26 settembre 2007

Un bel capitano

Maldini non li deve incontrare.

Il Milan batte il Benfica senza l'apporto della curva e pareggia contro il Parma con gli ultras scatenati. Giustizia è fatta. Ancora una volta si dimostra che il discorso del pubblico, soprattutto della curva vicina alla squadra, dodicesimo uomo e altre amenità, è solo una delle tante ipocrisie, tenuta in piedi da giocatori e dirigenti, perché non possono fare altrimenti, e anche dei giornalisti perché temono per la propria incolumità. Le curve sono una tassa da pagare per tutti, è evidente. Insomma, per farla breve, se i tifosi avessero davvero un ruolo decisivo, allora le squadre turche e greche dovrebbero vincere sempre la Champions. Ci risulta escano sempre al primo turno e gli avversari manco se ne accorgono dei 50.000 scalmanati; ma forse ci sbagliamo.

È diventato un luogo comune, quello dell'aiuto del pubblico. La Roma gioca divinamente e vince in casa come in trasferta; nessuna differenza di rendimento. Così come tre anni fa perdeva sempre con Bruno Conti in panchina, nonostante i 70.000; l'incitamento era lo stesso. A proposito di ex giallorossi, l'unico italiano che non è riuscito a fare carriera come allenatore in Romania è Giuseppe Giannini, cacciato dal FC Arges, squadra retrocessa grazie a lui. Bergodi invece è sempre più amato, Zenga è tornato e Pedrazzini, che faceva il vice di Walter e poi di Hagi, si prepara di esordire in Champions contro l'Arsenal, sulla panchina dello Steaua. A proposito di Romania: là i media difendono la polizia, non gli ultras. D'altronde solo in Italia potrebbe accadere una cosa del genere, con cronisti semianalfabeti che si improvvisano sociologi e cercano di giustificare tutto e tutti.

Ma torniamo alla favola della curva che ti spinge verso la vittoria: perché se Gilardino avesse segnato negli ultimi minuti avrebbe ringraziato loro; i giornali comici, o fanzine, come preferite, avrebbero scritto che senza l'apporto dei tifosi si sarebbe rimasti sul 1-1. Invece si è rimasti per davvero sull'1-1: come la mettiamo? Semplice, 35.000 oppure 65.000 fa lo stesso. Zitti oppure rumorosi, ancor di più. Se ricordiamo bene in Champions l'Inter ha otenuto un anno tre vittorie su tre senza spettatori, mentre l'anno dopo ha vinto solo due volte.

Chi davvero ci ha delusi è Maldini. Quando abbiamo letto che giovedì i giocatori rossoneri, il capitano per primo, hanno ricevuto la delegazione dei tifosi a Milanello, ci sono cadute le braccia. Ci sono giornalisti che aspettano mesi per un'intervista con un giocatore (rossonero, giallorosso, nerazzurro, non importa), invece gli scalmanati e gli sfaccendati vengono ricevuti. Bah. Quello che non capiamo è perché capitan Maldini, oppure Galliani, non abbiano detto semplicemente "Fatte quello che vi pare, noi siamo il Milan, deve essere un onore tifare per noi e starci accanto, se non vi va state a casa". Cosa cambia per una società come il Milan avere oppure no uno striscione pro Dida e Gilardino? Perché non si mette mai in difficoltà gente che si spara e si ammazza per cento biglietti gratis?

In Italia si diceva che sono rimasti tabù soltanto due argomenti, Garibaldi ed i sindacati. Sbagliato, ce ne sono tre: il terzo sono le curve. Dove sono i giornalisti coraggiosi? O si può manifestare il coraggio solo in pizzeria con gli amici? Un noto cronista é stato picchiato dagli ultras in una caldissima piazza, dovendo cambiare città. Il suo giornale, così (finto) battagliero contro la Juve che non rinnova a Del Piero (che ha 33 anni, cosa potrà mai dare a 35?), non ha scritto una riga. Su un proprio dipendente picchiato per aver fatto il suo dovere. Cosa ci possiamo allora aspettare dai dirigenti, che devono solo regalare cento biglietti, senza rimetterci il timpano, come il giornalista? Ovviamente nulla. Avanti così, facciamoci del male.

Dominique Antognoni, su La Settimana Sportiva

25 settembre 2007

Il riformismo borbonico

I preposti al nulla.

