31 marzo 2008

Gli invincibili di Galliani

Milan 2007-2008, partite casalinghe:
- giocate: 15
- vinte: 4
- pareggiate: 7
- perse: 4
- abbonati truffati: circa 45.000.

29 marzo 2008

Grand'Italia e dintorni (4)

Ognuno ha il suo vecchio settantenne
“E’ il profilo di una campagna elettorale normale da Paese europeo: ed è un po’ avvilente che la si consideri noiosa” dice lo staff di Veltroni alla Stampa (25 marzo).
Forse è una normale campagna elettorale da Paese europeo eccezionalmente noioso.


Il mondo al contrario di Afef
“Come se fossero in grado di dare lezioni di igiene a noi di Napoli” dice Rosa Russo Jervolino al Corriere della Sera (28 marzo).
Tutta fierezza e monnezza, la Jervolino è fatta così.

di Lodovico Festa, su L'Occidentale

Sondaggi

Fra poche ore sarà vietato pubblicare sondaggi pre-elettorali e finirà questa oscena sceneggiata delle previsioni, che i molti istituti di ricerca hanno costruito usando panel di comodo a seconda del committente politico.
Ciò che nel mondo anglosassone è scienza asettica, rigorosamente testata nei decenni (e non pur priva di rischi di errore, come già si vide nelle ultime presidenziali Usa), nel Belpaese è divenuta una carnevalata, finalizzata a disinformare l'opinione pubblica.
I fondamentali della ricerca statistica (campionamento, rappresentatività socio-territoriale, analisi delle tendenze) sono nella bisaccia segreta del ricercatore, così come i metodi di rilevamento e le modalità del quesito.
Le previsioni sono così inattendibili che ci si è inventata la media delle rilevazioni, che è bestemmia scientifica, come fare media tra numero di mele e pere.
Ora lo spettacolino cala il sipario e nel gran finale spara le ultime previsioni, la cui media dice che la partita alla Camera sembra delineata a favore del PDL che, al contrario, sarà soccombente al Senato.
Verrebbe da dire: tutto secondo copione e previsione senza necessità di istituti di ricerca, tutto come il sentiment dell'opinione pubblica aveva colto dall'inizio della campagna elettorale, tutto come nella consapevolezza di PDL e PD che hanno fatto una delle campagne elettorali più ridicole ed insulse dell'Italia repubblicana.
Un voto con esito scontato, e come anticamera della grande coalizione che in un lustro avrà il terribile compito di riscrivere tutte le regole dell'ordinamento democratico, dalla Costituzione alle leggi elettorali, essendo inoltre la passerella per un ricambio profondo della classe di governo in questo paese.
Aspettiamo questo nuovo scenario senza entusiasmi e con modeste speranze che da tanto squallore riesca a nascere un ipotetico nuovo.

Poeti: Edgar Lee Masters

Constance Hately

Tu lodi il mio sacrificio, Spoon River,
perché allevai Irene e Mary,
orfane di mia sorella!
E biasimi Irene e Mary
perché mi disprezzarono!
Ma non lodare il mio sacrificio,
e non censurare il loro disprezzo;
io le allevai, ebbi cura di loro, è vero!
ma avvelenai questi benefici
col costante rinfaccio della loro dipendenza.


Knowlt Hoheimer

Io fui il primo frutto della battaglia di Missionary Ridge.
Quando sentii la pallottola entrarmi nel cuore
mi augurai di essere rimasto a casa e finito in prigione
per quel furto dei porci di Curl Trenary,
invece di fuggire e arruolarmi.
Mille volte meglio il penitenziario
che avere addosso questa statua di marmo alata,
e il piedistallo di granito
con le parole "Pro Patria".
Tanto, che vogliono dire?


da Spoon River Anthology
(traduzione a cura di Fernanda Pivano)

25 marzo 2008

Promemoria per la BCE da Bob Kennedy

Il 18 Marzo del 1968 Robert Kennedy pronunciava, presso l'università del Kansas, un discorso nel quale evidenziava - tra l'altro - l'inadeguatezza del PIL come indicatore del benessere delle nazioni economicamente sviluppate. Tre mesi dopo veniva ucciso durante la sua campagna elettorale, che lo avrebbe probabilmente portato a divenire Presidente degli Stati Uniti d'America.

Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell'ammassare senza fine beni terreni.
Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell'indice Dow-Jones, nè i successi del paese sulla base del Prodotto Interno Lordo.
Il PIL comprende anche l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.
Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.
Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l'intelligenza del nostro dibattere o l'onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell'equità nei rapporti fra di noi.
Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.
Può dirci tutto sull'America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani.


Robert Kennedy

20 marzo 2008

Santa Pasqua

Concediamoci una pausa per meditare sulla Passione di Cristo ed anche per prenderci qualche giorno di vacanza.
A tutti gli Amici, un cordiale ed affettuoso arrivederci a presto.

