23 luglio 2010

Farisei

Il termine indica "i separati" o anche "i separatori", cioè coloro che distinguono i precetti della Legge biblica secondo la loro maggiore o minore importanza. Si tratta di una corrente del giudaismo di taglio spirituale, aperta alle esigenze del popolo,costituita da laici, spesso in contrasto con la corrente sacerdotale detta dei "Sadducei". I Vangeli polemizzano con loro più per l'ipocrisia e l'incoerenza del loro comportamento che non per i contenuti della loro dottrina che era abbastanza vicina ad alcuini insegnamenti di Gesù.

di Gianfranco Ravasi, 500 curiosità della fede

Eden

Il vocabolo di per sè rimanda alla"delizia", al "piacere" anche se nelle lingue della Mesopotamia designava invece "la steppa" e il "deserto". La Bibbia, infatti, identifica la regione di Eden non col "giardino" ma piuttosto col suo contenitore geografico: "Il Signore piantò un giardino in Eden"(Genesi 2,8). È in questa luce che diventa un contenitore "paradisiaco".

di Gianfranco Ravasi, 500 curiosità della fede

21 luglio 2010

A quando l'outing di un magistrato?

I più attenti forse ricordano che qualche giorno fa c’è stato lo sciopero dei giornalisti italiani, l’ennesimo. Non entriamo nel merito, non abbiamo un'opinione, però siamo curiosi di sapere se contro la legge bavaglio abbia scioperato quel signore vicino all’età della pensione, sindacalista viscerale, che al Mondiale appena entrato Lippi in sala stampa dopo la disfatta contro la Slovacchia ha esordito così: “A nome di tutti vorrei ringraziare per i momenti vissuti insieme”. Sicuramente il momento più basso del giornalismo sportivo mondiale.
Probabilmente ha scioperato perfino il suo collega, altro eroe, altro cronista guerriero sempre in prima fila per difendere la libertà di stampa, quello che ha dato l’ultima mazzata all’ex ct: “Marcello, complimenti per il tuo coraggio nel prenderti le responsabilità”. No, non eravamo su Scherzi a parte. E' la stampa italiana, bellezza. E notate che Lippi era al suo ultimo giorno come allenatore, per cui almeno in quella situazione una domanda scomoda la si poteva fare. No, i nostri eroi hanno lasciato che il fallimentare c.t. prendesse in giro un giornalista ugandese reo di avergli fatto una domanda su Totti.
Una pattuglia dell'esercito dei giornalisti scomodo si esibirà oggi a Milanello, con una strategia non dissimile dai colleghi di Appiano e Trigoria. Felici di esswere smentiti dai fatti, dubitiamo che in conferenza stampa sentirete le seguenti domande:
a) Perché mai non cedete almeno 20 per cento del Milan investendo i soldi incassati in acquisti?
b) Come mai non siete riusciti a piazzare nemmeno uno degli undici giocatori in scadenza fra un anno? L’Inter si è liberata di quasi tutti i pesi morti, perfino di Quaresma (non ancora di Burdisso e Mancini)...
c) Come si spiega l’acquisto di Daminuta, uno che in Romania ha giocato 42 minuti in 19 gare, uno che è stato mandato nella seconda squadra in un momento dove la Dinamo non aveva nemmeno un difensore centrale di ruolo? Che ci fa Daminuta al Milan? Sapete che il ragazzo non sa se fare il centrocampista oppure il difensore? Il suo ex allenatore glielo aveva chiesto, lui ha risposto "Mister, non saprei che dire"...
d) Sapete di aver vinto un solo scudetto negli ultimi undici anni?
e) Signor Presidente, ci può confermare che lei stenta a investire per non dare la possibilità all’opposizione di partire con il bolso discorso “Lui pensa al Milan mentre il paese è in crisi”? E come mai si cura di quello che dice l’opposizione, proprio su un argomento di così poco conto? Uno qualsiasi dei vari scandali vale di più dell'ingaggio (teorico) di Dzeko...
Ecco, sarebbe bello sentire queste domande. Ma non accadrà. Vi chiederete forse perché, se facciamo tanto gli eroi, non andiamo a gridarle noi le domande. Risposta semplice: noi non lavoriamo per un quotidiano, nessuno ci paga per fare domande scomode o anche solo domande. E quando le facciamo, visto che spesso non resistiamo alla tentazione, il giorno dopo vediamo il lavoro (gratis) sfruttato dagli stenografi (con stipendio). E poi i grandi giornalisti con la schiena diritta (…) non ti difendono mai, anzi, si dissociano, iniziano a ridere se vieni attaccato dal Lippi di turno, come dire: “Guarda questo, viene qui a creare problemi, viene lui a fare domande, ben gli stai”. E’ accaduto mille volte e accade tuttora, quelli che scioperano sono i primi a farlo: oggi a Milanello sarà pieno di gente che aspetta religiosamente lo stipendio senza mai rischiare.
Qualche anno fa, ad Appiano Gentile, dopo l’eliminazione nei preliminari della Champions contro l'Helsingborgs, Lippi si presentò per dire che non si dimetteva, che si era preso tre giorni liberi per andare con la barca e che il mare era bellissimo. Chiedemmo, noi: “Scusi, ci interessa poco, semmai vorrebbe dirci se è vero che rimane solo per via dei soldi?”. Lui ci guardò male, gli altri si sentirono imbarazzati, ma un collega mise subito le cose a posto: ''Mister, da dove si riparte?''. Anche lui ha scioperato, per la libertà di stampa. Pure quelli che danno alla Juve mille nomi in arrivo, se abbiamo fatti i conti siamo a quota 100 nomi nell’ultimo mese: peccato non sia arrivato ancora nessuno e nessuno arriverà. Dalla lista mancano solo Cruijff e Rensenbrink, per il resto ci sono tutti.
E cosa dire della conferenza stampa di Del Piero, considerato dalla stragrande maggioranza dei tifosi bianconeri la zavorra numero uno? Andate sul sito di Tuttosport, tutti i lettori in coro a sostenere che fino a quando ci sarà lui la Juve non vincerà mai. Risultato? Titoli su Del Piero che ha detto 'Vinciamo tutto', Del Piero che ha detto 'Oggi è sabato', Del Piero che ha detto 'L’anno ha dodici mesi'. Del Piero dovrebbe ritirarsi, ma qualcosa al calcio ha dato. Questo tipo di giornalismo invece dal calcio ha solo preso. E non si ritira mai. Al massimo sciopera, sempre a ridosso del fine settimana.