Perfino nel nome c'è un che di surreale, di Kafkiano, oltre che di ammuffitamente burocratico: "il dirigente preposto".
E' il personaggio che, in tutte le società quotate e a proprietà pubblica, a partire dai bilanci del 2007, dovrà controfirmare i conti aziendali, assumendosene la corresponsabilità penale insieme con l'amministratore delegato e prima dei semplici consiglieri di Amministrazione.
E' il tipico "ipercorrettismo" nominalistico all'italiana, buono solo a moltiplicare i moduli da riempire e le firme da apporre ma del tutto inefficace rispetto alle finalità perseguite.
Come il "responsabile della sicurezza" istituito nel '94 dalla legge 626 non ha ridotto di un millimetro l'incidenza degli infortuni sul lavoro (che ha continuato a muoversi in linea con le medie UE) ed ha solo costretto le aziende a "chiedere un favore" a qualche dirigente più disponibile o ricattabile degli altri, così il dirigente preposto non aggiungerà un lumen alla visibilità sui bilanci societari.
Cosa si vuole che ne sappia e ne capisca il "dirigente preposto", dei conti societari, più di colui che ne porta la pagatissima responsabilità? Niente.
Quegli stessi conti che beffardamente Enrico Cuccia, uno competente, parlando un giorno con un pm, definì "tutti falsi". Ma tant'è: il dirigente non serve a niente, ma la "culla del diritto", l'Italia, si è messa all'occhiello un altro fiore dell'assurdo.


da Economy di questa settimana

23 settembre 2007

Capire e darsi una mossa

Un paese cambiato più in fretta dei suoi leader.

Una risata vi seppellirà: il vecchio tormentone è l’incubo peggiore dei politici, e Beppe Grillo lo impersona alla perfezione. Da che mondo è mondo, il potere si regge sulla tradizione, sulla legge e sul carisma, e la classe politica italiana ha dei problemi con tutti e tre. Orfana della prima Repubblica e in perenne attesa della terza, oscilla spericolatamente tra condoni e indulti, s’indigna se un terrorista, dopo 26 anni di latitanza, viene arrestato, insulta chi è stato ucciso dalle Br, chiede il trasferimento dei magistrati scomodi, caccia i finanzieri che non obbediscono
ai ministri e quando s’avvede che i cittadini non ne possono più dello "stile italiano" si traveste da Rudolph Giuliani. Ma nella New York della tolleranza zero i governatori che vanno contromano
in autostrada finiscono dentro, mica cercano di fare i furbi fingendosi parlamentari, e quelli che lo sono non dirottano le autoambulanze per andarsene a spasso.

L’impopolarità bipartisan della nostra classe politica, da cui scaturisce il fenomeno Grillo, non apparirebbe tanto maiuscola se l’Italia non fosse così clamorosamente migliore di chi la rappresenta. Quel che i politici sembrano scordare, e ciò li porta a sottovalutare le "grillate", è che gli italiani non vivono sull’Isola dei famosi ma tirano ugualmente la cinghia; senza attendersi alcun premio si sono caricati in spalla l’euro e il deficit pubblico e ora accettano di lavorare più dei loro padri "soltanto" per pesare un po’ meno sui propri figli.
Questi cittadini sanno bene che le invettive di Grillo sono di pancia e che difficilmente quel che passa per la pancia arriva alla testa, ma una sapienza antica non deve essere scambiata per
dabbenaggine. Il comico-tribuno è il catalizzatore di un pensiero fortemente critico nei confronti del sistema politico e questo orientamento preesisteva al V-Day. Grillo, grande animale da
palcoscenico, l’ha fiutato, braccato, azzannato. Enfatizzato. La vera sorpresa di questi giorni - purtroppo, tardano ad avvedersene proprio i politici - è che i trecentomila e più che applaudono Grillo e i moltissimi cittadini che, pur non amando il comico, condividono la stessa inquietudine di fondo, sono i veri protagonisti di una commedia il cui finale è tutt’altro che scritto.
Questo movimento d’opinione, infatti, non assomiglia tanto all’Uomo qualunque perché richiama piuttosto altri fenomeni tipici della stagnazione. L’odierna speranza degli italiani, diffusa quanto giustificatamente impaziente, che la politica abbia un sussulto assomiglia piuttosto a quella che proruppe nel primo referendum Segni. Oggi come allora, e dopo tante attese deluse, la sfiducia nella classe politica è alta, le invettive dei guitti altisonanti e la sordità del Palazzo preoccupante. Eppure, oggi come allora, il senso critico con cui la società contesta l’andazzo politico è degno del massimo rispetto, perché a esprimerlo è un Paese che paga ogni giorno un prezzo molto alto per coltivare la comune appartenenza a una società umana, una nazione, uno stato.
Si pone, dunque, il problema di interpretare con sapienza questo sentimento critico, ma ancora costruttivo, degli italiani senza indulgere al nichilismo dei guitti. L’ex presidente Ciampi, quando lo invita a fondare un partito, sa bene che Grillo non ha né gli strumenti né la voglia di intraprendere una simile strada. E sa che, se la sua è una risposta antisistemica, non deve necessariamente diventarlo quella di chi, applaudendolo, mostra il desiderio di dare un’anima nuova al Paese. A questi italiani guarda Napolitano quando ammonisce i politici a far meno passerella in tv e si può ben dire che il capo dello Stato invochi una politica nuova per un Paese che è cambiato più in fretta dei suoi leader. Gli italiani, infatti, non vanno contromano in autostrada.