19 marzo 2008

Il ventennio di Geronzi

Se Cesare Geronzi non avesse fatto carriera, diventando da dominus della finanza romana e calcistica del centro sud a occupante di una delle poltrone più importanti d'Italia (presidente di Mediobanca), la Roma non sarebbe in vendita ma si sarebbe trovato qualche finanziamento-magheggio in attesa di soci di osservanza geronziana piuttosto che del cattivo americano (variante giornalistica: il mafioso russo, alla Ramenko) di turno. Di sicuro i media sportivi non hanno mai parlato abbastanza di quello che è stato l'uomo più potente del calcio italiano negli ultimi venti anni: più di Berlusconi e Moratti, che con vari gradi di pulizia (ma comunque con soldi loro) hanno sempre lavorato solo per le rispettive società, più dei vari Cragnotti e Tanzi, da lui sostenuti anche nelle imprese più folli, più di Franco Carraro, nel corso degli anni solo spostato di casella, da una federazione ad una banca, addirittura più dell'editorialista cattolico (in attesa dei pezzi di Rosa & Olindo sulle questioni condominiali) Luciano Moggi che è sempre stato un suo uomo, ben prima della Gea dei figli di papà (Moggi e Geronzi, fra gli altri). Una buona occasione per analizzare il geronzismo potrebbe essere il procedimento penale per fallimento del Perugia. Durante la seconda udienza è infatti emerso che Geronzi è indagato per false dichiarazioni al pubblico ministero. A sua volta Luciano Gaucci è accusato di diffamazione nei confronti dello stesso Geronzi, della moglie e della figlia Chiara (l'ex socia Gea, attualmente giornalista del Tg5, covo di 'figli di' degno di un ospedale pubblico italiano). Vale però la pena ricordare, al di là dei tecnicismi del processo, uno degli inizi 'sportivi' del tutto: cioé la denuncia dell'ex allenatore Arcadio Spinozzi, secondo cui la vendita di Nakata alla Roma per 40 miliardi servì solo a ripianare il debito con la Banca di Roma piuttosto che a soddisfare i tanti altri creditori del Perugia, fra cui Spinozzi stesso. La cosa interessante è il pegno del 99% delle azioni del Perugia dato a Capitalia a garanzia del credito: mettendo insieme tante cose, pensando alla Moggi League dei direttori sportivi forforosi e a tanto altro, viene in mente quel Perugia-Juventus 1 a 0 ed a come la società bianconera accettò il verdetto di una partita clamorosamente irregolare.

di Stefano Olivari, su Indiscreto

17 marzo 2008

L'ambasciatore d'Israele ha capito d'Alema

Ci sono dichiarazioni che vale la pena riportare per intero: "Chi ci invita ad aprire trattative con Hamas - ha detto l’ambasciatore d’Israele in Italia, Gideon Meir all'Ansa - in effetti ci invita a negoziare sulle misure della nostra bara e sul numero dei fiori da mettere nella corona".
"Fino a quando Hamas non cambierà le sue posizioni e non accetterà le condizioni della comunità internazionale, chi invita ad un dialogo con quest'organizzazione terroristica in pratica blocca il negoziato tra Israele e Abu Mazen. Il fatto che il leader di quest'organizzazione terroristica si congratuli per queste posizioni non depone a favore di chi le sostiene", ha aggiunto il diplomatico israeliano, riferendosi alle parole di "apprezzamento" espresse dal leader di Hamas, Ismail Haniyeh, in merito alle dichiarazioni del ministro degli Esteri italiano.
"La pace - ha proseguito Meir - si fa sì con il nemico, ma con un nemico che desidera la pace e la convivenza dell'uno accanto all'altro. La posizione di Hamas è nota e non è cambiata. Non sono disposti a riconoscere il diritto di Israele ad esistere e non sono neanche disposti a parlarci. I loro leader continuano ad invocare la distruzione dello Stato di Israele. Gli inviti per un cessate il fuoco sono solo una fase del piano per completare il sogno di Hamas di distruggere lo Stato di Israele e di fondare uno Stato religioso fondamentalista musulmano tra il fiume Giordano e il Mediterraneo".
"E' un peccato - ha chiosato il diplomatico israeliano - che durante il giorno di lutto per gli otto ragazzi che sono stati uccisi nella scuola rabbinica in Gerusalemme c'è chi invita ad un negoziato con barbari e assassini".
L'ambasciatore israeliano ha già detto tutto il necessario, forse lasciando di stucco tutti quelli che avevano tirato un sospiro di sollievo per la partenza del predecessore, Ehud Gol, uno che non le mandava a dire.
Meir ha avuto bisogno di qualche tempo per ambientarsi e capire la situazione italiana. Ma ora ha dimostrato di averla capita perfettamente e la descrive in modo vivido: oggi l'Italia ha un ministro degli Esteri che tratta Israele come un impresario di pompe funebri con la salma del defunto.
L'unica cosa che resta inspiegabile è che molti ebrei italiani inorridiscano per la candidatura di Fiamma Nirenstein o protestino per quella di Ciarrapico nel centro-destra, ma si sentano perfettamente a posto con la coscienza votando D'Alema o il suo partito.

