30 dicembre 2006

Morte di un dittatore arabo

Saddam Hussein, il despota di Bagdad, è stato impiccato stamane all'alba.

Si chiude tragicamente la storia personale e politica di un dittatore sanguinario che ha perseguitato per un trentennio i propri connazionali sciiti e curdi. Le nefandezze del satrapo irakeno sembrano inoppugnabili. E chi gestisce ora il potere, in un regime di democrazia simulata, lo ha punito secondo le regole di cui Saddam aveva fatto abuso.
Non molto ci sarebbe da aggiungere se costui fosse stato semplicemente un rais mediorientale.
Sarebbe stata un'abituale storia di una dittatura mediorientale finita male invece che con una successione familiare.
Il problema nasce dalla pericolosità cosmica che l'Occidente (l'unico che conta) ha creduto di riconoscere nel suo regime, mentre contemporaneamente ben altri nemici e di ben altro spessore facevano stragi nelle capitali del mondo.

Si leggono inevitabilmente molti commenti sulla sua condanna a morte.
Di pieno convincimento negli Stati Uniti, convinti assertori della massima pena per ogni massima colpa, ed in Inghilterra, che con loro sta condividendo l'onere della sporca guerra per liberare l'Iraq dal bathaismo ed indirizzarlo verso sistemi di democrazia rappresentativa.
Scontato, plausibile e doveroso il no delle religioni alla pena capitale.
Ipocrita e spocchioso, come noiosamente sa esserlo, il no della cosiddetta Europa. In fondo è morto un socio in affari!
Ovviamente il no in Italia è singhiozzante, universale, trasversale agli schieramenti, piagnucoloso. Indignato e gridato quello della sinistra.

E allora dal mio niente mi permetto di battere un pugno ed urlare: "non ci sto".
Proprio non ci sto, come un presidente della repubblica, ora emerito, accusato da un pentito di avere usufruito fuori sacco di duecentomilioni di monetine al mese per le attività meno eleganti del ministero dell'interno. Disse "non ci sto" e basta, e senza prove a discarico.

Io con qualche spiegazione.
Io rispetto il no dei cattolici della gerarchia e di coloro che fanno della fede una regola quotidiana di vita. Considero coerente il no dei radicali che, fatta eccezione qualche recente amnesia della Bonino, hanno denunciato come sanguinari i regimi di Cuba, Cina e paesi islamici africani.
Mi provoca il voltastomaco il no della sinistra che sulle carneficine fa il compare di Collegno dai tempi di Stalin e che, nella recente storia italiana, proprio la pena di morte ha usato per liquidare i nemici del suo popolo.
Benito Mussolini ed Aldo Moro, in contesti diversi, con colpe storiche opposte, sono la prova che la sinistra non rifugge dalla pena suprema per eliminare i simboli viventi delle ideologie nemiche.
Proprio come i vituperati americani. Perché la cultura imperialista ha colorazioni diverse, ma recita da sempre gli stessi copioni.
I figuranti che vogliono cambiare commedia in corso d'opera sono solo dei mistificatori e degli ipocriti.
La loro recita entusiasmerà il popolo delle anime belle e dei trinariciuti ma a me, che ancora sto aspettando le scuse per i gulag della Siberia, il "mi vergogno" per lo scempio di Piazza Loreto, l'abiura per i compagni che sbagliarono in Via Fani, questo grido di dolore per la morte di un dittatore fa solo schifo.

24 dicembre 2006

Ho letto Simenon

Ho rifiutato per anni di leggere un autore per un mero pregiudizio, una delle colpe che considero imperdonabili negli altri e nonostante amici sensibili me lo consigliassero vivamente.
Da alcuni mesi sto leggendo romanzi di Simenon quasi con frenesia, identificandomi nei suoi personaggi soli e quietamente disperati.
La sua prolifica produzione sembra non avere prodotto scontati effetti di banalità e ripetitività delle trame. Le vicende, siano esse ambientate nelle periferie di Parigi o nella provincia francese, hanno sempre un sapore di sorprendente novità, una preziosa scoperta di esistenze chiuse nel dolore e nella sconfitta.
Ho finito di leggere Il Clan dei Mahè.
È la storia di un perdente che insegue un chimerico obiettivo di sradicamento dal proprio contesto familiare ed ambientale, accumulando passo per passo nuove frustranti disperazioni sino al dissolvimento finale.
Romanzo bello, con una ritmica narrativa lenta ma avvincente, impreziosita dall'abituale maestria di Simenon nel disegnare compiutamente i profili psicologici di tutti i suoi personaggi, anche quelli minori, sino a comporre un armonico affresco che s'impossessa della nostra memoria.