Paolo Viana, su Avvenire di oggi

19 settembre 2007

Il paese dei Pulcinella

In questo paese allo sfascio, governato dalla peggiore coalizione del dopoguerra e con l'opposizione più farlocca della storia, a portare un raggio di speranza è arrivato un ex-comico, tale Beppe Grillo, ora blogger professionista, pseudo difensore dei diritti degli oppressi. Per non sembrare al popolo un alieno ha intitolato le sue oceaniche adunate di piazza "Vaffa.. day", indirizzando il suo perentorio invito al governo, all'eterno nemico Berlusconi, ai deputati, ai burocrati, ai nullafacenti d'Italia. Tutte genie che erano là sotto il palco ad applaudirlo freneticamente ed a chiamarlo uomo della provvidenza. E' successo dieci giorni fa e già la sinistra ne ha fatto un possibile alleato, le voci contrarie lo demonizzano ma con il timore di essere le prime vittime della sua rivoluzione. Il babà Veltroni non ha ancora detto la sua banalità, ma quando aprirà le labbra, ispirato, ci sarà sicuramente da rotolarsi per terra. Naturalmente in questa operazione di deificazione-demonizzazione nessuno si chiede da dove venga questo obeso quasi sessantenne che odia i settantenni, come abbia costruito il suo impero economico, quali ombre (e che ombre!) macchino la sua bella vita di intemerato ambientalista, di italiano puro al servizio permanente della verità e dell'onestà fiscale. Ma non disperiamo. Se fonderà un partito, se disturberà il potere e la sinistra di governo, se raccoglierà troppi voti, il suo giudice a Berlino è già pronto ad intervenire.

17 settembre 2007

Il Sindaco

Gattuso conquista la Spagna
El Pais lo intervista, ma soprattutto cancella un'etichetta: quella dell'atleta tipico del calcio italiano brutto e senza classe. Il rossonero parla a ruota libera: di se stesso, del Milan e di una gaffe sulla Regina...

MADRID (Spagna), 17 settembre 2007 - In Spagna Rino Gattuso viene costantemente citato come modello del calcio italiano: duro, ruvido, brutto da vedere, senza classe. Viene trattato male, Rino, malissimo. Come la serie A, la nostra Nazionale, i nostri club (salvo qualche eccezione per il Milan). Tifosi e commentatori locali soffrono terribilmente a veder l'Italia vincere, e se la prendono con lui, uomo-immagine di un calcio speculativo, barbaro. Dopo tanti anni di trionfi con il Milan e la Nazionale, il centrocampista viene ancora chiamato 'Gatusso', evidentemente l'invidia e il pregiudizio condizionano anche lo spelling. Ma, come nel suo stile, Gattuso si sta lentamente prendendo la rivincita: la sua tenacia, il suo persistere al fianco di giocatori stimati anche in Spagna come Kakà, Pirlo e Seedorf, stanno facendo breccia nei cuori dei puristi spagnoli. Giovedì scorso El Pais è andato a inte rvistarlo. Il colloquio è stato pubblicato oggi, con un titolo che non ha bisogno di traduzione, "Tengo dentro un animal".

LA TECNICA - Un'intervista franca, aperta, divertente, con tante domande sulle scarse qualità tecniche del giocatore calabrese, che però non si scompone. Anzi, stoppa l'avversario e rilancia: "A volte mi guardo i piedi e penso: 'Maledetti, mai che mi diate una gioia...'. Ad Ancelotti glielo dico sempre: 'Immagina se avessi i piedi buoni, non sapremmo dove mettere le coppe...'. C'è gente come Kakà che nasce fenomeno e gente come me che deve costruirsi, lavorare con passione, passione e ancora passione".

GATTUSO - "Io non sono cambiato. Il mercato fa sì che io guadagni in un mese ciò che mio padre ha guadagnato in una vita, ma l'unica differenza rispetto a quando ho cominciato è nel conto corrente bancario. La mia anima e la voglia di giocare sono rimaste identiche".