da l'Occidentale del 13.03.08



Ho riportato questo stralcio di agenzia, ovviamente sottaciuto dalla grande stampa indipendente, ed il susseguente commento perché si presta a due breve considerazioni.
L'una, di natura contingente, attiene a questa mediocrissima campagna elettorale in cui i partiti candidati vincitori recitano illusionistici copioni ed evitano accuratamente di prendere posizione sui grandi temi politici. Berlusconi ripete antiche formule, liturgiche invettive e puntuali smentite il giorno dopo, esattamente come da dieci anni a questa parte. Veltroni, ammantato di penne e piume stregonesche, distribuisce sul tavolino vetrini colorati e parla di una paese che non c'è e non ci sarà mai perché devastato dalla cura di governo della sua parte politica. Intanto il paese non ne può più, è nauseato della commedia e voterà secondo pelle, consapevole di adempiere ad uno stanco ed inutile rituale.
Diversa considerazione, anche perché terribilmente drammatico, merita il problema del Medio-Oriente.
La personale scelta di civiltà di stare dalla parte di Israele e di auspicare il buon esito delle trattative di pace, o tregua duratura che sia, con Abu Mazen, sono puntualmente contraddette dal riaccendersi della violenza bellica in una catena di provocazioni-risposte esemplari che trascina senza fine questo conflitto.
Mi pare chiaro che sinora hanno vinto i falchi dei due schieramenti, gli intransigenti militari della stella di David ed i terroristi palestinesi finanziati dai governi arabi ed integralisti che hanno bisogno di mantenere destabilizzato questo scacchiere del Mediterraneo.
Eppure una pace diffidente è possibile, se è vero che da anni le armi e le provocazioni tacciono fra Egitto ed Israele che si sono combattute due guerre totali e disastrose.
È necessario che la politica internazionale sia messaggera di pace, come sembra stia facendo da qualche anno a dispetto di qualche ballerina di terza fila, indegnamente promossa da Prodi a ministro degli Esteri di questa povera Italia, che scherza ancora, come a Villa Giulia nel '68, con le bottiglie incendiarie lungo il muro di cinta delle polveriere.

15 marzo 2008

Hanno scritto (3)

Les fous sont étonnants dans leur moments lucides.

Casimir Delavigne

Poeti: Eugenio Montale

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

14 marzo 2008

Grand'Italia e dintorni (3)

“Stiamo riconquistando un’immagine competitiva” dice Romano Prodi alla Stampa (14 marzo). È il dramma di quelli che credono di giocare a tressette ciapanò (in cui vince chi prende meno punti) mentre tutti stanno giocando al tressette normale.

“La Confindustria, con furbizia, punta a abbassare il salario della maggioranza dei lavoratori” dice Guglielmo Epifani alla Repubblica (14 marzo). Invece la Cgil, con la sua oculata strategia di lotte, è riuscita ad abbassare il salario proprio di tutti i lavoratori.

“Laddove si manifestino convergenze sul programma, non escludiamo collaborazioni con nessuno” dice Massimo D’Alema al Riformista (14 marzo). No, questa volta non si rivolge ad Hamas bensì all’Udc.

“Meglio essere pessimisti che stupidi” dice Alessandro Profumo al Corriere della Sera (14 marzo). Sì, si sa: il pessimismo dell’intelligenza, l’ottimismo della volontà. Il dramma è che ci sono anche i pessimisti stupidi.

Lodovico Festa

Alitalia

Se anche Air France ha paura dei sindacati un motivo c'è.