di Dominique Antognoni, in esclusiva per Indiscreto

20 luglio 2010

Falsa memoria

Copione perfetto. Suggestivo, ma fuorviante: prima lo sfregio alle statue di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, poi quattro gatti alla marcia del “popolo dell’agenda rossa”, quindi il governo assente alle celebrazioni per l’anniversario della strage di via D’Amelio. Non c’è altro da aggiungere, sono ingredienti più che sufficienti per la stampa originalmente conformista, pronta a scrivere che Palermo è ripiombata nell’omertà e nella connivenza, che lo Stato si prostituisce ai depistaggi e che solo pochi uomini, puri e coraggiosi, reggono il vessillo della verità e dell’antimafia. Tutto totalmente falso. Come ieri i politici dell’antimafia (Leoluca Orlando Cascio in testa a tutti) si scagliarono contro i migliori nemici della mafia, oggi i professionisti della commemorazione, veri profanatori del ricordo, si dedicano a inquinare la memoria, cercando ancora di sfregiare il volto di due uomini che morirono isolati e sconfitti, da palermitani che credevano nello Stato e lo servivano con non ricambiata lealtà.

Il Presidente della Repubblica lo ha detto in modo autorevolissimo: “si deve fare luce”. Forse sarebbe meno scontato e retorico chiedersi da dove è giunto il buio, e fare l’elenco dei nemici di Borsellino e Falcone. Che furono tanti. Qualcuno occulto, ma tantissimi noti e palesi, dentro e fuori il Consiglio Superiore della Magistratura.