19 dicembre 2006

Italiani brava e maleducata gente

Anni Quaranta non è defunto.
E' solo ripiegato su se stesso e riflette sull'aspetto drammatico dell'esistenza dopo essersi intrattenuto sulle comicità e gli squallori del nostro quotidiano, sulla modestia delle nostre passioni.
Ma anche nei momenti più ardui, noto che la stirpe italiana riesce a dare il peggio di se stessa.
Leggevo tempo addietro che il cellulare, prezioso strumento di civiltà e di libertà se usato con parsimoniosa correttezza, veniva sguaiatamente usato nelle scuole e squillava nei luoghi di culto, ove si va per convinzione e per rispetto di Dio e quindi del prossimo.
Non credevo che le corsie di ospedale si fossero trasformate in un posto telefonico pubblico.
E qui l'italico dà il meglio di se stesso.
Il meno sofferente prevarica la quiete del più malato urlando banalità nell'aggeggio, ad ogni ora del giorno e della notte.
Il modo d'uso "silenzioso" viene considerato un insulto perché impedisce di mettere in mostra la fantasia musicale e la perizia nell'esasperare i decibel del suono.
Il perfezionismo si tocca nell'orario visite, quando le conversazioni intorno ai letti si intrecciano con le telefonate in arrivo ed in partenza.
Una vera community dei cafoni .
Ma siamo buoni.
E' Natale.
Una festa di speranza soprattutto per coloro che ad essa si aggrappano per immaginare altri Natali come quelli della gente normale.

Buon Natale a tutti!

19 novembre 2006

La repubblica degli ipocriti

Ieri, durante una manifestazione comunista a Roma a favore del terrorismo palestinese, gruppi di reduci delle gloriose giornate di Genova hanno simbolicamente bruciato pupazzi raffiguranti i nostri soldati di Nassyria.
Si è alzato vivo lo sdegno dei destri e dei sinistri e persino di Diliberto, uno dei soliti noti che sfila con la meglio gioventù dei centri sociali.

Io, francamente, mi sdegno dello sdegno.
In un paese che da trent'anni tollera centri sociali ricettacolo di reati, i cui ospiti allorché escono dai loro covi seminano distruzione e che nei momenti di mansuetudine riducono i muri delle città a porcili di ghirigori, ogni nuova impresa suona solo a vergogna di chi ha consentito che questi tumori si radicassero nelle nostre città.
Mi sdegno con i capitalisti, novelli Feltrinelli dei salotti buoni, che li hanno ospitati nei loro capannoni e nelle loro catapecchie.
Mi sdegno con chi li ha coperti politicamente senza ottenere come contropartita l'avvio di un percorso di normalizzazione.
Mi sdegno con la Guardia di Finanza che non interviene contro questi paradisi del commercio equo e solidale esentasse.
Mi sdegno con Prodi che li accoglie nella propria maggioranza.
Mi sdegno con l'assessore alla cultura di Milano, Sgarbi, che farnetica di trasformare in un museo il Leoncavallo per impedirne lo sfratto.
Mi sdegno con la destra che in cinque anni di governo ha finto che il problema fosse politico e non d'ordine pubblico.
Mi sdegno con Bertinotti che in doppio petto inorridisce, mentre dal suo partito e da quello dell'ineffabile Diliberto vennero giudizi tremendi sulla missione di belligeranti delle nostre truppe in Iraq, e sui loro giornali si leggeva che i nostri militi erano una prezzolata legione straniera che meritava di correre rischi mortali.

La verità è che questi gi-ottini sono figli legittimi e vezzeggiati della sinistra che li ha sempre giustificati e considerati una risorsa.
Oltre che un'ottima leva di manovra quando occorre dare spallate alla destra.

18 novembre 2006

La repubblica dei pazzi (segue)

Prodi ha dichiarato venerdì che il paese si sta svegliando.
Padoa Schioppa ha prontamente provveduto ad aumentare la dose di sedazione con un emendamento alla finanziaria di oltre 800 commi.
Prodi mugolando ha chiesto la fiducia alla Camera dei Deputati, spiegando che è un intervento terapeutico necessario.

