Fra pochi giorni partirò per Israele. Un viaggio che ho desiderato da anni e dal quale mi aspetto grandi segni spirituali.
Ci rivediamo a fine mese.
18 maggio 2009
11 maggio 2009
Il paradosso Bpm
Con la governance preannunciata le nuove ipotesi di aggregazione di Mazzotta avrebbero avuto facile successo, senza bisogno del sì degli “interni”. Perciò ha vinto Ponzellini.
Non mi è sembrato affatto che il recente cambio alla guida della Banca Popolare di Milano, deciso nell’assemblea del 25 aprile, avesse come segno prevalente quello invece ravvisato dalla maggior parte dei media che hanno descritto la vicenda. E cioè il fatto che il presidente uscente Roberto Mazzotta affidasse la comunicazione della propria battaglia di discontinuità a Facebook, e altrettanto facesse lo sfidante Massimo Ponzellini. Al più, quella era una nota di colore. Considerando la particolare governance delle popolari, e in primis nella Bpm che per statuto vede il voto dei soci dipendenti assai più rilevante che in altri istituti consimili, è infatti del tutto ovvio che la comunicazione passi per i nuovi strumenti offerti da internet.Piuttosto, i nodi veri mi sono sembrati altri. Ho grande stima, e da molti anni, di Roberto Mazzotta. Anche per questo non ho compreso come abbia potuto – dopo diverse ipotesi di aggregazione da lui avanzate e propugnate, alle quali in occasioni e contingenze diverse comunque i sindacati interni all’istituto hanno opposto il loro no – convincersi che, alla fine, tutto quello che non era riuscito a ottenere fino ad allora potesse invece affermarsi per una sorta di salvifica rottura in assemblea. Un’ipotesi “illuministica”, se mi si passa il termine: ma più nel senso di forzatura da eccesso di ragionevolezza presunta che di adesione al reale in nome delle scienze sperimentali.Il no alla riconferma di Mazzotta da parte dei sindacati e il convergere dei rappresentanti dei dipendenti (di tutti, compresa la Cgil) su un candidato di fatto più vicino al ministro Giulio Tremonti che a chiunque altro nella geografia complessa dei poteri italiani, è stato un fatto senza precedenti, nelle cronache bancarie. Capisco bene che Mazzotta abbia legittimamente tentato, per questo, di giocare la carta “la politica tenga giù le mani dall’indipendenza della banca”. Ma il problema è che Ponzellini “aggiunge”, per così dire, la vicinanza a Tremonti alla forza di chi l’ha sostenuto, ma si limita a questo, perché la forza vera in Bpm sta nei sindacati. E questi ultimi, a proposito di indipendenza, ravvisavano ormai proprio in Mazzotta il vero attacco all’autonomia della banca, a fronte di nuove ipotesi di aggregazione che, questa volta, con la diversa governance preannunciata avrebbero avuto maggiori possibilità di andare in porto, senza bisogno di essere sottoposte all’esame pregiudiziale degli “interni”. Per questo non mi ha stupito il risultato finale. E, tutto sommato, proprio in nome del realismo propendo per considerarlo un bene e non un male, alla luce anche di molte sconsiderate aggregazioni avvenute negli anni recenti nel mondo delle popolari tra Lombardia e Veneto, sull’asse Lodi-Verona-Novara-Vicenza-Brescia-Bergamo, aggregazioni decise più per questioni di potere o per annegare perdite patrimoniali in nuovi attivi che con un sano e coerente disegno di crescita industriale. Diverso sarebbe pensare, proprio oggi che le banche stanno operando una sana pulizia dei loro attivi, ad aggregazioni nel terzo pilastro del nostro sistema, quello che riguarda le Bcc, il credito rurale e quanto resta delle casse di risparmio, per l’equivalente di una grande Crédit Agricole italiana. Ma di questo parleremo un’altra volta.