I GIOVANI E I VALORI - I ragazzi sono cambiati tantissimo. Prima a 13-14 anni il problema principale era trovarsi una fidanzata. Ora cercano solo lo sballo. C'era anche allora gente così, ma erano una minoranza. Il divertimento era giocare a calcio sulla spiaggia tutto il giorno e poi tornare la sera per vedere se si riusciva a organizzare un'altra partitella. Oggi tutto questo non esiste più, nell'Italia meridionale non c'è più una società con dei valori, non c'è rispetto".

IL MILAN - La chiave è lo spogliatoio, non ci sono grandi segreti. Quando vedi uno come Maldini che a 39 anni fa di tutto per recuperare e giocare una finale di Champions, che lavora come un matto, che sputa sangue e sudore... Solo un idiota non capirebbe che è un esempio per tutti. Seedorf ha vinto 4 Champions con tre squadre differenti, ma l'ho visto piangere d'emozione dopo la semifinale con il Manchester. Ti rendi conto che in questo club ci sono valori importanti. Il Milan ha il suo Dna, glielo ha dato Berlusconi. È una squadra che anche quando ha problemi trova le motivazioni per far bene. Ha dei codici che non si possono infrangere. All'inizio, quando facevo il furbo con arbitri o avversari, mi convocarono in sede per dirmi di controllarmi: stavo indossando la maglia del Milan e non potevo permettermi di fare casini".

L'IDEA DI FUGA - "Sì, dopo la finale di Istanbul avevo pensato di andarmene. Pensavo non ci fossero motivi per restare. È stato il momento più duro della mia carriera, però il club mi ha fatto cambiare idea".

LA SCOZIA - "Continuo a ringraziare mio padre per avermi aiutato a prendere la decisione di andare a Glasgow. Da solo non riuscivo a farlo, ma per rispetto alla mia famiglia, che guadagnava 800 euro al mese, non potevo rifiutare un contratto da 1 milione di euro. Poi lì ho imparato tante cose. Sono arrivato che conoscevo solo i cattolici e mi sono dovuto confrontare con la realtà protestante del club. Un giorno come un imbecille ho chiesto chi era la signora la cui foto adornava la parete dello spogliatoio. Tutti a ridere: era la Regina".

Da Gazzetta.it di oggi

Il caro Ivan Gennaro non è un artista del pallone alla Pirlo, che disegna magiche traettorie di 40 metri o alla Kakà, fantasista travolgente. Gliene manca la fantasia, la classe pura, lo scatto prolungato. Ma è la quintessenza del calciatore di centrocampo: duro, infaticabile, coraggioso, leale, mai brutale con gli avversari. Dove c'è pericolo, lui è lì a tamponare, a soccorrere il compagno, a fare il gioco di contenimento asfissiante. Quando si rovescia l'azione è lui ad avviarla, a cercare gli spazi per proporre un triangolo, un dai-e-vai. Quando c'è da sfondare in attacco, c'è lui dietro le prime linee a creare diversivi sulle fasce, a recuperare palloni sporchi, a rilanciare in the box.
E' un uomo di grandi valori morali. Non ha mai ferito un avversario. Spaventato sì, con la sua irruenza, la grinta da antico guerriero dell'Aspromonte.
In una squadra come il Milan di oggi, fatta di asettici professionisti, troppo educati, troppo disincantati, con l'anima pallida, è il cuore che pulsa, quello che non ci sta mai a perdere, quello che esalta e si esalta invocando l'appoggio del pubblico a muso duro.
Per un vecchio milanista deluso è la ragione ed il motivo per cui resta la voglia di alzarsi dalla poltrona e continuare ad andare sugli spalti di San Siro.
Lunga gloria a te, Ivan Gennaro!

05 settembre 2007

Ben ritrovati

Sono sbarcato a Linate ieri sera tardi ed ho ritrovato il mio contesto certamente da riordinare dopo molti giorni di assenza.
Avevo anche nostalgia di questo diario elettronico e dei pochi e cari amici che lo leggono. Ho scoperto che banzai ha intrapreso un'avventura che, ad una frettolosa prima lettura, appare fascinosa.
Ho ritrovato un antipasto di freddo del nord, la casella piena di posta pubblicitaria (che brutto segnale del degrado dei tempi!), il piazzale del parcheggio stracolmo.
Occorrerà poco per riabituarsi alla normalità.
Vengo dalla Sicilia occidentale, da giornate calde, da mari incontaminati, da sorprendenti incontri con un'umanità bella e fantasiosa. Dal cuore del Sud, nei raffronti la città terrona era frequentemente Milano.
Spero di avere il tempo di parlarne, di ripensare al nostro universo di luoghi comuni.