13 novembre 2006

La repubblica dei pazzi

Ogni governo ha un proprio stile di conduzione della funzione propositiva ed una specifica connotazione nella comunicazione.
L'esecutivo di Prodi non sfugge a questa regola.
Anzi si può definire un unicum.
Durante la fase dibattimentale della legge finanziaria, il più corposo ed importante atto di gestione politica dell'anno, riesce ad emanare ogni giorno decine di modifiche alla propria proposta, metà delle quali volte a rettificare le norme del giorno precedente, che non erano state proprio benevolmente accolte dalla sua stessa maggioranza oltre che dai settori di volta in volta vessati.
Naturalmente ogni toppa è peggiore del buco e così si accavallano polemiche e rettifiche.
Il risultato è uno sconfortante puzzle di provvedimenti caotici il cui collante è solo, esclusivamente, la feroce determinazione di innalzare il peso fiscale sui cittadini.
Il meglio, il governo ed il Presidente in persona lo realizzano nella comunicazione.
L'assunto è che i cittadini non capiscono la finanziaria perché egoisti, disonesti, malinformati.
Ed anche pazzi.
L'irrequietudine di Prodi non ha ormai confini che la contengano.
Il suo stato di salute psichica pone serie preoccupazioni anche al suo clan. La prossima mossa, assai temuta dai suoi amici, è la nomina della sua bicicletta da corsa nello staff della presidenza del consiglio.

12 novembre 2006

La squadra degli invincibili

Parlare del Milan nel novembre del 2006 sta diventando noioso ed imbarazzante.
Scritto una volta che la squadra è vecchia, demotivata e sfiatata, che l'allenatore non sa inventare più nulla, che la dirigenza è esclusivamente dedita alla propria autoassoluzione ed autocelebrazione, non c'è nulla di nuovo da aggiungere.
Il campo, il giudice sovrano ed inappellabile di questo sport, dice che il Milan è sceso in zona retrocessione e non tanto e solo per gli errori degli arbitri, mediocrissimi come sempre, bensì perché nelle ultime sette partite ha collezionato cinque punti con una media-retrocessione di 0,71 a partita.
Questo è tutto e, poiché finge di non capire anche il proprietario, aspettiamoci una naturale conclusione per questa stagione...

05 novembre 2006

Domani Milano?

Milano è una città brutta ed invivibile.
Anche se la passione indigena fa dilatare gli effetti di qualche scheggia di bello, la realtà è che la nostra città diventa ogni giorno meno piacevole, più anonima, più attorcigliata fra cementi, nastri d'asfalto brulicanti di lamiere, sporcizia ed aria inquinata.
Assicurano che questo sia il destino delle metropoli ma, avendo girato abbastanza l'Europa, la sorte matrigna come con noi lo è stata raramente.
Milano ha una posizione geografica infelice. Non beneficia di una ventilazione decente e quando c'è vento, come in questi giorni, siamo talmente disabituati che diventiamo tutti isterici.
Ha una configurazione toponomastica contorta che nemmeno i bombardamenti della seconda guerra mondiale sono riusciti a correggere.
Ha ai propri angusti confini (un'area municipale fra le più limitate) diagonali di centrotrenta chilometri urbanizzate ognuna secondo un proprio modello, ovviamente in dispregio di un disegno globale che nessun ente territoriale, impegnato in visioni planetarie, gli ha mai imposto.
In questo contesto, il problema del traffico è esplosivo come porre una colonia di batteri del tifo nell'acquedotto..
Per limitarsi agli ultimi vent'anni, hanno tentato di metter cerotti tutte le amministrazioni municipali, con rimedi di breve respiro e mancanti di una visione strategica.
Singolare fu l'idea di un sindaco socialista di chiudere il centro storico a sorpresa nei giorni di Natale, con le auto tutt'intorno incolonnate ed impossibilitate a svincolarsi. Raccontano di qualcuno che lì trascorse la notte del Bambino.
Egualmente geniale fu un tale Formentini che per porre ostacoli al traffico sospese la manutenzione delle strade, che presto sembrarono un paesaggio lunare. Tutte le categorie dell'auto lo elessero loro benefattore.

