20 ottobre 2009

Cogestione o copartecipazione?

In attesa di leggere gli atti del convegno sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione aziendale, tenutosi nei locali di Bpm alla presenza di illustri ospiti fra cui il ministro del Tesoro ed i tre segretari generali confederali, ha suscitato scalpore mediatico l'esternazione di Tremonti sulla esigenza strategica di tornare ai contratti a tempo indeterminato per porre solide basi alla vita degli individui, alla costruzione della famiglia su certezze economiche, per fidelizzare il rapporto azienda-lavoratore. Il ministro è partito da spunti di riflessione propri della dottrina sociale della Chiesa, ribaditi nell'ultima enciclica di Benedetto XVI.
Ma la cultura di sinistra ne ha invece colto una sorta di invasione di campo, tanto più fastidiosa quanto più flebili sono ormai le attenzioni verso il mondo del lavoro da parte del Pd (dei republicones non dà conto parlare perché tanto più è rilevante il loro potere di condizionamento sulla galassia della sinistra, tanto più è loro estranea l'attenzione a qualcosa di diverso dal colore delle mutande delle compagne di letto di Berlusconi).
Tremonti ha affondato la sua riflessione negli ex domini del Pci e si è posto come interlocutore diretto dei lavoratori. Mossa strategica, augurabilmente non solo furba.
Per i poveri dirigenti del Pd alle prese con i calzini color turchese, un colpo da k.o. ma non solo.
La piattaforma che va costruendo il ministro è sempre più manifestamente una identità innovativa su cui raggruppare il consenso politico e popolare del Pdl post-berlusconiano.
L'uomo è intelligente, finissimo stratega, modesto comunicatore ma con solide alleanze con la Lega, partito di popolo e coagulatore di consensi.
Seguiremo con interesse e partecipazione la sua scalata al gradino più alto.

16 ottobre 2009

Loro, i Democratici

"Ma santo cielo, possibile che nessuno sia in grado di ficcare una pallottola in testa a Berlusconi?!". La frase in questione non è stata pronunciata in un anonimo bar dal primo pirla che passava di lì, ma è stata pubblicata su FaceBook da tal Matteo Mezzadri (nomen omen, direbbe qualcuno), ventiduenne quasi ingegnere coordinatore del circolo del PD di Vignola e membro della segreteria provinciale dei Giovani Democratici di Modena. È finita con scuse e dimissioni, ma resta comunque in circolazione una delle tante teste bacate della sinistra. La stampa, naturalmente, ha pensato bene di dare al fatto uno scarsissimo risalto.