Nonostante l’offerta vincolante di Ar France per comprare Alitalia sia prevista per domani, il ministro Bianchi ha detto di ritenere “cosa saggia” che si aspetti il prossimo governo per procedere.
La ragione di tale “saggezza” va ricercata nei “vincoli” posti da Air France all’acquisto. La necessaria ristrutturazione dell’azienda non piace ai sindacati, ed è normale che il compratore voglia la garanzia di poter procedere, una volta acquisita la compagnia, a rimetterla in ordine.
L’allergia all’opzione Air France di buona parte della classe politica (e di non pochi di quelli che saranno presumibilmente al governo), assieme con la nota facilità di mobilitazione dei sindacati del ramo, lasciano presagire che il treno della privatizzazione potrebbe essere perso. Con soli due esiti possibili: o il fallimento della compagnia, o qualche giochetto improbabile e vischioso per salvarla dal patatrac.
La vicenda Alitalia dovrebbe insegnare invece due cose, soprattutto al centro-destra. La prima è che c’è un solo modo per evitare che altri privatizzino poi male: privatizzare prima bene. Se in cinque anni di berlusconismo non fosse girato il carillon del “patriottismo economico” (un Paese importante deve avere un vettore col suo vessillo nazionale!), si sarebbe potuta vendere Alitalia attraverso una gara più trasparente, e soprattutto il contribuente non avrebbe perso tanto tempo e tanto denaro.
La seconda è che il potere dei sindacati in questo Paese resta fortissimo. L’Italia, non avendo avuto una Thatcher, non ha avuto neanche una vertenza coi suoi “minatori”: e i risultati si vedono. Da noi il governo non riesce a piegare una corporazione chiassosa ma numericamente esigua come quella degli “operai del traffico”, i tassinari, figurarsi se riesce a dare un giro di vite alle sigle dei dipendenti Alitalia.
Ma chi mai comprerebbe un’impresa certo che qualsiasi tentativo di rimetterla a nuovo costerà reputazione, lacrime e sangue, visto che i lavoratori cercheranno di stoppare ogni tentativo di razionalizzazione del personale?
E’ vero che i liberisti rischiano di passare per campioni del licenziamento facile, personaggini con la bava alla bocca ogni volta che ad alcuni (agli altri) si consegna il foglio di via. E’ un po’ la caricatura che se ne fa anche dibattendo il saggio di Giulio Tremonti, “La paura e la speranza”.
Quelli che scoperchiano le frontiere, aprendo possibilità prima inimmaginabili al grosso del pianeta, vengono spacciati per consapevoli affamatori dei propri vicini di casa. Quando invece le libere organizzazioni dei lavori, se libere, possono rivestire un ruolo importante in una prospettiva liberista: dove invece non ce l’ha la pretestuosa e radicale dissociazione degli interessi degli impiegati da quelli dell’imprenditore, come se l’impresa non fosse la barca su cui stanno gli uni e l'altro. E come se i diktat sindacali producessero solo benefici nell’immediato, e non un conto salato da pagare: nel caso di Alitalia, il fallimento.
E’ chiaro che, alle obiezioni “solidaristiche” alle liberalizzazioni, può sembrare assurdo replicare che un’economia di mercato si sa adattare, e pertanto la sua più completa liberalizzazione e liberazione dalla presa delle corporazioni nel lungo periodo va a vantaggio anche di chi oggi ne esce apparentemente perdente. Sarà ottimismo, ma non è immotivato.
L’alternativa è, come insegna il caso Alitalia, la mera preservazione dell'esistente. Un tempo presente in cui abbiamo tutti i difetti che gli anti-liberalizzatori ascrivono a liberalizzazioni ancora non fatte, e in più la sistematica depressione delle forze vive di questo Paese.
Siamo sicuri che il cambiamento sia necessariamente verso il peggio?
Alberto Mingardi, su l'Occidentale