Ora arriva la signora Moratti, sindaco delle libertà, che medita di passare alla storia per avere restituito a Milano l'aria pulita, dopo avere riformato con minore fortuna la scuola italiana da ministro.
Milano non è eliminabile?
Le auto nemmeno, per ora?
C'è qualcosa di trendy ed ecologico in giro per l'Europa?
Voilà, il gioco è fatto. Un consistente ticket per tutti coloro che usano la macchina, siano essi pendolari o residenti, con l'unica eccezione per coloro che comprano l'auto nuova, così Luca Cordero ed il Corriere saranno più amici.
In cambio?
Fra cinque anni, aria delle Orobie circolerà festosa per le nostre piazze e vie e potremo girare anche senza mascherina in inverno.
Ci saranno le piste ciclabili, così le signore bene ed i vecchi biliosi eviteranno di investire i pedoni sui marciapiedi, molti tram in più, tante caldaie ecologiche per quando verrà freddo. Se non si adegueranno, i proprietari degli stabili saranno tassati affinché con il ricavato si possa fare circolare anche aria delle Dolomiti nelle domeniche milanesi.
Il noto problema dei parcheggi per ospitare le auto sarà risolto dalla drastica diminuzione delle stesse.
Il programma d'estensione della rete metropolitana sarà accantonato per la semplice ragione che i milanesi preferiranno spostarsi a piedi o in bicicletta.
Resterà il problema dell'inquinamento dell'hinterland. Se tutti i comuni confinanti, e così via a raggera, non si adegueranno alle regole della capitale, il secondo piano quinquennale prevederà un importante investimento in paratie alte centinaia di metri che saranno calate intorno ai confini cittadini ogni volta che i valori dell'inquinamento provinciale minacceranno la purezza dell'aria milanese.
Tutto perfetto?
Un problema si porrà. L'assembramento di pedoni nelle strade impedirà la pulizia periodica delle stesse. La sporcizia via via si accumulerà, creando impedimenti alla circolazione ma anche proteste dei cittadini esasperati che, sobillati dalla malavita, appiccheranno pericolosamente il fuoco ai rifiuti.
L'ordine pubblico peggiorerà, e vive saranno le proteste delle signore bene che non potranno più circolare con le loro biciclette griffate.
Il sindaco Moratti penserà allora ad un provvedimento drastico e rivoluzionario come l'antica tassa sulle auto.
Un dazio per tutti i cittadini che calpestano l'asfalto pubblico ed un articolato programma affinché tutte le attività impiegatizie siano svolte al domicilio con il computer, così come tutti gli acquisti per la sopravvivenza.

Sarebbe stata la perfezione, se non fosse esistito quello stupido partito dell'inquinamento che alleatosi con i leghisti, i conservatori, il partito degli automobilisti e dei pedoni, usò il suo voto determinante per sfiduciare il sindaco.

01 novembre 2006

Ho letto Vassalli

Sebastiano Vassalli è con Sciascia, Salinger, Chiara uno degli autori che leggo dagli esordi e cui continuo ad essere attento e fedele.
L'ultima raccolta di racconti edita per i tipi di Einaudi nell'agosto scorso, La morte di Marx, segna un tentativo dello scrittore di sperimentare nuove strade.
Egli scrive in nota all'opera che... «bisognava tentare di essere assolutamente moderni e... dopo avere pensato per vent'anni (credo a ragione) che il presente non fosse raccontabile, ho voluto tornarci per vedere se era cambiato qualcosa...».
Ne è sortita un'opera strana, composta di tre parti scritte in epoche diverse, di cui nell'ultima, di due anni fa, si può cogliere di Vassalli il respiro del grande affrescatore e narratore.
Più taglienti, brevi, quasi asettici i racconti moderni che raffigurano uomini-automi, atomi di una massa senz'anima.
Una lettura affascinante, stringente, provocante nei sentimenti contrastanti che suscitano i due momenti del libro. Lo raccomando, non prima di suggerire per chi non avesse dimestichezza con l'Autore, di leggere almeno La notte e la cometa.

30 ottobre 2006

Derby amaro

Perdere un derby provoca sempre una stizza amara.
Che si abbiano 12 punti veri di vantaggio o che si faccia un campionato di preparazione alla Champions come l'attuale, la supremazia sotto il campanile vale indiscutibilmente una stagione!