dal blog Ali e Radici

Il Presidente fancazzista

Lasciate perdere i sondaggi in calo, ignorate i dati sulla disoccupazione, trascurate le difficoltà sulla riforma sanitaria e sulla guerra in Afghanistan, c’è qualcos’altro a segnalare il mutamento di status di Barack Obama, da nuovo messia a uomo politico normale: i comici hanno cominciato a prenderlo in giro. Sabato scorso il più tradizionale dei programmi televisivi di satira, il Saturday night live della Nbc che in campagna elettorale ha sostenuto il candidato Obama in ogni modo possibile, ha inaugurato la nuova stagione con una devastante imitazione del presidente fatta da Fred Armisen. Nei panni di Obama, Armisen ha letto un messaggio alla nazione dallo Studio ovale della Casa Bianca: “Buona sera e congratulazioni a Rio per l’assegnazione delle Olimpiadi del 2016”, ha detto ricordando subito il clamoroso fallimento della candidatura di Chicago sostenuta con insuccesso da Obama. “L’anno scorso sono stato eletto col mandato di apportare un cambiamento credibile in questo paese – ha detto il finto presidente – Ma ora c’è gente a destra che è molto arrabbiata. Pensano che stia trasformando questo grande paese in qualcosa che somiglia all’Unione Sovietica o alla Germania nazista. Ma non è così. Se guardate bene ai primi mesi di presidenza è molto chiaro che cosa ho fatto fino a questo momento: niente, nada. E’ trascorso quasi un anno e non ho niente da mostrarvi”. Nel 2000 il Saturday night live ha preso in giro lo stile di Al Gore e Al Gore ha perso, mentre l’anno scorso la credibilità di Sarah Palin è stata sbriciolata dalla parodia di Tina Fey e il duo McCain/Palin è stato travolto da Obama. Ora il nuovo obiettivo stagionale sembra essere Obama come un “do-nothing president”, un “presidente fancazzista”, nonché leader, diremmo in Italia, di un’immaginaria fondazione “Fare niente”. I giornali americani segnalano che le battute di Snl non sono una buona notizia per la Casa Bianca. I consiglieri del presidente dovranno rendersi conto che in giro c’è molta gente convinta che Obama non abbia fatto assolutamente niente o, perlomeno, niente di diverso dal suo predecessore George W. Bush, tanto che, questa settimana, sulla copertina dello storico settimanale della sinistra britannica New Statesman campeggia il titolo “Barack W. Bush”, sotto un formidabile fotomontaggio di due immagini sovrapposte di Obama e Bush. E’ molto probabile, poi, che gli sfottò di Saturday night live continueranno, anche perché Obama ci mette qualcosina di suo. Ieri, per esempio, ha convocato alle cinque un gruppo di ministri e deputati per una partitella a basket alla Casa Bianca. Le battute di Saturday night live hanno colpito al punto che la Cnn, con scarso senso dell’umorismo, si è spinta fino a condurre una serissima inchiesta sull’accuratezza delle critiche (fact-checking) mosse al presidente dal programma satirico. “Guardate la lista delle cose fatte e non fatte”, ha detto Armisen/Obama ricordando le promesse di Obama in campagna elettorale. “Chiudere Guantanamo? Non l’ho fatto. Ritirare le truppe dall’Iraq? Non l’ho fatto. Migliorare la situazione in Afghanistan? Non l’ho fatto, anzi la situazione è peggiorata. E che dire della riforma sanitaria? Certo che no. Riforma dell’immigrazione? Ma va… Riscaldamento terrestre? Non ancora. E, ricordatevi, posso fare qualsiasi cosa voglia. Ho la maggioranza in entrambi i rami del Congresso. Avrei potuto rendere obbligatorio il matrimonio gay e imporre automobili alimentate a marijuana. L’ho fatto? No!”. Qualcosa, secondo gli autori di Saturday night live, però Obama l’ha realizzata: “Non ci sono soltanto brutte notizie. Posso vantate qualche risultato: gli incentivi alle rottamazioni hanno davvero stimolato l’economia, peccato fosse quella del Giappone. Fatemi vedere, cos’altro? Ah sì, ho ucciso una mosca in tv, ve lo ricordate?”, ha detto il comico riferendosi a una cosa realmente successa durante un’intervista alla Casa Bianca. “E poi ho invitato un poliziotto bianco e un professore nero a bere una birra. Chi altri avrebbero potuto fare una cosa del genere? Sì, avete ragione, anche Oprah. Nessun altro, però”.

di Cristiano Rocca, sul blog Camillo del 9 ottobre 2009

Barbarossa

Spinto dalle velenose recensioni della critica di sinistra e dalla curiosità di vedere all'opera un regista italiano in un kolossal storico, ho visto il film icona dei leghisti.
Delusione profonda, non tanto per la rivisitazione storica, sostanzialmente fedele alle gloriose vicende del Carroccio e della rivolta delle città del Nord contro l'imperatore tedesco, ma per la mediocre resa drammatica, la sceneggiatura approssimativa, la scelta disastrosa degli interpreti, fatta eccezione per il sempre stupendo Rutger Hauer, ingigantito dal confronto con l'interpretazione miserrima di Raz Degan, volto di Alberto da Giussano.
Nel film gira un'aria di mediocre fiction della Rai, dilettantismi insopportabili delle interpreti femminili, un doppiaggio offensivamente sovrabbondante di esse sibilanti.
Peccato. Poteva essere una bella occasione per esaltare un raro episodio di dignità nazionale e per raccontare drammaticamente le pulsioni e la civiltà del tardo-medioevo.
Occorreva un'altra tempra di regista ed un approccio culturale più sincero e serio all'epica della civiltà comunale.

La CGIL schiava del vetero-marxismo

"Il compito fondamentale che incombe ad ogni sindacato è quello di ottenere i più alti salari possibili in ogni azienda e in ogni settore tenendo conto che esistono limiti differenti da azienda ad azienda nello stesso settore. Il fatto che la CGIL, sottovalutando questo processo di differenziazione, abbia continuato negli ultimi anni a limitare la sua attività salariale quasi esclusivamente alle contrattazioni nazionali di categoria e generali, è stato un grave errore."

Giuseppe Di Vittorio, segretario Cgil dal 1945 al 1957