27 novembre 2009

Rivoluzione e resurrezione

Nessuna rivoluzione può creare un uomo nuovo: ciò sarebbe sempre e soltanto violenza e costrizione; ma lo può creare Dio, a partire dal di dentro. La speranza che ce lo fa attendere conferisce anche al nostro agire dentro la storia una speranza nuova.
In verità, quando si lascia da parte il problema della morte, non viene data alcuna risposta sufficiente alle domande umane di giustizia e libertà. Tutti i morti della storia passata, infatti, sono uomini ingannati, se solo un avvenire imprecisato porterà un giorno la giustizia sulla terra. Non giova nulla dire che anch'essi avrebbero collaborato a preparare e a realizzare la rivoluzione e che per questo ora ne sarebbero entrati a farne parte. Essi non vi sono affatto entrati, sono anzi usciti dalla storia, e senza avere ottenuto giustizia.
In questo caso, la misura dell'ingiustizia rimane sempre infinitamente maggiore della misura della giustizia che si può realizzare. Per questo un pensatore così coerentemente marxista come Adorno ha detto che, se ci deve essere giustizia, ci dovrebbe essere giustizia anche per i morti. Una liberazione, che trova nella morte il suo limite definitivo, non è una liberazione reale. Senza una soluzione al problema della morte, tutto il resto diventa irreale e contradditorio.
Perciò la fede nella resurrezione dei morti è il punto a partire dal quale è possibile pensare una giustizia per la storia, e può quindi diventare ragionevole lottare per essa. Soltanto se esiste resurrezione dei morti ha senso anche morire per la giustizia: perché solo allora la giustizia è qualcosa di più che il potere, e soltanto allora essa è un a realtà, altrimenti non rimane che un'idea vuota.
Per questo, la certezza di un giudizio universale che attende il mondo ha anch'essa un significato eminentemente pratico. Lungo i secoli, la coscienza che un giorno ci sarà il giudizio è stata la forza che, sempre di nuovo, ha trattenuto i potenti a trasgredire determinati limiti. Noi tutti dovremo passare per questo giudizio, ognuno di noi ed è questo che costituisce quell'eguaglianza tra gli uomini, cui nessuno potrà mai sottrarsi. Il giudizio finale non ci esime quindi dallo sforzo di promuovere la giustizia nella storia; al contrario, esso dona a questo sforzo il suo significato e sottrae la sua doverosità ad ogni arbitrio.
Così anche il regno di Dio non è affatto un futuro confuso e indistinto. Solo nella misura in cui noi, già in questa vita, apparteniamo al regno, vi apparterremo in quel giorno. Non è la fede nelle verità ultime, la fede nella sua valenza escatologica a compiere l'errore di rimandare il regno nel futuro: è invece l'utopia che lo commette, poiché il suo futuro non ha alcun presente e la sua ora non arriva mai.

Joseph Ratzinger: Chiesa, ecumenismo e politica (p. 256s)

23 novembre 2009

Decerebrati e felici (profilo di spettatore della TV generalista, ma anche satellitare)

Un aggiornamento scientifico ogni tanto ci vuole, per precisare lo stato reale delle cose. Perché se abbiamo un compito (qui su "Indiscreto") è quello di spazzare via l'epica da bar sport o almeno renderla meno ipocrita. Tutta quella melassa da quattro soldi, spalmata su una montagna di retorica facile e strappalacrime, preparata solitamente sotto dettatura e prezzolata. Visto che dalle altre parti, vantando padrini padroni ingombranti (beati loro...), tendono a fornire una versione dei fatti alterata o di comodo, noi abbiamo bisogno del samizdat: il sistema usato nell'Urss di Stalin per diffondere materiale informativo clandestino. Per farlo compiutamente, necessitiamo di un preambolo tortuoso come la discesa del Fauniera...