In tutti questi anni sono state raccontate panzane colossali, ripetutamente facendo fare a Falcone e Borsellino la parte degli stupidi o quella, a loro davvero estranea, dei cospiratori. Gli stessi che provvidero a togliere dalle mani di Falcone le inchieste contro la mafia poi si sono visti, in gramaglie e condolenti, piangere la sua scomparsa, quale irrimediabile danno ai siciliani e agli italiani onesti. Ah sì? E allora, di grazia, perché la magistratura politicizzata e la sinistra togata dedicarono tanto tempo e fatica all’opera di demolizione, isolamento e neutralizzazione di Falcone? Sono cose che ho già scritto, anche se si dovrebbe ristamparle ogni giorno. Vorrei porre, però, una questione ai congiunti di Borsellino, a quelli non si fanno mancare un’occasione per comparire, al punto da organizzare manifestazioni che non manifestano nulla: scusate, ma voi sapevate che il carabiniere Carmelo Canale era uno strettissimo collaboratore del magistrato, tanto stretto che questi lo chiamava “fratello”, e sapevate che detto carabiniere ha subito 14 anni di processo, accusato d’essere un traditore e un venduto alla mafia? Io lo sapevo, e scrivevo che quell’ipotesi d’accusa era, prima di tutto, un’offesa a Paolo Borsellino, un modo per descriverlo deficiente e incapace. Non ho sentito le vostre parole, fra le tante che avete avuto modo di dire. Oggi avete una possibilità: reclamate il suo reintegro nell’Arma, da definitivamente assolto, fatelo per la memoria di Paolo Borsellino. Che qui abbiamo difeso sempre, senza attendere le ricorrenze e senza farne strumento di personale affermazione.

L’ultima offesa a Borsellino, in ordine di tempo, consiste nel raccontare che egli morì perché si oppose alla trattativa fra la mafia e lo Stato. E’ offensivo perché banale (figuratevi se Falcone e Borsellino potevano anche solo concepire una simile trattativa fra “istituzioni”!), offensivo perché derivante dalle parole di un Ciancimino qualsiasi, discendente di un disonorato che si asservì al crimine per fare soldi, e lasciarli ai familiari, offensivo perché facendo finta di credere alla trattativa fra la politica e la cupola si occulta la trattativa vera, che ci fu, e consistette nel fermare le indagini sugli affari e scarcerare canaglie meritevoli della galera a vita. A questa roba Borsellino si oppose per davvero, ed è la ragione per cui, come prima Falcone, era visto come un ostacolo da chi intendeva utilizzare le inchieste per fare politica, anziché giustizia, per alimentare teoremi, anziché cercare prove, e pagò, Borsellino, in vita con l’isolamento (come Falcone) e con l’interdizione a compiere certi atti d’indagine (ritirata la mattina stessa in cui un’auto bomba lo aspettava), e pagò da morto, perché le preziose carte dell’inchiesta mafia-appalti finirono nelle mani della procura di Palermo, che provvide a spezzettarle, smembrarle, neutralizzarle. I carabinieri che le avevano condotte finirono, a vario titolo, sul banco degli imputati, accusati di mafia.

Il cacasottismo mafiologico, la mollezza mentale e spinale di tanti biascicabanalità, usò le accuse a quei carabinieri quasi a dimostrazione che i due eroi, tali perché morti, sarebbero giunti chissà dove, avrebbero scoperto chissà quali santuari, se solo non fossero stati così velenosamente circondati e infiltrati. Sfuggiva un dettaglio: se quei due potevano essere circondati da mafiosi è segno che non erano eroi, ma cretini. Questo hanno finito con il far credere, i tanti marciatori della memoria bugiarda. Ora vorrebbero anche darci a bere che se i palermitani non si gettano in massa a sfilare dietro alle loro spalle è segno che sono ricaduti nella loro natura sicula: apatica, scettica, collusa. Essi offendono i morti, con i vivi.

Ho l’impressione che Palermo, vergine baldracca, assista a riti, voci, cortei e fiaccolate senza né commozione né indignazione. Ha la colpa di non credere mai. Ha l’attenuante che non ne vale la pena. Un atteggiamento che fa rabbia e paura. Ma, e riconosco la mia debolezza di panormense, sempre meglio di quel mondo che disarmò i due grandi palermitani, li consegnò alla morte e pretende di piangerli. Questo, fa schifo

da www.davidegiacalone.it

19 luglio 2010

Cherubini

Il termine ebarico kerùb è di origine mesopotamica; in quella cultura indicava degli esseri alati parzialmente zoomorfi, posti a custodia delle aree sacre e regali. Israele li trasforma in ministri angelici della corte divina. Per questo appaiono nelle visioni, come nel caso della vocazione del profeta Ezechiele (cap.1), sono rappresentati sull'arca dell'alleanza sia nella tenda santa nel deserto, sia nel tempio di Sion, sono tratteggiati talora come i destrieri di Dio (Salterio 18,11) e come i custodi dell'area divina (Genesi 3,24). Sono, comunque, ben diversi dalla tradizionale iconografia cristiana che li ha dipinti come bambini graziosi e paffuti.