13 marzo 2008

Cent'anni di avanspettacolo

Annunciando la fine della sua avventura interista in conferenza stampa, Roberto Mancini ha sorpreso i talebani del morattismo, ancora con il cervello pieno di interviste del centenario, libri di Oliviero Toscani (il cui figlio ha casualmente prodotto un film sulla storia nerazzurra), documentari di Salvatores (la cui assistente è una delle figlie di Moratti), celebrazioni di un'era poco credibile in ogni caso: lo sporco duopolio Galliani-Moggi, con intermezzo geronziano, ha reso spazzatura dodici anni di albi d'oro, ma non è detto che chi è arrivato dietro fosse più forte o più meritevole. Insomma, Moratti è rimasto Moratti. Per avere molte certezze bisogna essere molto tifosi, ed i tifosi del morattismo si erano così affezionati alle belle sconfitte, alle immagini in bianco e nero ed ai mezzi giocatori da non concepire l'arrivo sulla loro panchina di un vincente come Roberto Mancini. Vincente non nel senso becero della bacheca, secondo cui Trapattoni varrebbe cento Zeman, ma nel senso di provare a vincere. Che, come si è visto con il Liverpool ed in poche altre occasioni, non significa riuscirci: a volte c'è chi è più forte, chi nel momento giusto sa essere più forte, chi è bravo nello sfruttare le tue mancanze ed i tuoi sbagli (e Mancini sia con il Valencia che con il Liverpool ne ha fatti: peggio l'insistenza su Stankovic, con Jimenez trascurato, che la scelta di un Burdisso al quale per mancanza di fiducia i compagni non passano la palla quando si sovrappone). Ci sarà tempo e modo per tornare su quello che ha significato Mancini per l'Inter, forse anche prima dei due mesi e mezzo da lui ipotizzati e che ieri sera Moratti ha ipotizzato non essere gli ultimi della sua vita interista. E' invece evidente che si tratti solo di una tregua, per rimanere attaccati ad uno scudetto che prima di Mancini sembrava un traguardo pazzesco e che adesso sembra quasi un premio di consolazione. Solo la rimonta della Roma ha fatto cambiare idea riguardo alla malsana idea del traghettatore: l'emergente Mihajlovic, al presidente molto più caro di Mancini, l'autocandidato Zenga e via peggiorando. Di sicuro una buona parte del mondo Inter si merita allenatori che dicano che Recoba è una grande risorsa, Adriano uno attaccato alla maglia e Coco un fenomeno incompreso. Mourinho non fa parte di questa razza, il più diplomatico Benitez forse sì. 2. L'unica cosa sicura è che Moratti, ormai da mesi invidioso del carisma del suo ex idolo e che prende come pugnalate espressioni tipo 'L'Inter di Mancini', ha preso malissimo il fatto di essere stato mediticamente scavalcato anche martedì sera. Tanto che nell'incontro avvenuto alla Saras, secondo quanto fatto trapelare da alcuni cortigiani (non necessariamente la verità), il petroliere avrebbe usato nei confronti del tecnico toni durissimi, mai adoperati nemmeno nei confronti di farabutti del passato che lavoravano per altre società facendogli strapagare cariatidi e svendere giocatori validi. Mancini ovviamente non si è scusato (di cosa poi?), come invece si dedurrebbe dalle sue stesse dichiarazioni ufficiali, ma ha preso e portato a casa: meglio chiudere con uno scudetto sofferto e le dimissioni che con un esonero. Traghettatore o non traghettatore, annunciando personalmente la fine della propria era l'allenatore è riuscito nella più facile delle sue imprese interiste: mettere a nudo la pochezza di una società e di un'ambiente che si erano illusi di avere fatto un salto di qualità. Con vari effetti collaterali. Primo: ha evitato di essere messo quotidianamente sulla graticola da Moratti nella quotidiana esternazione sotto gli uffici della Saras, come capitato a tutti, ma proprio tutti i suoi predecessori, da Ottavio Bianchi a Zaccheroni. Secondo: se Moratti non lo caccerà prima, come è ancora possibile, Mancini avrà ottenuto da quella parte di squadra che rema dalla sua parte una dedizione totale, decisiva per resistere al ritorno della Roma. E pazienza per il dirigente in pectore Figo, che per amore della maglia ha rinunciato agli Emirati Arabi, per il declinante Materazzi, l'idolo della Gazzetta Toldo o il presuntuoso Vieira: sei punti, anzi sette visti gli scontri diretti, su una squadra che penserà anche alla Champions League li si potranno mantenere anche con Pelé e Balotelli. Terzo: ha permesso a giornali e tivù di rimpiere spazi con le reazioni livorose dei suoi antipatizzanti, i tromboni del 'Mancini non ha fatto la gavetta'. Mentre Ancelotti, Van Basten, Rijkaard hanno iniziato dalla squadra del condominio...Da quella brava persona di Moggi, che aveva capito tutto da tempo (è pronto per Berlusconi, basta che gli tolgano qualche anno di squalifica) a Gino e Michele (!), tutti a parlare di gesto inopportuno ed a prendere le parti di Moratti dimenticando chi metteva in campo squadre orrende pur potendo contare sul miglior Ronaldo o sul miglior Vieri. Ma fra poco partirà comunque la restaurazione: dentro tutti quelli simpatici, fuori Mancini. Che non si attaccherà al contratto con scadenza 2011, nonostante al mondo solo Juande Ramos guadagni più di lui: al di là di ipotesi e scambi di telefonate non ha niente in mano, a parte la certezza di non poter più allenare in Italia a questo livello. Il moggismo sopravvive a Moggi e si trova benissimo con Moratti ed i baciamaglie a lui devoti

Stefano Olivieri, su la Settimana Sportiva

12 marzo 2008

Cent'anni di patacche

Dopo tutte le soddisfazioni che ci hanno regalato negli ultimi quarant'anni, gli onestoni hanno fatto un tuffo in Europa e sono immediatamente annegati nel porto di Liverpool.
A fine partita psicodramma, con l'annuncio di Ciuffettino che a fine anno lascerà l'Inter.
Dentone, dopo la bevuta di sabato notte con babbione Celentano, ha perso la parola.
Dovevano segnare 15 gol ieri sera, ne hanno fatti zero in 180 minuti.
Grazie per sempre.
Non ci fate mancare mai niente.