Qualche anno fa in Irlanda ebbero l'idea di produrre un telefilm dalla verve comica irresistibile, basato su un argomento tabù dalle nostre parti. "Father Ted" elevò a icone di resistenza umana tre preti cattolici, confinati su un'isola sperduta: il protagonista Ted, donnaiolo e scommettitore folle; il vecchio Jack, alcolizzato demente e violento, e il giovane (?) Dougal, un ventiseienne ritardato mentalmente. I tre eroi, esiliati dal mondo moderno perché impresentabili, rappresentavano loro malgrado il rifiuto totale verso il sistema: improbabilmente anarchici e magnificamente liberi. Ebbene, la serie (che ebbe un successo incredibile) coniò pure un neologismo: il dougalismo, ovvero l'incapacità di distinguere tra realtà e finzione, enunciando frasi talmente stupide e ignoranti da apparire surreali (postdadaiste?).

Il punto è proprio questo: oggi i media, chi più chi meno, sognano un mondo di idioti felici, pronti a bere (e quindi consumare) qualsiasi aborto giornalistico partorito dal quarto (e quinto) potere. Insomma un pianeta di Dougal: eterni adolescenti cristallizzati sul vuoto pneumatico, incapaci di andare oltre le frasi fatte e la destrutturazione cerebrale delle stesse. [...]

di Simone Basso, dal blog Indiscreto

18 novembre 2009

La frontiera del terziario: agitare accuratamente il fumo dentro lo scatolone

Il Convegno sul Digital Signage.

Se il mondo aziendale è il regno del non senso e il marketing è il riassunto del nulla, la partecipazione a un Convegno è la sublimazione assoluta del vuoto.

L’altra settimana ho avuto l’onore di partecipare a un convegno sul Digital Signage. Non chiedetemi cosa cazzo sia perchè non lo so e nemmeno mi interessa. Però ci sto lavorando da un po' di tempo e ho fatto una gran figura con il mio capo mostrando un certo interesse per partecipare alla cosa.

Va da se che a un corso o a un convegno si va esclusivamente per tre motivi:
1) Vedere se c’è figa
2) Mangiare a scrocco
3) Passare una giornata fuori dall’ufficio di merda

E’ con queste solide motivazioni che mi sono alzato alle 6 del mattino e ho messo il mio culo su uno sporchissimo Intercity di trenitalia diretto a Milano. Trascorso il solito viaggio con aria condizionata a -10° e il solito ritardo sono arrivato al prestigioso Hotel giusto in tempo per ascoltare il primo relatore.

Ben lungi da me l’idea di concentrarmi sulle presentazioni ho cominciato a esplorare attentamente la sala.
Tutti uomini! Ma porc.... e le famose belle ragazze milanesi? Tre o quattro al massimo e già ampiamente circondate da serissimi manager in abito scuro.
Disastro.
Tanti anni fuori da Milano mi hanno fatto perdere smalto. I manager Milanesi sono tutti inappuntabili, attentissimi e carichissimi. Io ho la faccia di cartone, rispetto a loro sono vestito come un diciottenne e il mio cervello ha la stessa capacità di concentrazione di una scimmia che salta da un ramo all’altro nella giungla...
Lo so che loro, nel loro intimo, stanno pensando “che palle” esattamente come me. Però non lo danno a vedere e, devo ammetterlo, se la tirano da gran professionisti.

Mentre rassegnato mi metto a seguire la materia del Convegno (facendo una estrema sintesi in genovese potremmo dire: tutte musse) riapro il book e mi saltano all’occhio i Curriculum Vitae dei relatori.
Una vera meraviglia. Chi più ne ha più ne metta. Titoloni a stecca, referenze a manetta e, soprattutto, una serie di minchiate immonde.

Tralasciando i numerosi figli di papà che da neolaureati si sono trovati “Direttori della filiale di Londra” oppure con un “Master alla San Diego University” di seguito riporto alcune perle che mi hanno commosso:

• Membro dell’associazione Mensa - associazione mondiale delle persone dotate di alto QI – (giuro, c’è scritto cosi!!!)
• Svolgo l’attività di Disruptive Innovator (e sticazzi!)
• Ero noto con lo pseudonimo di “1.0” (ma vaffanculo va!!!)
• E’ mia l’idea di dare voce (contenuto parlato) ai siti internet (e come no!!!)
• Nel 1996 realizza la prima moneta virtuale al mondo “EnergyBank” (ah belin!!!)
• Nel 2007 produce TuoVideo definito dalla stampa lo YouTube italiano (ah ah ah ah!!!)
• Mi interesso di letterattura francese e jazz (ma vai a lavorare va!!!)

