisti. Notato fra i travestiti ameba Boselli sproloquiare sulla laicità. Ma dico io!

Dini, toh chi si rivede!, forse di ritorno dal Centro America?, dichiara che se continueranno a prevalere i dictat economici della sinistra radicale, loro voteranno contro il DPEF. Loro chi? La Margherita, una parte di essa? Gianni Rivera e Lambertov? L'Italia freme in attesa della soluzione della misteriosa minaccia.

Il tesoretto? Tutti i partner governativi ne vogliono un uso diverso ed alternativo, ma qualcuno teme che lo Schioppa lo abbia fatto sparire nel frattempo.

Che ne dite? In Sud America, anche per uno solo di questi eventi, i militari avrebbero già portato a termine sabato sera un colpo di stato. Già, ma in Italia i generali li nominano i partiti...

Ho letto Berselli

L'autore politicamente mi fa venire l'orticaria. Redattore di Repubblica ed Espresso, con irrefrenabili atteggiamenti da girotondino.
Ha però una virtù innegabile. Sa fare della satira con stile educato e cognitivo.
L'assunto di questa sua opera è che la letteratura contemporanea italiana soffre di asfissia e di asservimento ai capricci degli editori.
Questa teoria, non lontana dalla realtà, si materializza in uno schema applicabile inesorabilmente ad ogni letterato. Si nasce osannati giovani promesse, ma solo in casi rarissimi il bozzolo fa fuoruscire la meravigliosa farfalla del venerato maestro. Per la moltitudine è solo questione di tempo. Seconda o terza opera che sia, ed ecco scattare la mannaia dell'etichetta definitiva: solito stronzo.
Allla terribile cartina tornasole sono passati tutti gli oracoli della cultura italiana, da Benigni a Baricco, da Fò ad Eco, sino ai maitre à penser Mieli e Ferrara.
Il giochino regge magnificamente, salvo qualche accentuazione snobistica e spruzzate di settarismo sinistrorso, però sopportabile.
Lo suggerisco a chi cerca stimoli di riflessione e vuole sfuggire alla critica finanziata dalle case editrici (titolo: Venerati maestri).

13 giugno 2007

Binari paralleli (segue)

Moralisti senza morale

C’era da immaginarselo. Di fronte alle telefonate di D’Alema e Fassino col capo di Unipol, da cui emerge un «rapporto molto intimo e del tutto improprio» per dirla col direttore di Repubblica, i vertici della Quercia hanno scelto la linea di difesa apocalittica: invitare i militanti alla vigilanza democratica e lanciare l’allarme golpe. Così sperano di farla franca e di evitare imbarazzanti spiegazioni circa l’intreccio d’affari che li vede protagonisti.Del resto gli ex comunisti si considerano i migliori, i più democratici, anzi: l’essenza stessa della democrazia. Dunque, tutto ciò che li mette in difficoltà non può che essere una manovra antidemocratica. Avendo per anni confuso lo Stato con il proprio partito, gli ex pci ritengono che qualsiasi critica nei loro confronti sia «un’aggressione che mira a indebolire lo Stato di diritto», così come hanno sostenuto ieri. La difesa, come dicevamo, era prevedibile e già vista. Quando in piena Tangentopoli girò voce che i magistrati di Milano volessero mettere il naso anche nei conti dell’allora Pds, Achille Occhetto adottò la stessa tecnica: «Se mi arriva un avviso di garanzia è un golpe». Per D’Alema e compagni l’informazione giudiziaria è democratica solo quando colpisce l’avversario politico, sia che si tratti di un dc, di un socialista o di Berlusconi. Se tocca la sinistra è eversiva. Il partito che fu di Berlinguer – il segretario che sollevò la questione morale pur sapendo che il Pci per anni aveva campato coi soldi dell’Unione Sovietica – non può ammettere di avere le mani in pasta con le speculazioni finanziarie e nemmeno può confessare di essere socio di fatto di uno scalatore borsistico. Il partito dei giudici non può neppure lontanamente concepire che proprio quei giudici che per anni ha allevato e fomentato oggi gli si rivoltino contro e chiedano ragione di curiose telefonate, ma anche di vorticosi giri di denaro che ruotano sempre intorno a un solo soggetto: Unipol, la compagnia d’assicurazione delle Coop rosse. Terrorizzati di fare la fine dei socialisti e di essere spazzati via da una nuova ondata giustizialista, i Ds provano a rompere l’isolamento politico in cui sono precipitati, ma gli alleati appaiono freddi e distanti. Non una parola dagli amici della Margherita, qualche parola ma non benevola da Antonio Di Pietro e dalla sinistra radicale. In soccorso dei vertici della Quercia è andato solo un vecchio giudice, il compagno di sempre: l’ex procuratore capo di Milano, Gerardo D’Ambrosio, oggi senatore ulivista, è giunto a evocare il Sifar, il vecchio servizio segreto degli Anni Sessanta che la sinistra identificava come fonte di ogni nefandezza. «Far uscire ora le intercettazioni», ha spiegato l’ex magistrato, prendendosela con quelli che furono suoi colleghi, «vuol dire volerle usare per la politica». Ma non è più il 1993, quando D’Ambrosio, con un colpo a sorpresa, «prosciolse» il Pds dall’accusa di aver preso tangenti attraverso Primo Greganti. Gli anni sono passati per tutti, anche per l’ex giudice. Che oggi non ha più assi nella manica in grado di mandare assolti i suoi compagni di viaggio.