Ieri sera, 29 ottobre, il Milan ha perso per la seconda volta di seguito in casa, come non gli capitava da nove anni, contro gli odiosi nerazzurri: quelli dello scudetto politico della vergogna.
Ha perso e rischiato la goleada sino al 60° giocando sui suoi standard peggiori dell'anno.
Una difesa impresentabile, con Dida tremebondo come gli capita troppo spesso nelle occasioni importanti, un Nesta fermo come un paracarro, Cafù un ex e Janku un mediocre senza personalità che solo Galliani vede campione per giustificare una delle tante topiche delle sue campagne acquisti.
Al quarto gol degli odiosi nerazzurri, segnato dal più insopportabile di tutti, Materazzi, costui si faceva espellere per un festeggiamento becero ora finalmente vietato dai regolamenti.
Sotto di tre, svillaneggiato dalla curva dei motorini, il Milan ha tirato fuori orgoglio ed attributi, giocando finalmente una partita d'attacco in verticale, occupando stabilmente le fasce, mettendo passione ed irruenza, sino a sfiorare un clamoroso pareggio nei minuti di recupero.
Ciò gli ha meritato la hola della curva epurata dal vicepresidente esecutivo, ma non cambia la sostanza di una sconfitta insopportabile.
Sono ricomparsi gli attaccanti a tabellino. Il Gila molto più solido di un Inzaghi in tilt ed in debito di considerazione con gli arbitri, Seedorf che ha dimostrato di sapere offendere con il tiro da media, se solo la panchina gli vieta di fare la foca da circo, Kakà ha confermato d'essere l'unico fuoriclasse di questa squadra.
L'attacco in trance agonistica ha supplito anche al vuoto di un centrocampo in cui Pirlo sembra sempre di più perso alla causa ed inoltre svogliato e supponente.
Dimenticavo che per 45' ha giocato Oliveira, il fuoriclasse da 44 miliardi di lire, che Galliani ha acquistato perché sponsorizzato dal fratello di Ronaldinho. Non pervenuto anche stavolta.
Stesso timing per Maldini, che a 38 anni ha dato vigore e dinamismo alla fascia di sinistra, sempre orfana del concorde brasiliano.

Adesso tappiamoci le orecchie per non ascoltare gli sfottò degli interisti e pensiamo seriamente a come aggiustare in modo dignitoso questo campionato, senza farci venire angosce da quarto posto che sembrano onestamente al di fuori della nostra portata, a causa degli otto punti di penalizzazione e dell'involuzione di una squadra che è ormai arrivata al capolinea della propria avventura in rossonero.
L'handicap non è stato alleviato dal Coni, sembra per un dictat della "soave" Melandri.
La coproduzione Galliani-Meani, con regia dell'avv. Rossi, è talmente di successo che hanno pensato di lasciarla in cartellone.
Pensiamo a non gettare alle ortiche una stagione che può servire per la ricostruzione della squadra, magari con qualche acconcio innesto al mercato di riparazione di gennaio.
Ma di ciò si occupi Berlusconi, e non il nefasto pelato.

Arrivederci al derby di ritorno ed alla Champions, se avremo fiato e gambe per andare avanti oltre il girone eliminatorio.

25 ottobre 2006

Promemoria per mio figlio

Tradotto dal politico-burocratese, la vicenda del Tfr è in questi termini.
Tu alla fine del mese rinunci ad un tot di retribuzione per accantonarla, per la tua buon'uscita alla cessazione del rapporto con l'azienda.
Sino ad oggi questi soldi se li incamerava il datore di lavoro, che iscriveva il debito in bilancio senza preoccuparsi di dotarsi della relativa copertura.
Non glielo imponeva né la deontologia contrattuale né una delle tre-quattromila leggi, leggine, decreti, norme attuative che il Parlamento italiano emana ogni anno.
Era, di fatto, un conto soci che veniva onorato se al momento dell'addio l'azienda era ancora viva e vegeta. Diversamente, passavi fra i creditori privilegiati con tutte le garanzie del caso per il liquidatore fallimentare.
In quarant'anni di vita lavorativa, mai sentito un sindacalista denunciare l'esistenza di fondi liquidazione senza copertura. Figuriamoci l'ufficio studi di Confindustria.
Silenzio anche da parte della stampa economica e dei guru della Bocconi.
Era una stranezza del sistema Italia, ma funzionava perfettamente nel silenzio omertoso di tutti.
L'unica vera garanzia era che il tuo debitore potevi guardarlo in faccia e, ultima ratio in caso d'inadempienza, rigare la Bmw del direttore del personale.
Lo stato sociale?
Si faceva vivo all'atto dell'erogazione della liquidazione tassandoti con una sontuosa aliquota.
Adesso cosa cambia?
Cambia il tuo debitore. Si chiamerà Inps.
Solo a nominarlo vengono i brividi, poiché i tuoi soldi accantonati non solo continueranno a non avere copertura ma saranno a forte rischio di prelievi per la c.i.g. della Fiat, contributi di solidarietà, prelievi patrimoniali ed altre viscate del genere.
Ma tu ti chiedi perché il sindacato non ha reagito indignato, anzi ha sottoscritto questi protocolli.
Semplice.
Con i fondi Tfr espropriati e le pensioni prossimamente riformate, ipotizzano di introdurre una contrattazione previdenziale integrativa gestita, bada bene, non da esperte società finanziarie ed assicurative, ma dai sindacati stessi con l'assistenza di Unipol e compagni, al fine di costituire masse di liquidità da portare a sostegno di qualche capitano coraggioso nel risiko dei capitali.
Quanto a quelli delle piccole aziende, continuino a sbrigarsela con i loro datori di lavoro.