Man mano che leggo, la consapevolezza che la gente che scrive queste cazzate poi fa carriera e soldi mi fa montare una tale carogna che mi porta a terminare velocemente la lettura prima di dover mettere le mani addosso a qualcuno.

Arriva l’ora dell’agognato pranzo. Purtroppo non è a buffet ma è servito al tavolo impedendomi le classiche razzie di piatti composti da pasta, carne, patatine, crocchette e sottaceti tutti mischiati assieme. Mi ritrovo a un tavolo dove parlano di lavoro. Tento qualche sortita di cazzeggio ma vengo subito stoppato tipo “Pierino, stai zitto che qui siamo gente seria e parliamo di business”. Rassegnato mi bevo cinque bicchieri di bianco per affrontare il pomeriggio.

Il Convegno riparte e ormai il mio livello di attenzione è lo stesso che ho guardando un GP di Formula 1. Morte apparente.
Passa un tempo indeterminato e sulla frase che da sola riassume il vero spessore intellettuale dei relatori: “anche i tristi musei possono essere ravvivati da questa tecnologia del Digital Signage” , mi riprendo e mi accorgo che devo correre in stazione. Faccio giusto a tempo a comprare un libro sul tema del convegno in modo da poter raccontare qualcosa al mio capo quando mi chiederà l’inevitabile resoconto di quel che hanno detto.
Prendo le mie carabattole e me la filo.

Un’altra proficua giornata da uomo di marketing è trascorsa.

di Polonegativo, dal blog: Burattini da ufficio



Rendo onore e merito al blog di Polonegativo, che trasuda verità lapidarie ed incontrovertibili, e porto qui la mia onesta testimonianza di manager in una società "attiva nel settore della comunicazione digitale e più specificamente nel digital signage delivery". Posso per di più pregiarmi di avere assistito al convegno di cui all'oggetto del post.
Sono con ciò portatore sano (ma non in ottima salute) di solide esperienze ed argomentazioni, attraverso le quali tenterò di diradare le nebbie che ancora oggi si addensano davanti agli occhi dell'autore e dei molti altri che tuttora si domandano: ma il Digital Signage, in definitiva, che cazzo è?
La risposta è das Nicht, il nulla. Non esiste nella stanza, alla stregua della donna nell'aforisma di Karl Kraus. Esso non esiste in sé! A questa drammatica conclusione esistenziale sono giunti (dopo un paio di ricapitalizzazioni, un numero imprecisato di trasferimenti di quote sociali e svariate centinaia di migliaia di euro di perdite a fronte di zero centesimi di euro di ricavi) anche i due titolari della mia azienda “attiva nel Digital Signage”.
Il primo s'è dileguato con le prime brume d’autunno, portandosi appresso soci di capitale, partner di servizio e (in una grossa scatola di cartone) persino i robot d'acciaio con i quali aveva adornato gli scaffali (freddi e vuoti) della nostra sede operativa: gli scaffali che noi dipendenti - così, per farci un po' di compagnia e di calore - avevamo affettuosamente battezzato "le minchie" (una volgare deformazione di "le nicchie"). Mi si perdoni la divagazione romantica, ma tant'è.
Dal momento che al peggio non vi è mai fine, il secondo titolare (dopo aver ricevuto in dono dagli ex azionisti le quote della società, con annesse le perdite a cinque zeri di cui più sopra) nell'estremo tentativo di salvare la nave che cola a picco, ha pensato dunque di affidarsi a due "professionisti del marketing". Con ciò, sono diventato il responsabile operativo di una "agenzia di marketing".
Ora, un cristiano medio come me si domanda: ma che cazzo fa una agenzia di marketing?
Dopo una prima fase di smarrimento (chi siamo? dove andiamo? ci sarà vita su Marte?) ho tuttavia recuperato aplomb e dirittura metodologica, e prontamente ho convocato una riunione con i due "professionisti del marketing" ed il seguente ordine del giorno:

1) Il nuovo modello di offerta:
a. Dichiarazione formale dei servizi che sono oggetto del business aziendale,
b. Dichiarazione delle partnership di servizio in essere (specifica dei referenti e modalità di relazione).
2) La nuova strategia di marketing:
a. Formalizzazione degli obiettivi aziendali (qualitativi e quantitativi),
b. Dichiarazione delle azioni di marketing atte a raggiungere gli obiettivi aziendali,
c. Definizione degli strumenti (materiali) a supporto delle azioni di marketing.
3) I nuovi materiali istituzionali (declinazione del modello di offerta e della strategia di marketing):
a. Determinazione dei materiali da realizzare,
b. Identificazione dei responsabili (interni/esterni) del rilascio dei materiali da realizzare.
4) Le nuove linee-guida commerciali:
a. Approvazione della (mia) proposta di processo per la gestione dell’offerta commerciale,
b. Declinazione della strategia di marketing nella gestione dei prospect (quali mezzi: mail? telefonata?).
5) Reporting delle attività commerciali:
a. Approvazione del report proposto (da me) per il tracciamento dello stato avanzamento lavori,
b. Determinazione della frequenza di erogazione del report e condivisione delle modalità di feed-back.

La reazione dei due “professionisti del marketing” alla lettura dell’agenda è stata, per dirla con un eufemismo, un po' scomposta. La riunione ha avuto infatti una durata complessiva di non più di mezzora, nella prima metà della quale sono stati sommariamente smarcati i punti relativi alla mission aziendale: “vogliamo essere consulenti della comunicazione”, alla strategia di marketing: “il nostro scopo è portare a casa ordini di una prestazione di marketing” e agli obiettivi quantitativi: "1,5 milioni di euro di fatturato entro 30 giorni, 10 milioni nel 2010".
Alla mia cortese richiesta di declinare con maggiore concretezza strategie e obiettivi in azioni e strumenti, uno dei due "professionisti del marketing" abbandonava polemicamente la sala riunioni, sostenendo di non avere altro tempo da perdere. Il secondo mi accusava di essere “un sofistico” e mi congedava con l’invettiva: “Lei dovrebbe lavorare all’Eni!”.
La notte ha portato sonni disturbati.
Stamane il mio datore di lavoro mi ha convocato per comunicarmi che, stante la mia totale assenza di proattività e il disagio ambientale da me provocato con la riunione del giorno prima, devo ritenermi sollevato da tutte le responsabilità di supervisione e controllo dei processi operativi dell'azienda.
Ho tentato di argomentare sulla differenza che corre fra le mansioni attinenti i processi operativi e quelle di natura strategico-decisionale. In altre parole: questo cazzo di piano di marketing dovrà mica descriverlo il responsabile di processo??
Lo sguardo perso nell’infinito del mio interlocutore (soglia di attenzione crollata a zero dopo cinque secondi) mi ha persuaso della totale irrecuperabilità della situazione.
Da domani mi occuperò di “progetti verticali”.
Ma se rinasco, giuro che rinasco proattivo. Oppure professionista del marketing.

zioSteve (el Hombre Vertical)