di Gianfranco Ravasi, 5oo curiosità della fede

Beelzebul

Di per sè era il nome di un dio venerato dai filistei e significava "signore principe". In ebraico era stato deformato in Beelzebub (forse signore delle mosche) per disprezzo e, così, era passato a designare il diavolo, anzi, "il principe dei demoni" (Matteo 12,24).

di Gianfranco Ravasi, 500 curiosità della fede

Anno sabbatico

Ogni sette anni la terra doveva "riposare" (in ebraico shabat) cioè non essere coltivata, così da riconoscere che i suoi frutti erano dono divino e che l'unico Signore della terra era Dio. Inoltre, in questa anno "sabbatico" si praticava la remissione dei debiti così da correggere le diseguaglianze sociali (Dueteronomio 15,2), una prassi che veniva esaltata (ma non sempre rispettata) nell'anno del giubileo che cadeva ogni sette settimane d'anni, ossia dopo quarantanove anni, nel cinquantesimo.

di Gianfranco Ravasi, 500 curiosità della fede

18 luglio 2010

Tremonti, il software del governo

È utile leggere sul sito di Repubblica (no soldi a quelli di Largo Fochetti) l'intervista al ministro Giulio Tremonti.
Utile ed importante per chi è convinto che la nervatura del crepuscolare governo Berlusconi sia saldamente nelle mani e nella mente del ganzo Giulio.
Due i messaggi forti che vengono lanciati alla starnazzante opposizione dei media e dei dipietrini-bersaniani.
La barra della politica governativa è dritta verso l'Europa ed il federalismo. Nella Comunità la credibilità di Tremonti è fortissima e la sua politica economica è un modello imitato ed apprezzato.
Il dibattito urlato dal Pd, ma anche da settori del Pdl, contro la manovra è stato francamente di una pochezza desolante: la controricetta che per pudore non è stata declarata è un massiccio aumento delle tasse, secondo una logica vischiana che ha già massacrato il paese e la credibilità stessa della sinistra. Nessun disegno strategico alternativo ma solo il rifiuto di accettare che la ricreazione è finita. Molto poco per candidarsi alla guida del paese in fantomatici governi delle larghe intese e dei mandanti noti.
Il secondo messaggio-cardine è il federalismo. Dice Tremonti, lì il paese si gioca tutto: la democrazia economica, la modernizzazione dello stato, la prospettiva strategica.
È obbligatorio credergli e sostenerlo. L'alternativa è il ritorno alle disastrose logiche dei potentati romani, agli apparati della spesa e del malaffare, alla politica cialtrona.
Tremonti non sfugge al giudizio sul rigurgito di corruzione che ha coinvolto il governo ed appassionato la compagnia dello sterco nel ventilatore (Corsera e Repubblica).
Il giudizio morale non è equivoco e di netto distacco ma l'analisi è di largo respiro: la corruzione è un fenomeno nazionale e regionale, veicolato dal fiume di soldi senza controllo d'uso che passa per le pipelines della sanità.
La ricetta non è un governo contro la volontà del popolo elettore ma una politica finanziaria del rigore che costringa il governo locale ad assumersi precise responsabilità verso i propri governati(al riguardo sarebbe di sollievo sapere che fine hanno fatto i 18 miliardi erogati dall'agonizzante governo Prodi nel 2006 a favore delle cinque regioni più indebitate per sanità, ora fra quelle che fanno più rumore contro le nuove regole).
Non sfugge infine Tremonti ad una nota di pessimismo sulle norme antintercettazioni. Legge bavaglino la chiama, cogliendo nel giusto. Grande dispendio di parole e di autoesaltazioni, probabile modesta efficacia.
Berlusconi si è fatto mettere in un angolo ed ha perso di vista, come ormai spesso gli capita, l'obiettivo.
Vuoi preservare dallo sputtanamento la vita privata di indifesi cittadini?
Bastava un articolo. Chi promuove intercettazioni è responsabile della loro secretezza sino al deposito degli atti.
Fuga di notizie? Immediato trasferimento ad altro incarico e provvedimento disciplinare di espulsione dalla magistratura.