Oscar Giannino, da Tempi del 7 maggio 2009
Non mi è sembrato affatto che il recente cambio alla guida della Banca Popolare di Milano, deciso nell’assemblea del 25 aprile, avesse come segno prevalente quello invece ravvisato dalla maggior parte dei media che hanno descritto la vicenda. E cioè il fatto che il presidente uscente Roberto Mazzotta affidasse la comunicazione della propria battaglia di discontinuità a Facebook, e altrettanto facesse lo sfidante Massimo Ponzellini. Al più, quella era una nota di colore. Considerando la particolare governance delle popolari, e in primis nella Bpm che per statuto vede il voto dei soci dipendenti assai più rilevante che in altri istituti consimili, è infatti del tutto ovvio che la comunicazione passi per i nuovi strumenti offerti da internet.Piuttosto, i nodi veri mi sono sembrati altri. Ho grande stima, e da molti anni, di Roberto Mazzotta. Anche per questo non ho compreso come abbia potuto – dopo diverse ipotesi di aggregazione da lui avanzate e propugnate, alle quali in occasioni e contingenze diverse comunque i sindacati interni all’istituto hanno opposto il loro no – convincersi che, alla fine, tutto quello che non era riuscito a ottenere fino ad allora potesse invece affermarsi per una sorta di salvifica rottura in assemblea. Un’ipotesi “illuministica”, se mi si passa il termine: ma più nel senso di forzatura da eccesso di ragionevolezza presunta che di adesione al reale in nome delle scienze sperimentali.Il no alla riconferma di Mazzotta da parte dei sindacati e il convergere dei rappresentanti dei dipendenti (di tutti, compresa la Cgil) su un candidato di fatto più vicino al ministro Giulio Tremonti che a chiunque altro nella geografia complessa dei poteri italiani, è stato un fatto senza precedenti, nelle cronache bancarie. Capisco bene che Mazzotta abbia legittimamente tentato, per questo, di giocare la carta “la politica tenga giù le mani dall’indipendenza della banca”. Ma il problema è che Ponzellini “aggiunge”, per così dire, la vicinanza a Tremonti alla forza di chi l’ha sostenuto, ma si limita a questo, perché la forza vera in Bpm sta nei sindacati. E questi ultimi, a proposito di indipendenza, ravvisavano ormai proprio in Mazzotta il vero attacco all’autonomia della banca, a fronte di nuove ipotesi di aggregazione che, questa volta, con la diversa governance preannunciata avrebbero avuto maggiori possibilità di andare in porto, senza bisogno di essere sottoposte all’esame pregiudiziale degli “interni”. Per questo non mi ha stupito il risultato finale. E, tutto sommato, proprio in nome del realismo propendo per considerarlo un bene e non un male, alla luce anche di molte sconsiderate aggregazioni avvenute negli anni recenti nel mondo delle popolari tra Lombardia e Veneto, sull’asse Lodi-Verona-Novara-Vicenza-Brescia-Bergamo, aggregazioni decise più per questioni di potere o per annegare perdite patrimoniali in nuovi attivi che con un sano e coerente disegno di crescita industriale. Diverso sarebbe pensare, proprio oggi che le banche stanno operando una sana pulizia dei loro attivi, ad aggregazioni nel terzo pilastro del nostro sistema, quello che riguarda le Bcc, il credito rurale e quanto resta delle casse di risparmio, per l’equivalente di una grande Crédit Agricole italiana. Ma di questo parleremo un’altra volta.
Oscar Giannino, da Tempi del 7 maggio 2009
06 maggio 2009
Teatrini televisivi e faide giornalistiche
Per caso e per insonnia mi sono ritrovato ieri sera ad ascoltare il primo ministro che a "Porta a Porta" ha, con la solita cascata di parole, dato la propria versione della separazione dalla moglie, in arte Veronica Lario.
Le separazioni a mezzo stampa e le giustificazioni nel tubo catodico bene si attagliano a questi mediocri personaggi abbarbicati alla loro parte nella commedia della vita.
In tutta questa fantasmagorica pioggia di parole false, una sola realtà emerge chiaramente, a mio modestissimo avviso.
La materia del contendere è la ripartizione del patrimonio tra figli legittimi e non. E poiché i soldi sono molti, le lame scintillano sotto la luna.
Tutto il resto: amore, tradimenti senili, ripicche politiche e ciarpame assortito è solo rappresentazione per il popolino.
Proprio come, agli inizi del novecento, quando i poveracci portavano i figli in Galleria alla domenica a guardare i sciuri che mangiavano il gelato.
Le separazioni a mezzo stampa e le giustificazioni nel tubo catodico bene si attagliano a questi mediocri personaggi abbarbicati alla loro parte nella commedia della vita.
In tutta questa fantasmagorica pioggia di parole false, una sola realtà emerge chiaramente, a mio modestissimo avviso.
La materia del contendere è la ripartizione del patrimonio tra figli legittimi e non. E poiché i soldi sono molti, le lame scintillano sotto la luna.
Tutto il resto: amore, tradimenti senili, ripicche politiche e ciarpame assortito è solo rappresentazione per il popolino.
Proprio come, agli inizi del novecento, quando i poveracci portavano i figli in Galleria alla domenica a guardare i sciuri che mangiavano il gelato.
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