Questa è una storia tutta italiana.
Italiana perché in Europa non esiste, di fatto, la liquidazione di fine rapporto ed il lavoratore gode quindi di una maggiore retribuzione.
Italiana perché una norma espropriativa di stampo leninista, dopo la caduta del muro, poteva essere concepita e realizzata solo in questa penisola mediterranea a conduzione ulivista.
E adesso?
Adesso metteranno mano alle pensioni, se i numeri gli consentiranno di governare sino all'autunno del 2007.
E le lacrime diventeranno pianto dirotto.

22 ottobre 2006

Alla fine del viaggio

Non c'è molto da commentare dopo Milan-Palermo 0 a 2.
È stato già detto tutto sul grado di sfinimento di una squadra senza riserve atletiche e senza gioco.
È stato sufficiente incontrare un avversario di buon valore ed organizzazione, che in estate ha fatto gli acquisti giusti (Simplicio non ti dice nulla Galliani?), ed è calata subito la notte.
I rossoneri hanno un attacco tatticamente incapace di segnare, perché le due punte giocano in un metro quadro e non se la passano nemmeno sotto tortura, e Tizio Oliveira non risulta pervenuto nel mondo del calcio.
Difesa e centrocampo vivono degli scampoli di vitalità di ex atleti senza entusiasmi e senza nerbo.
Poiché nella vita i belgi di Bruxelles capitano ogni cinque anni, aspettiamoci nel campionato altre magre figure e delusioni cocenti.
Se la dirigenza esistesse ancora, ne prenderebbe atto per mettere a frutto l'annata di transizione con qualche inserimento di prospettiva al mercato di gennaio e per pretendere un nuovo modulo di gioco, previo pensionamento di Ancelotti.
Se invece si continuerà a specchiarsi nella fotografia di quando si era giovani e belli, si correranno rischi anche gravissimi.
Ho abbastanza anni per ricordare il Milan di Radice che andò in Serie B convinto di giocare meglio di tutti gli altri.
Provvedere, sin che c'è tempo!

14 ottobre 2006

La palude

E' arrivato il decreto Gentiloni sul cosiddetto riordino del sistema televisivo e puntualmente è seguita la furiosa reazione di Berlusconi.
Che noia e che tristezza.
Da oltre quindici anni la politica italiana, tutta, ruota intorno a questo tema.
Da un lato gli statalisti che vorrebbero tornare alla sola Rai con qualche privata per la pornografia notturna; dall'altra Mediaset ed il suo proprietario che non intendono cedere un centimetro delle posizioni acquisite.
Ma nel frattempo sono passati i lustri!
Le battaglie di libertà combattute dal paese per un sistema televisivo più libero e concorrenziale sono passate senza lasciare traccia di cambiamento.
I gruppi editoriali del duopolio si sono omologati reciprocamente con palinsesti sempre più spogli, plebei, beceri oltre il limite della dignità.
La diretta e l'informazione si sono allineati al pensiero comune del generone romano, un po' fregnone, de sinistra veltroniana.
Il proprietario di Mediaset si è dato alla politica con un occhio sempre e solo attento alla tutela del proprio patrimonio.
E sono passati quindici anni in cui abbiamo sentito parlare solo di televisioni, duopolio e connesso conflitto d'interesse.
Mai di industria culturale.
Sentire la sinistra ancor'oggi anelare ad una Rai monocolore o Berlusconi che parla di attentato alla democrazia fa veramente pena.
Fa dispiacere constatare che la politica non abbia donato al Cavaliere una capacità di visione che sappia innalzarsi oltre Cologno Monzese, l'affollamento pubblicitario e altre bazzecole.
Non stupisce vedere confermato che il nascente Partito Democratico ed i suoi esponenti sappiano solo fare il girotondo intorno al cavallo di via Mazzini, mentre il riformismo è affidato al trio delle meraviglie Di Pietro-Mastella-Visco.
E in questa furibonda battaglia, questi titani della politica non avvertono che all'opinione pubblica, a differenza di quindici o dieci anni fa, di Rai o Mediaset e dintorni non interessa più niente.
Fatta eccezione per gli stipendiati dell'Auditel, tutti sapremmo sopravvivere a meno Mentana, Costanzo, reality e bischerate varie, ma anche a buona parte dei programmi Rai. Per par condicio.
Perché?
Perché questa televisione-spazzatura annoia e scandalizza chi ha una cultura civile o religiosa appena superiore a quella di un borgataro e per questa robaccia nessuno è disposto ad infervorarsi per più di mezz'ora.
Se poi l'iniziativa è il solito mezzuccio dei sagrestani di sinistra per indurre il Berlusca a trattare la sua uscita dalla politica, ciò aggiungerebbe disgusto a noia.
Anche perché, se non l'hanno ancora capito Prodi ed i post, con o senza Berlusconi in Italia la destra è largamente maggioritaria. A dispetto dei media omologati e presto statalizzati.