12 luglio 2010

Mondiali Sudafrica (fine)

È finita secondo logica e forza del destino. La Spagna (meglio sarebbe dire il Barcellona) esprimendo metà del suo potenziale, soffocata nel suo gioco dal supercatenaccio orange condito di una scarponeria che avrebbe fatto arrossire i Blason e Scagnellato, ha piazzato la ciliegina al 116' supplementare.
Vince così chi si sforza di fare gioco anche in condizioni di emergenza (Torres sparito all'appuntamento della storia, Puyol ex calciatore purtroppo, ora solo guerriero), perde chi confonde il calcio con il catch.
Come è stato scritto da Pace sul Foglio, il gioco dell'Olanda "fa cagare" e proprio per questa sua intrinseca caratteristica svanisce all'appuntamento decisivo. Aveva un unico obiettivo: arrivare ai rigori e sperare nella fortuna e nelle esasperazioni comportamentali dei latini.
Obiettivo fallito.
Cosa lasciano questi mondiali?
Un'atmosfera surreale negli stadi. Niente tifo, solo trombette assordanti.
A Blatter è piaciuto così.
Gioco molto, molto mediocre, incostanza di rendimento delle big, un'occasione mancata per le sudamericane, favorite dalla stagione australe, il flop generalizzato delle star a dimostrazione di quanto paranoico sia il calcio europeo nell'incoronare idoli appena normali alla prova della storia.
L'Italia? Fortunatamente non pervenuta. Il prodotto calcio, come con fine cialtroneria dice Piersilvio, è sull'orlo del baratro. Gli stadi sono fatiscenti, sempre più vuoti.
Il calcio giocato fa pena a dispetto delle vittorie dei globetrotters di Moratti, i vivai sono inariditi anche perché da noi arrivano solo neri brocchi, gli allenatori sono pavidi e senza inventiva tattica. Un esempio? Un vecchio trombone fallito come Del Neri incaricato di ricostruire le glorie della Juve.
Per la televisione satellitare tutto questo è inesistente.
Poche settimane e rivedremo partite pazzesche, meravigliose, ora anche in tre dimensioni.

05 luglio 2010

Mondiali Sudafrica (5)

Mai dare per morto il calcio europeo! In semifinale ci ritroviamo i terribili panzer tedeschi, veri specialisti del torneo mondiale, la Spagna incostante come una damina romantica, l'Olanda che non capisci mai cosa ci faccia in alta quota con quella miseria di classe collettiva che si ritrova, ed infine gli uruguagi a difendere una solida tradizione di calcio sudamericano raffinatamente difensivo.
Sono caduti i sacri mostri, Argentina e Brasile, ed anche piuttosto male.
L'Argentina vantava il più bel potenziale d'attacco, ma alla prova del nove ha pagato la totale ignoranza del conduttore Maradona che, per menarsi vanto, aveva dichiarato che in panchina non capiva un c****. Puntuale, la nemesi ha mostrato al mondo che Diego non sa effettivamente fare le uniche cose per le quali si danno soldi a dei tromboni in panchina: correggere la formazione ed adattarla alle pieghe della partita, sostituire tempestivamente chi ha il serbatoio delle energie vuoto. Se ti innamori della tua rosa, fai uno spogliatoio di fedelissimi ma affondi con le loro debolezze. Noi a Milano, sponda rossonera, di queste vicende siamo esperti.
Il discorso sul Brasile è un po' diverso. Dunga non è uno sprovveduto, ma semmai un prevenuto.
Prevenuto verso il calciatore di pura indole brasiliana, genialoide ma sregolato, capace di sublimi raffinatezze che fanno amare il calcio, ma anche di nefandezze tattiche che ti fanno perdere una partita. Dunga, cresciuto calcisticamente in Italia, è un difensivista convinto in un paese ove si vorrebbe, per assurda follia, che anche il portiere partecipasse al gioco d'attacco. Ha plasmato una nazionale di normali, tutti maturati al calcio europeo, ma con un formidabile senso del collettivo. Doveva e poteva bastare per vincere questo mediocre mondiale. È stato tradito proprio dall'istinto brasiliano ad offendere che, nel momento necessario, non era nelle corde di questo organico, scivolato in un psicodramma impotente ed imbarazzante come raramente si era visto.
Dunga giustamente se ne va, perché era un innesto contro natura nel calcio brasiliano, ma il vero problema comincia ora. Il successore dovrà inventarsi una formula magica che recuperi l'anima carioca e la faccia convivere con le esperienze degli "europei" che non possono e non devono essere esclusi dalla Seleçao.
Auguri Leonardo, se il compito ti sarà affidato!