16 novembre 2009

Anche la CEI disegna gli scenari futuri della politica italiana

Città del Vaticano - Dialoga con tutti gli interlocutori della politica, la Conferenza episcopale italiana di Bagnasco. Magari li pungola sui temi a cui tiene, ma rispettosamente. Non scomunica né si schiera. E, concludendo i lavori dell'assemblea generale Cei che si è svolta ad Assisi - la prima del dopo Boffo -, più che prospettare alleanze con i vari soggetti di un mondo politico in ebollizione, chiede che i cattolici "laddove sono e ovunque siano" possano esprimere "con libertà ed efficacia" le loro convinzioni. E ribadisce - dall'ora di religione islamica alla sentenza di Strasburgo sul crocifisso - che per i vescovi la fede cattolica è e rimane al centro della vita dell'Italia. Nella conferenza stampa conclusiva del 'parlamento' dei vescovi, Bagnasco evita di dare giudizi 'tranchant' su partiti e parlamento. Spiega, l'Arcivescovo di Genova: "Quello che a noi interessa e auspichiamo è che i cattolici, laddove sono e ovunque siano, possano esprimere con libertà e efficacia, nel gioco della democrazia, le loro convinzioni e i loro valori". Giudizio ben diverso da quello che, solo pochi giorni fa, aveva dato il Cardinale Camillo Ruini, auspicando - in modo neppure tanto velato - l'abbandono del Pd da parte dei parlamentari cattolici. Nella Cei è un’altra era. Se Ruini aveva trovato nel centro-destra un interlocutore privilegiato, oggi prevale una punta di equidistanza, se non di distacco, da parte della Cei quanto del Vaticano. Bagnasco, intanto, non si esprime nei confronti della futura formazione di Francesco Rutelli. Non certo per disinteresse nei confronti di un partito che potrebbe intercettare molte delle preoccupazioni ecclesiastiche, ma perché ogni benedizione sarebbe prematura. "Sui movimenti politici - risponde il porporato ad una domanda dei giornalisti - non è compito nostro dare giudizi e valutazioni di merito, perché ci sono dinamiche che sono proprie del mondo della politica". Le primarie del Pd? "Le forme di partecipazione democratica, rispettosa e civile, sono benvenute", dice. Anche nei confronti della Lega - con la quale sull'immigrazione non sono mancate le scintille nei mesi scorsi - sembra lanciare un messaggio distensivo. A un cronista che gli domanda se abbia colto nell'incontro con Bossi una disponibilità sui temi dell'unità nazionale, Bagnasco assicura, in termini generali, si aver trovato "ovunque" un "desiderio di un clima più costruttivo". Dialogo con tutti, e una punta di distacco, insomma. Le traumatiche dimissioni di Dino Boffo dalla direzione di 'Avvenire' dopo gli attacchi del 'Giornale' di Feltri, del resto, sono ancora fresche. E non solo perché i vescovi ancora non trovano la quadra per la scelta del suo successore. La Cei guarda con crescente apprensione la 'guerra di dossier' in corso. Al caso Boffo - seguito alle critiche della stampa contro le escort del premier Berlusconi a cui lo stesso Boffo si era accostato - si è aggiunto lo scandalo Marrazzo. E se già Bagnasco aveva aperto i lavori del 'parlamento' con un appello al "disarmo" della politica e dei media con un allarme sul rischio che si diffonda un "odio" che mette a rischio il paese, adesso precisa che a volte, "se le cose sono accadute", i giornali "giustamente" danno notizie, ma è inopportuna "l'insistenza": "Metterci il coltello dentro non so quanto arricchisca l’informazione", sono le sue parole Quel che interessa veramente alla Cei, Bagnasco lo dice chiaro e tondo. Più che una legge che sancisca l'obbligo del crocifisso nelle aule scolastiche - rimarca -, i vescovi si attendono un "pronunciamento" europeo "sul merito e sul metodo" della sentenza di Strasburgo sul crocifisso. Quanto all'ora di Islam, Bagnasco ripete il suo 'no'. Infine, "rammarico" e "dolore" per gli attacchi di ritorsione ai 'rom' ad Alba Adriatica. Un monito anche ai 'confratelli' vescovi: "Ben sappiamo - afferma il porporato nella Messa mattutina alla Porziuncola di Santa Maria degli Angeli - che essere liberi da se stessi è per tutti l'impresa più ardua: liberi da progetti, calcoli, ambizioni".

dal blog Petrus

La rivincita della politica (politicante)

La fine della parabola berlusconiana si avvicina e la picconata decisiva la stanno dando due vecchi politici della prima repubblica, Fini e Casini in concerto, entrambi appartenenti allo schieramento conservatore.
Là dove non sono riusciti in 19 anni i post-comunisti, i cazzari di Di Pietro, le mortadelle assortite, la magistratura ad orologeria, riescono con una perfetta strategia politica di alta scuola due uomini ora alleati ma entrambi contendenti per la successione.
È una battaglia molto interessante che deve però scontare ancora una variante decisiva: come reagirà Berlusconi, che dalla sua ha ancora le truppe elettorali seppure afflitte?
Può darsi che gli basti una sanatoria giudiziaria oppure preferirà giocare allo sfascio, andando alle elezioni anticipate?
Quello che è certo è che il paese ha una solida maggioranza conservatrice, che l'eredità di leadership spetterà a chi sarà investito da Berlusconi stesso, che la sinistra continuerà a mangiare polvere per qualche lustro.