12 ottobre 2006

Alitalia requiescat in pacem

I quotidiani di questi giorni danno ampio spazio all'agonia di Alitalia dopo le intemerate del presidente della società Cimoli (più voliamo, più perdiamo) e del primo ministro Prodi, che ha baldanzosamente proclamato: datemi tre mesi e risolvo tutto.
Al primo viene da chiedere dove ha buttato i miliardi della ricapitalizzazione di due anni fa, che avrebbero dovuto fare uscire Alitalia dalla crisi; il secondo va solo interpretato.
Entro tre mesi nominerà un amico commissario straordinario (ma non andrebbe bene l'avv. Rossi?) e organizzerà una baracconata con Bruxelles per buttare un po' di miliardi nella più infernale fornace mangiasoldi del dopoguerra.
Chiudere? E' un verbo che tutta la nostra classe politica non conosce né sa coniugare.
Eppure le ragioni per portare i libri in tribunale sono così evidenti che anche un Prodi qualsiasi dovrebbe intenderle.
Alitalia è un'azienda morta nel sentito dell'utenza nazionale ed internazionale.
Chi ha avuto la sventura di usare la nostra flotta, cioè quasi tutti, ha toccato con mano cosa significhi insoddisfazione del cliente. Non è solo un problema di management, mezzi confortevoli, capitali per competere. Per Alitalia, il cliente a terra ed in volo è una cosa fastidiosa da trattare nel peggiore dei modi, con toni villani o infastiditi.
Soprattutto per questo Alitalia è finita, e con maggiore evidenza da quando le low-cost hanno percorso le rotte nazionali ed europee per meno della metà della metà del biglietto.
La risposta aziendale alla competizione è stata in questo ultimo decennio scioperi selvaggi, dichiarati, di settore, di terra e di fusoliera, occupazione degli aeroporti, degli hangar, dei pulman passeggeri.
Ultima ma doverosa considerazione.
Alitalia, con Banca Popolare di Milano, è l'unica azienda italiana dove governano, di fatto, i sindacati. Ma mentre in quella banca lo sforzo di coniugare competività e cogestione è in continuo divenire, qui questo potere si è tradotto in inaccettabili privilegi che hanno condotto allo sfascio di questi anni.
Mentre le altre flotte riducevano il personale di volo, in Alitalia, tutt'ora, assistiamo allo scandalo dell'equipaggio dei voli di Malpensa che parte da Roma il giorno prima, pernotta in albergo, lavoricchia e, riatterrato, ritorna a Roma.
La nuova frontiera della mobilità!
E allora i libri di questa azienda defunta e non più sopportabile portiamoli finalmente in Tribunale.
Il sistema paese non perderà né servizi né prestigio e continuerà a volare spendendo un po' meno.

PS: Aspettiamo con ansia la fine del viaggio terreno di Trenitalia, Poste Italiane ed altri baracconi regionali, provinciali e comunali. Dopo vedrete che le tasse si potranno ridurre senza guerre ideologiche.