Maurizio Belpietro, da Il Giornale di oggi.

Binari paralleli

“E’ uno schifo. Li abbiamo difesi troppo, questi magistrati. Ma adesso dobbiamo reagire. E saremmo in uno stato di diritto? Mah! Quello che succede è intollerabile, dopo questo si apre lo spazio a ogni forma di giustizialismo e di barbarie. Nel resto del mondo non accadono cose di questo genere. Il bello è che facciamo le conferenze sulla giustizia fuori dai confini ma dovremmo occuparci di noi, del nostro sistema, perché qui c’è una questione grande come una casa. E non dobbiamo pentirci di niente. Semmai la vicenda è grave dal punto di vista culturale. Tutto il mondo politico parla con imprenditori o uomini della finanza. E’ normale, se trovassero tutti i miei colloqui con industriali italiani ci potrebbero riempire un libro. Siamo in presenza di un circuito mediatico giudiziario illegale, vergognoso, lo ripeto, barbaro. Ma il clima contro il sistema politico è quello che è, e questo andazzo sta prendendo piede...”.
Così disse Massimo D’Alema dalla banlieue di Hammamet.


Andrea's version, da il Foglio di oggi.

05 giugno 2007

Ho letto Vitali

Capita di aprire per caso un libro di un autore sconosciuto e scoprire con emozione il riannodarsi del filo della passione che vent'anni fa mi aveva legato ad un grande autore , Piero Chiara.
Andrea Vitali, nato e vivente a Bellano, è un meraviglioso affrescatore di storie ed atmosfere lacustri. Ha la capacità rara di incatenare eventi e personaggi sul fondale di una provincia immobile in superficie ma percorsa da fremiti di vitalità e passione, vissuti con gli istinti e le timidezze della gente lombarda prealpina.
La critica (cfr. Ottaviani sul Giornale del 13 aprile 2007) considera Vitali un artigiano della penna. Quante volte ho letto lo stesso giudizio altezzoso per autori che il tempo ha consacrato di grande spessore, come il mio amato Chiara, ma anche Soldati, Cassola e persino quel genio di Guareschi, che per di più aveva la colpa di essere un dissacrante anticomunista!
E quante volte ho letto osanna per giovani promesse, posssibilmente frequentatrici di terrazze radical-chic romane , puntualmente retrocesse, come scrive Berselli, sin dalla seconda opera nell'inferno dei soliti stronzi.
Vitali è un autore vero, pragmaticamente concreto, forse senza lampi di genio (non diverrà mai un venerato maestro), ma con una capacità narrativa ed espressiva certamente pari, se non superiore, a quella di un'icona contemporanea come Camilleri.

Mi sono letto in poche settimane alcune delle sue opere in commercio con grande godimento, e le consiglio agli amici:

* Il Procuratore
* La Figlia del podestà
* Olive comprese

(tutte per i tipi di Garzanti)

03 giugno 2007

A Te che piangi i tuoi morti

Se mi ami non piangere! Se conoscessi il mistero immenso del cielo dove ora vivo; se potessi vedere e sentire quello che io sento e vedo in questi orizzonti senza fine e in questa luce che tutto investe e penetra, non piangeresti se mi ami!
Sono ormai assorbito dall'incanto di Dio, dalle sue espressioni di infinita bellezza. Le cose di un tempo sono così piccole e meschine al confronto! Mi è rimasto l'affetto per te, una tenerezza che non hai mai conosciuto! Ci siamo amati e conosciuti nel tempo: ma tutto era allora così fugace e limitato!
Io vivo nella serena e gioiosa attesa del tuo arrivo fra noi: tu pensami così; nelle tue battaglie pensa a questa meravigliosa casa; dove non esiste la morte, e dove ci disseteremo insieme, nel trasporto più intenso e più puro, alla fonte inestinguibile della gioia e dell'amore!
Non piangere più se veramente mi ami!


(S. Agostino)

Che Dio così voglia, amata Anna.