09 marzo 2008

Il rigore dei cent'anni

La vittoria interista nel giorno dell'anniversario con la modesta Reggina è stata spianata da un rigore fantasma fischiato ad inizio partita dall'arbitro Brighi, pupillo di Collina.
Ora è più comprensibile chi sia il ragazzo della via Gluck, cantato in piazza sul palco dal duo di vecchi babbioni Celentano-Moratti.

08 marzo 2008

Il paradosso di Tremonti

Questione dell'aborto a parte, quella innescata da Giulio Tremonti su protezionismo e globalizzazione, con le reazioni polemiche che ha suscitato, è, almeno fino ad ora, l'unica discussione politico- culturale degna di questo nome della campagna elettorale. Investe un tema su cui l'intero Occidente è diviso e, plausibilmente, si dividerà ancor più nei prossimi anni. Una divisione che, per giunta, è impossibile ricondurre alla logora distinzione destra-sinistra. Si pensi, ad esempio, al fatto che il protezionismo è una delle bandiere del candidato alla nomination democratica Barack Obama.
Tremonti, armato dell'intelligenza e dell'anticonformismo che tutti gli riconoscono, ha rotto lo schema classico che vede (dall'epoca reaganiana e thatcheriana in poi) i liberal- conservatori combinare anti-proibizionismo in economia e tradizionalismo nelle questioni etiche. Riprendendo temi che aveva già sollevato in passato e a cui ha dato veste più sistematica nel suo ultimo libro, Tremonti ripropone l'idea della necessità di una dura difesa europea, e occidentale, dalla concorrenza asiatica. Nel quadro di una rivolta, anche morale, contro la rinuncia della politica a guidare il mercato. Sarebbe facile (ma sbagliato) dire che in questo modo i «no-global», coloro che combattono il mercato globale, hanno trovato un campione, inaspettato ma anche molto più preparato di quelli che si erano scelti fino ad oggi. Sarebbe sbagliato perché Tremonti non è certo, a differenza dei no-global, un avversario del capitalismo e della libera impresa. Ciò che propone è una protezione del capitalismo occidentale dal dumping sociale, ossia dall'aggressione economica portata da Paesi nei quali le condizioni politiche garantiscono bassi salari e vantaggi competitivi. Una protezione che, nella visione di Tremonti, spetta agli statisti, a una politica di nuovo consapevole del proprio ruolo di comando, assicurare.
Non c'è dubbio che una posizione come quella di Tremonti sia fatta per dividere trasversalmente gli schieramenti. Contrastata dai liberali del centrodestra (ben rappresentati da economisti come Renato Brunetta o Antonio Martino) può trovare orecchie attente nel sindacalismo, Cgil compresa. Può attrarre quella parte del ceto medio, per esempio il mondo artigianale, estraneo ai processi di internazionalizzazione dell'economia, ma può anche arrivare a spiazzare e imbarazzare la sinistra estrema .
Non è certo l'unico, né il primo, Tremonti, a mettere in guardia contro la cosiddetta «faccia oscura della globalizzazione». In Occidente lo hanno già fatto molti altri prima di lui. Ma c'è una differenza. Tremonti occupa un ruolo politico di primissimo piano all'interno di uno schieramento liberal-conservatore e, se le elezioni daranno la vittoria al Popolo della libertà, sarà di nuovo alla guida dell'economia italiana. Ha ragione Alberto Mingardi quando, sul Riformista, osserva che Tremonti sembra proporre l'archiviazione del reaganismo, sinonimo (più nell'immaginario che nella realtà) di liberalismo economico senza vincoli, e il ritorno a forme di conservatorismo «sociale» come quello che fu incarnato in Europa dal generale De Gaulle.
Come Francesco Giavazzi (su questo giornale), come Renato Brunetta, come Antonio Polito ( Il Riformista), come Fabrizio Onida ( Il Sole 24 ore), anche chi scrive pensa che la strada indicata da Tremonti non sia quella giusta, e che la concorrenza, anche quella drogata dei colossi asiatici, possa essere affrontata solo con riforme liberalizzatrici e con la lotta contro l'oppressione burocratico-statale dell'economia. E non mi sembra che questo sarebbe un compito indegno, o subalterno, da proporre alla politica. Per esempio, piuttosto che la creazione di istituti di credito, se non pubblici, comunque guidati dallo Stato, non servirebbe di più al nostro Mezzogiorno, come ha proposto l'Istituto Bruno Leoni, la sua trasformazione in una no taxation area per le imprese disposte ad investirvi?
Pur non condividendo, riconosco tuttavia che quella di Tremonti è una posizione rispettabile e seria. E' quello, comunque, uno dei più importanti temi con cui gli occidentali dovranno confrontarsi nei prossimi anni. Nonostante il ruolo politico di Tremonti, tuttavia, non credo che, in caso di vittoria del centrodestra, la sua posizione culturale possa tradursi in immediata azione politica. Non solo perché nel centrodestra sono in molti a pensarla diversamente da lui. Ma anche, o soprattutto, perché chi avrà responsabilità di indirizzo economico nei prossimi anni sarà inevitabilmente «assalito dalla realtà», dovrà fare i conti, prima di ogni altra cosa, con la necessità, comunque, di liberalizzare l'economia, colpire le rendite politiche annidate al centro e alla periferia, fare insomma tutte quelle cose che piacciono ai liberali, a quelli che pensano che il mercato, meglio senza frontiere, non sia solo il mezzo più efficiente per creare e distribuire ricchezza ma sia anche garanzia di libertà (per chi ce l'ha) e di emancipazione (per chi vi aspira).
Angelo Panebianco, sul Corriere