02 luglio 2010

Mondiali Sudafrica (4)

Oggi cominciano i quarti ai mondiali australi.
Sinora gioco mediocre, scomparsa dei fuoriclasse, fatto salvo l'immenso Messi con le ultime stille di energia che gli ha lasciato la stagione di Liga, appiattimento tattico e trionfo dell'assioma di Gipo Viani: primo non prenderle.
Qualche segnale arriva però forte e distintinguibile.
Il calcio sudamericano è in ottima salute e beneficia delle esperienze europee di migliaia di emigranti del pallone. Poiché, come dice il vecchio saggio Altafini (che per tale ragione a Sky presentano come un folcloristico rincoglionito), l'abc del calcio è il controllo di palla, in questo i sudacas eccellono sin dalle elementari. Disciplinati in Europa sotto il profilo caratteriale e tattico, non possono che essere protagonisti in un mondiale che li agevola anche stagionalmente. Su questo tema i soloni della critica italiana non si soffermano, forse perché loro la differenza non la colgono. Bucatini e pizza, rigorosamente a sbafo a Casa Italia, annaffiati dai vini migliori.
Altra piccola considerazione della memoria.
Ovunque nel mondo, nelle versioni precedenti (soprattutto centro e sudamericane) vagonate di sterco sui regimi locali, miserie indicibili, rivolte soffocate nel sangue. Chi ha buona memoria o archivi ben conservati non può non ricordare. Qui in Sudafrica ove regna Mandela, l'icona delle anime belle, dopo che Fidel e fratello si sono dimostrati quelle canaglie che sono sempre stati, silenzio assoluto sulla situazione dell'ordine pubblico, sulle favelas che sono peggio che ai tempi dei bianchi colonizzatori, sulle malefatte della classe politica. Questa è la concezione democratica dei nostri cronisti, quelli che urlano al mondo la fine della libertà in Italia perché gli si vuole rendere difficile il copia e incolla delle procure militanti.
Tornando al calcio, l'Europa presenta tre squadre di solida tradizione, specie la Germania che ha una continuità di risultati di eccellenza ai mondiali a partire dal 1954 (edizione svizzera). Il cuore latino dice però Spagna, se non perderanno concentrazione ed umiltà. All'Olanda non credo, tanto meno in questa che ha il tasso tecnico più scadente fra le migliori. Di Giappone e Ghana non fa conto parlare.

Ma noi milanisti cosa abbiamo fatto di male?

Fervono i mondiali ma la politica non si fa mancare nulla. Ai tempi della balena bianca, i mondiali erano un time-out dell'intrallazzo e dell'azzeccagarbuglio.
Ora invece lavorano indefessi. Sui grandi temi della privatezza e dello scudo giudiziario, l'epica battaglia si combatte fra due eserciti egualmente servi. Gli uni di Berlusconi, gli altri delle procure.
Il mio antidoto? Alle 20 un telegiornale, a piccolissime dosi, tanto delle cazzate ho fatto il pieno al mattino in edicola.
Nel frattempo, sotto traccia, si sta giocando la gigantesca partita del sottopotere: authority, enti, Rai e quant'altro, tutti i mandarini sono in movimento. Si riformulano le graduatorie, si sistemano gli amici, si consumano le vendette politiche all'interno della maggioranza.
L'agonia del berlusconismo non è differente da quella del centrosinistra, o meglio della Dc, con un'unica significativa variante: l'altra volta la magistratura era un valore salvifico per l'opinione pubblica, oggi è correttamente interpretata come uno degli addendi del prossimo regolamento di conti.
A noi, che l'età consente di giudicare con serenità e divertimento tutto ciò, perché riconosciamo vecchi copioni spiegazzati ed immutabili comparse che reinterpretano se stessi, un'unica grande angoscia: Berlusconi a Panama comunica che non vende il Milan.
Una notizia terribilmente seria rilasciata durante il solito spettacolo di cabaret per la stampa internazionale (ma non facciamoci abbagliare: i cronisti di politica sono della stessa famiglia di quelli del calcio, bastano bucatini e pizza annaffiati da buon vino per appagarli). Anzi è intenzionato a trascinare le sue sclerosi per altri 25 anni in Via Turati, insieme a Galliani e Braida, con l'assistenza medico-spirituale di Don Verzè.
Il calcio non è la politica. Non si può tifare Inter per protesta.
Scriveva Ugo Tognazzi che si può cambiare donna ma non la squadra del cuore. Profonda verità.
Ma noi cacciaviti cosa abbiamo fatto di male?