31 agosto 2009

Fini è ancora una risorsa della destra?

Ormai non capisco la traiettoria del pensiero politico di Fini. Non discuto la sua riscoperta laica, né certe pulsioni pruriginose verso la sinistra. Appare evidente che il disegno tattico è quello di strappare eventuali benevolenze nella corsa al Colle, che ragionevolmente resta ormai l'unico obiettivo praticabile nel suo futuro politico. La successione del Cavaliere, semmai ci sarà, appare molto più problematica ed irta di ostacoli e concorrenti.
Le difficoltà di comprensione nascono sulla metamorfosi di questo campione della destra missina che, in anni non lontani, con sagacia ha affrancato il suo partito dal ghetto anticostituzionale siglando un formidabile patto con un creativo e ruspante Berlusconi, ma poi, improvvisamente, si è smarrito in tortuose riflessioni sull'essere destra nel terzo millennio.
Negli anni in cui doveva cogliere il frutto di una leadership ormai universalmente riconosciuta, è parso roso da infantili gelosie, da tentennamenti climaterici, da un'aspirazione alla solitudine politica con atteggiamenti snobistici verso il generone che si è raggruppato sotto le insegne del Pdl.
Nel percorso di un politico ci sta tutto, anche un clamoroso ribaltamento delle sponde, ma tutto ciò poco quaglia con le ambizioni dell'uomo che mi sembra a tutto pensi meno che ad essere solo un padre nobile della destra sociale.
Sembra, nei destini, la stessa vicenda del suo concittadino Casini, votatosi a modeste strategie da comprimario. Un Mastella del nord, peraltro suo sodale agli albori dell'Udc.
La freddezza che ha accompagnato le sue esternazioni alla festa del Pd di Genova, proprio nella schiera da cui proviene, dice che la solitudine sta trasformandosi in ermetismo per la sua gente.
Sarebbe un peccato perché Fini, che la sinistra non voterà mai presidente perché ex-fascista, è ancora oggi una risorsa molto importante per il prossimo ed agitatissimo post-Berlusconi.

10 agosto 2009

Siamo 'merigani

Suggerisco agli amici lettori di farsi un giro sul blog Ali e Radici. Fra i tanti argomenti curiosi ed inconsueti, il sito sta sviluppando una galleria degli anglicismi più usati, a proposito e spesso a sproposito, nel mondo del lavoro. È arrivato al 38° capitoletto della guida ragionata e comparata con le alternative italiane.
Una lettura piacevole ed istruttiva, soprattutto per chi come me in qualche consiglio di amministrazione deve subire la violenza dei relatori e del loro gergo anglofono, usato per gabellare professionalità e competenze inesistenti.
Il nostro è un popolo per tradizione provinciale e servile. Abbiamo vissuto molte mode, la spagnola, la francese, un poco la tedesca, ma mai come oggi vi è stato uno sprezzante rifiuto della nostra lingua madre.
Sentivo stamane al giornaleradio un servizio sull'introduzione, come materia di apprendimento nella scuola, dei dialetti. Alcuni illustri somari discettavano sull'inutilità dell'iniziativa e sproloquiavano di cultura europea.
I medesimi non hanno invece mai alzato un sospiro sul violentamento che quotidianamente viene fatto sui media (è latino: si legge come si scrive), nella scuola, nel mondo degli affari, nel mondo del cosiddetto spettacolo, delle nostre tradizioni linguistiche e culturali.
L'importante è essere tutti imbecilmente uguali.