Le posizioni ideologiche di Tremonti non sono mai banali ed immeditate. Se un campione del liberismo senza barriere elebora una ricetta economica protezionistica le ragioni vi sono. È agli occhi di tutti l'insostenibilità della concorrenza asiatica costruita su costi bassissimi e disprezzo per le regole ecologiche anche elementari. I nostri mercati potranno resistere rifugiandosi nelle nicchie di prodotto o cambiando radicalmente le regole della convivenza sociale nel mondo Occidentale.
Tema affascinante e non eludibile.
Piacerebbe un ampio dibattito fra i frequentatori del blog, mentre daremo conto dei contributi degli economisti che vorranno misurarsi su questa tesi tremontiana.

Poeti: Trilussa

Per cui....

Er solleone abbrucia la campagna,
la Cecala rifrigge la canzone
e er Grillo scocciatore l'accompagna.
- È la solita lagna! -
dico fra me: ma poi
penso che pure noi,
chi più chi meno, semo tutti quanti
sonatori ambulanti.
Perché ciavemo tutti in fonno ar core
la cantilena d'un ricordo antico
lasciato da una gioja o da un dolore.
Io, quella mia, me la risento spesso:
ve la potrei ridì..... ma nu' la dico.
Nun faccio er cantastorie de me stesso.

Inter, duecento di questi pacchi

Altro che odiarli. Io li amo gli indossatori di scudetti altrui e i formidabili vincitori di tornei aziendali Tim. Sono circa duecento i motivi del mio amore sconfinato e ammirato che a un certo punto è diventato irresistibile quando Massimo Moratti è diventato presidente della seconda squadra di Milano. In dodici anni e mezzo non hanno vinto nulla di rilevante e si sono sinceramente convinti che la colpa sia stata di una banda di truffatori. No, non si riferiscono a chi ha falsificato passaporti e ammesso la colpa in sede penale. Nemmeno a chi ha ricettato patenti false e messo sotto controllo mezza serie A. No, neanche a chi ha messo a bilancio la vendita fittizia del proprio marchio. Non a chi ha gonfiato i bilanci. Né a chi non si sarebbe potuto iscrivere al campionato se fossero state rispettate le regole valide per gli altri. Io li amo di un amore eterno perché Moratti ha detto che ogni tanto va a leggersi i nomi della gran bella squadra che ha costruito negli anni (quella senza Ibra e con Recoba, senza Viera e con Vampeta, per capirci) e capisce che senza la banda di truffatori avrebbe vinto due scudetti l’anno, come ora che non ha più avversari. Eccola la rosa. La sentenza a un giudice terzo, a patto che non sia nominato da Guido Rossi.

Portieri (15): Ballotta, Bindi, Carini, Cordaz, Ferron, Fontana, Frey, Frezzolini, Julio Cesar, Mazzantini, Nuzzo, Orlandoni, Pagliuca, Peruzzi, Toldo.

Difensori (58): Adani, Andreolli, Angloma, Barollo, Bergomi, Bia, Blanc, Bonucci, Brechet, Burdisso, Camara, Cannavaro, Centofanti, Cirillo, Coco, Colonnese, M. Conte, Cordoba, Dellafiore, Domoraud, Favalli, Ferrari, Festa, Franchini, Fresi, Galante, Gamarra, Georgatos, Gilberto, Gresko, Grosso, Helveg, Macellari, Materazzi, Mezzano, Mihajlovic, Milanese, Padalino, A. Paganin, M. Paganin, Panucci, Pasquale, Pedroni, Pistone, Potenza, Rivas, Roberto Carlos, Samuel, Sartor, M. Serena, Silvestre, Simic, Sorondo, Tarantino, Tramezzani, Vivas, West, Wome, J. Zanetti, Ze Maria.

