07 maggio 2010

Quel che resta del calcio italiano

Non occorre uno scienziato per capire che i playoff scudetto (ed eventualmente qualcosa di simile per rimanere in A, che non vorremmo chiamare playout) risolverebbero qualsiasi problema di credibilità delle partite di fine stagione. Perché il fine stagione è per molti cominciato da tre mesi. Genoa, Parma, Bari, Chievo, Udinese, Cagliari, e lasciamo fuori la Fiorentina il cui centroclassifica è un fallimento e non un adattarsi al quieto vivere: con tutta l'onestà del mondo, sono squadre che si trascinano fin dalle settimane in cui c'era la neve. E il loro trascinarsi inevitabilmente deciderebbe le posizioni nel tabellone dei playoff, ma almeno non lo scudetto. Nessun meccanismo è perfetto, perché come dimostra anche il basket italiano (dove l'unico obbiettivo è non finire nella parte di tabellone di Siena) può essere più conveniente arrivare settimi che arrivare quarti. Esempio: la Sampdoria si beccherebbe l'Inter in semifinale, mentre la Juventus la incontrerebbe solo nella ipotetica finale scudetto. Come indennizzo per le sorprese basterebbe assegnare tutti i diritti televisivi e commerciali alla squadra con il fattore campo. Già al primo turno sarebbero botte da minimo 5 milioni, per non parlare di quanto varrebbe ospitare il Super Bowl italiano. Tanto non si farà mai, quindi teniamoci la finta sorpresa di chi in Siena-Juventus del 2006 girava la faccia dall'altra parte e con il sorrisino da uomo di calcio ti spiegava che "cose così sono sempre accadute, dipendono dalle motivazioni". Vedremo quindi le motivazioni di Chievo e Cagliari al centro del mercato, oltre che quelle del Siena all'inseguimento del premio retrocessione.

di Stefano Olivari, su Indiscreto