13 novembre 2009

Pro-memoria per la sen. Finocchiaro (PD)

Processo breve.
Sei anni sono uno scandalo.
Meglio nove anni e sei mesi per due gradi di giudizio, 800.000 euro di parcella, per sentenziare che il fatto non sussiste.

06 novembre 2009

Sky calcio: una televisione di guitti sguaiati

Chissà, il freddo di Kiev o la pazzia dell’Inter: al secondo gol dei nerazzurri, l’immaginifico Fabio Caressa ha sciolto un dubbio che ci attanagliava: «Pensavo che c’avesse messo un vetro davanti al­la porta». Non è chiaro chi fosse il vetrinista ma l’immagine è abbastanza eloquente. Il secondo tempo di Di­namo-Inter ha visto l’ingresso in campo del dodicesimo gio­catore, nelle vesti di Caressa Fabio.
Ha urlato con tutto il fia­to che aveva in gola, ha via via sostituito l’allenatore nel detta­re i cambi, l’arbitro nell’asse­gnare i falli, i giocatori nel tira­re in porta, i tifosi nell’incitare la squadra. Forse troppe parti in commedia per il ruolo di tele­cronista. Siamo stati i primi a sottoli­neare come le telecronache Sky avessero fatto fare un salto im­portante a questa singolare pra­tica retorica (altrove sono anco­ra alla tv in bianco e nero). Sia­mo stati i primi a tessere l’elo­gio di Caressa e di una formida­bile squadra di «voci tecniche» (Bergomi, Marcheggiani, Di Gennaro su tutti). Ma l’impres­sione attuale è che a capo della redazione sportiva non ci sia più una persona in grado di in­dirizzare la crescita dei telecro­nisti, frenarne la deriva narcisi­stica.
La sera prima Maurizio Com­pagnoni non ha smesso un solo attimo di gridare ed enfatizzare anche la più scontata azione del Milan. E non parliamo della rubrica sui gol internazionali che conducono Caressa e Stefa­no De Grandis: sembrano due guitti da avanspettacolo. E che dire di Alessandro Bonan che ormai è una recita continua? L’impressione è che il giocattolo rischi di rompersi, che ognuno pensi soltanto a costruire il proprio personaggio (gli incipit paraletterari, i tormentoni, le frasi fatte...) e non si curi più del proprio ruolo e degli aspetti tecnici dell’evento. P.S. Ma se poi in Rai ci sono Bartoletti e Zazzeroni, Sky tutta la vita.

di Aldo Grasso, su Corrieredellasera.it



Se persino il vate dei radical-chic in materia televisiva alza la penna e lancia l'allarme sulla deriva di Sky, significa che anche i "migliori" cominciano a vergognarsi.
Per noi il vaso è colmo da tempo ed i vaffa ai commenti demenziali dei cronisti Sky si sprecano. Il marketing di prodotto più squallido e becero, i gorgoglii della voce, i "pazzesco" sprecati cretinamente, l'interismo bovino, fanno rimpiangere - caro vate Grasso - le domestiche, noiose, ma oneste telecronache Rai dei Pizzul e degli Ameri.
Sky, tribunale di Milano permettendo, ha il pallino delle dirette di serie A, ma un rimedio italico si trova sempre.
Consiglio il canale audio "altro" (schiacciare la "i" sul telecomando). Ne risulta un'atmosfera un po' rarefatta ma vengono eliminati i disturbi degli idioti.
Ps: l'unico che si salva è il vecchio, un po' svanito, Josè Altafini.

05 novembre 2009

Expo 2015: un fallimento annunciato

Tra liti, immobilismo e buchi di bilancio.
Expo, l'occasione (quasi) perduta.