Centrocampisti (64): Almeyda, Aloe, Beati, Belaid, Berti, Bianchi, Biava, Binotto, Brocchi, Cambiasso, Carbone, Cauet, Cinetti, Dabo, Dacourt, Dalmat, D’Autilia, Davids, Dell’Anno, Di Biagio, Djorkaeff, Emre, Fadiga, Farinos, Figo, Guglielminpietro, Ince, Jonk, Jugovic, Karagounis, Kily Gonzales, Lamouchi, Luciano, Maa Boumsong, Manicone, Marino, Morfeo, Moriero, Nichetti, Okan, Orlandini, A. Orlando, Paulo Sousa, Peralta, Pinto Fraga, Pirlo, Pizarro, Rebecchi, Seedorf, Seno, Sergio Conceiçao, Sforza, Shalimov, Simeone, Solari, Stankovic, Trezzi, Vampeta, Van Der Meyde, Veron, Winter, Zanchetta, C. Zanetti, Zé Elias.

Attaccanti (40): Adriano, M. Altobelli, Baggio, Batistuta, Bergkamp, Branca, Caio, Choutos, Colombo, Corradi, Crespo, Cruz, Delvecchio, Di Napoli, Ferrante, D. Fontolan, Ganz, Germinale, Kallon, Kanu, R.Keane, Martins, Meggiorini, Momenté, Mutu, Pacheco, Pancev, Rambert, Recoba, Robbiati, Ronaldo, Ruben Sosa, Russo, Sinigaglia, Slavkovski, Hakan Sukur, Ventola, Veronese, C. Vieri, Zamorano.

Allenatori (12): Bianchi, Castellini (due volte), Cuper, Hodgson (due volte), Lippi, Lucescu, Mancini, Simoni, Suarez, Tardelli, Verdelli, Zaccheroni.

dal blog Camillo, di Christian Rocca

07 marzo 2008

Grand'Italia e dintorni (2)

“La campagna elettorale di Epifani: lo statuto dei lavoratori va lasciato così com’è” - dice un titolo dell’Unità (7 marzo). È meraviglioso votare il Pd: i parlamentari di Epifani, Passoni e Nerozzi, difenderanno l’articolo 18 “così com’è”, mentre Ichino e Calearo si impegneranno a cambiarlo.

“Bisogna saperli leggere i sondaggi” - dice un corsivo di Europa (7 marzo). Certo, finché Veltroni leggi i grafici al contrario e crede di stare vincendo, non si va molto avanti.

“Comincio la mia campagna elettorale da Pompei” - dice Massimo D’Alema al Corriere della Sera (7 marzo). Pompei, uno dei pochi luoghi in Campania dove qualche secolo fa sono stati accumulati più rifiuti di quelli che Bassolino è riuscito a mettere insieme in quindici anni di leadership regionale.


Festa, su l'Occidentale.

06 marzo 2008

Poeti: Alda Merini

Milano

Milano è diventata una belva
non è più la nostra città
adesso è una grassa signora
piena di inutili orpelli

Fine di un ciclo glorioso

Martedì il Milan si è arreso negli ottavi di Champions sul proprio terreno ad un Arsenal giovane, strarompente vitalità e maturità tattica, armonioso ed equilibrato in tutti i reparti.
Non c'è stato un momento della partita in cui si sia avuta la sensazione che il Milan potesse farcela. Semmai si sperava nella lotteria dei rigori ma, negli ultimi dieci minuti, quando si raschia il barile del fiato residuo, i leoncini di Londra c'erano e schiantavano i campioni uscenti.
Bene così. È la naturale conseguenza di una stagione disastrosa, di una squadra vecchia ed usurata, la cui dirigenza ha pervicacemente rifiutato l'avvio di un rinnovamento che i tifosi avveduti invocavano, inutilmente.
La ricostruzione ora è un impegno non aggirabile, ma l'incapacità tecnica e la modesta conoscenza del mercato dell'attuale dirigenza rendono l'impresa molto ardua.
Occorrerebbe cominciare l'opera avvicendando vecchi arnesi presuntuosi ed inebriati di se stessi, come Galliani e soci.

Ieri sera la Roma ha espugnato il Bernabeu con una prova di grande maturità tattica. Forse i giallorossi hanno finalmente superato l'ammissione all'Università del calcio.
Se domani sarà ancora Madrid e non Siena, anche il campionato locale potrebbe essere rimesso in discussione.

Sondaggi

Il settimanale sondaggio Demoskopea su Sky dà il PDL ed alleati al 45%, PD al 36%, Sinistra e Rosa di Centro fra l'8 ed il 7% percento ciascuno.
Le distanze fra i due grandi concorrenti non sembrano variare nel corso delle ultime settimane.
Veltroni dichiara il ricongiungimento, ma è un altro dei suoi sogni ben confezionati dai media ossequienti. L'avere cominciato con largo anticipo la campagna elettorale non ha portato frutti, mentre la composizione delle liste ha aperto antiche e risapute faide.
Il Pdl per ora viaggia con il vento di bonaccia e sottotraccia.
Vedremo chi terrà meglio gli affanni del mese cruciale e come si orienteranno i voti degli indecisi.