Nell’Italia che ha altro a cui pensare, parlare di Expo e di Milano sembra quasi fuori luogo, ma il sinistro scricchiolio che arriva dal capoluogo del Nord (opere pubbliche in ritardo, finanziamenti tagliati, risse istituzionali, conti pubblici in rosso) è un brutto segnale per tutti. Se uno dei motori possibili della ripresa è già in avaria vuol dire che c’è un allarme da non sottovalutare che va oltre il silenzio del ministro del Tesoro, il disinteresse della Lega e il gelo del premier: vuol dire che Milano rischia di perdersi ancora una volta nei ritardi e nelle nebbie della bassa politica, rinunciando a quel ruolo tante volte invocato di guida, di traino dell’intero Paese.
C’è sicuramente un malessere generale, il peso di una crisi che avvolge un po’ tutti, ma se dopo il rullio di tamburi per l’Expo il risultato percepito è solo un balletto di potere, una inutile guerra tra Roma e Milano, allora vuol dire che non interessa la partecipazione, la potenzialità civica della città, il progetto di rilancio capace di dare una prospettiva al futuro di tanti giovani. Milano in questi giorni sta facendo da sola la sua parte, e male. Undici milioni di deficit all’inizio della gestione non sono una buona partenza. L’Expo 2015, nonostante il masterplan e l’orto globale dedicato ai valori della sostenibilità, dell’ambiente e della ricerca contro la fame nel mondo, resta un’incompiuta che non decolla. Doveva dare alla città più metropolitane e meno traffico, più decoro e meno degrado, un sistema di infrastrutture da capitale europea e una Grande Brera da offrire ai visitatori di tutto il mondo. Ma tra accuse, dimenticanze romane e buchi di bilancio, il grande evento sta diventando il pretesto per un regolamento di conti, una litania di occasioni perdute.
Colpiscono l’inerzia, l’immobilismo, il gioco delle parti: la Provincia senza fondi, la Regione già in campagna elettorale, il sindaco Moratti schiacciato in un angolo dai dubbi nella maggioranza sulla sua ricandidatura. Ma sorprende di più l’incapacità di coinvolgere le forze positive di Milano in un progetto importante, da presentare al mondo: la città dei talenti, dei creativi, dell’imprenditoria diffusa, delle università e della ricerca si aspettava (e meritava) molto di più.
E così si perde il senso di un’opportunità, di un futuro che con l’Expo si potrebbe inventare, come nel lontano 1881, quando Milano odorava ancora di fieno e acque stagnanti ma era una città in divenire e faceva decollare, insieme alle fabbriche, la «vitalità del sentimento » nelle arti e nella scienza. Servirebbe qualche segnale diverso da parte di chi governa questo evento, da Milano e anche da Roma, un’assunzione di responsabilità sui finanziamenti dovuti, un maggior gioco di squadra. Oggi l’Expo sembra diventata una clava per colpire l’avversario, un simbolo che mostra più inefficienze che potenzialità. Forse si può ancora rimediare, correggere la rotta, restituire a Milano l’orgoglio di fare e fare bene. L’Expo non è più una partita immobiliare, è l’occasione per mostrare le buone pratiche di un Paese e di una città. Il nuovo disegno architettonico è un’idea che va sfruttata meglio, mobilitando energie che creano consenso. Anche nell’austerità ci può essere entusiasmo. I privati pronti a dare una mano non mancano, ma oggi chiedono dove si andrà con l’Expo 2015: verso il mondo o in un ingorgo di traffico, come a una sagra di paese?

di Giangiacomo Schiavi, sul Corriere della Sera del 4 novembre 2009


Un fallimento annunciato, doloroso e rovinoso.
La scelta di un evento che ha finito di avere un senso alla fine dell'800 e che ha segnato fallimenti finanziari clamorosi nelle ultime edizioni.
Una classe politica promotrice senza radici culturali nella città e con capacità propositive appena utili per organizzare una pesca benefica.
Il sacro terrore dei finanziatori privati d'avvicinarsi al pubblico, con il rischio di ballare nei corridoi di Corso di Porta Vittoria per anni.
L'assoluta indifferenza della città, che alla propria amministrazione chiede interventi per migliorare la qualità della vita e sicurezza nelle strade piuttosto che astruserie sul mondo ecosostenibile.
Queste fra le cause di un disastro organizzativo e d'immagine epocali.