10 ottobre 2006

Il campionato più bello del mondo

Nel post partita di Italia-Ucraina, Gattuso ha riconosciuto che il campionato italiano ha cessato di essere il più bello del mondo. Se n'è accorto un passionale ardente come SAR Ringhio, e ad affermare il contrario restano solo Franco Ordine ed i curvaioli di tutta Italia che di calcio non capiscono niente.
A me qualche dubbio era venuto dal 7 Aprile 2004. Cioè da quando, a La Coruna, svanì nel nulla il più bel Milan dell'ultimo decennio.
Cosa abbia determinato il più orribile delitto del nascente millennio non è dato sapere, ma è certo che da quel giorno l'unica squadra che in Italia sapeva fare calcio di classe sopraffina si è manifestata solo con rari ed intermittenti bagliori dei suoi vecchi e nuovi artisti.
Per il quotidiano, un sonnacchioso tran-tran sempre più lento ed asfittico.
E poiché il bel calcio in Italia è Milan e solo Milan, quando a Milanello girano l'interruttore sullo spento, il più bel campionato del mondo diventa una povera cosa. Se poi all'appello mancano anche gli spaccaossa di Torino, è nebbia profonda e umidità prodotta in quantità industriale dai chiagn' e fott' dell'altra riva dell'Olona.
Cosa sperare?
Che il Cavaliere si tolga lo sfizio di portarsi a Milano un Ronaldinho con la voglia, e che i Gobbi purgati tornino a dare un senso per nove mesi alla sfida.
A Moratti tornerebbe il piacere di spendere inutilmente 200 milioni in cartellini e la libidine di accendere lucini perché torni un Rossi a rimpinguare il palmares della vergogna.

01 ottobre 2006

Malinconie a San Siro

Primo giorno di ottobre.
Un fotogramma dell'autunno milanese.
Aria ferma, pioggerellina a scrosci, testa balorda e voglia di cuscino.
A San Siro, il Milan con il Siena rappresenta il suo frusto copione.
Giochicchio per linee orizzontali, divieto di tirare in porta, indolenza calcistica elevata all'ennesima potenza.
Poi i soliti dieci minuti finali alla baionetta, in cui riesce a diventare protagonista in negativo la terna arbitrale che, essendo giovane ed esordiente, deve dimostrare che non è né moggiana né al soldo del co.co.co. Meani, e riesce a dare fiato ai piagnistei dei milanisti, che non sono riusciti ancora a capacitarsi che sono rimaste solo le briciole del dolce.
In tribuna la faccia di Berlusconi, al cui fianco Galliani fa il curvaiolo con aplomb tutto brianzolo, è indicativa e nauseata. Non so se sia rimasto per vedere entrare in campo i 22 milioni del suo portafoglio e sbagliare un gol che il Balon d'Or avrebbe silurato in rete.
Alla fine, malinconica e silente incazzatura.
L'Aida, come scriveva Giuan Brera fu Carlo, era morta due anni fa ad Instanbul. Tutto il resto è una fiction cui credono solo Galliani ed il fido Meani, la nostra testa quadra di Reggiolo e Suma.
A proposito del quale. Durante la serata ci ha restituito il buonumore con uno dei più esilaranti post-partita della storia del canale. Travolto da centinaia di mail - vere - di imbufaliti supporter, è andato in deliquio accusando tutto il mondo di incompetenza e tradimento ed infine promettendo la colonna infame per l'eternità a tutti i miscredenti.
Roba da isteria adolescenziale.
Persino cipria-Lippi era vagamente costernato. Forse lo stesso Galliani, se la squalifica non gli impedisse di mettere la testa pelata negli studi di Milan Channel, avrebbe provato un lieve imbarazzo.

30 settembre 2006

Lettera al Cavaliere

Caro Presidente,

sono abbonato da 50 anni al Milan, di cui 40 con mia moglie e 33 con mio figlio, e credo quindi di potere avere il diritto-dovere di dire la mia sulla drammatica situazione della nostra squadra.
Le vicende tristi e squallide di questi ultimi mesi hanno distrutto il magnifico percorso di ricostruzione che Lei aveva avviato vent'anni fa, raccogliendo un ectoplasma societario portato da Farina e da Rivera alle soglie del fallimento, da cui fummo salvati grazie anche alla disinteressata munificenza del compianto Armani. Da quel baratro ai trionfi nazionali, europei, mondiali fu una cavalcata meravigliosa, trofei conquistati sul campo con la tecnica, con un gioco innovativo e travolgente, con i migliori assi nazionali e mondiali che vestivano la nostra casacca.
Ora ci ritroviamo, delusi, a dovere sopportare con il maldipancia e la nausea una dirigenza che ha sprecato questo grande patrimonio sportivo e morale.
Questa è la verità, e le giustificazioni al comportamento di Galliani in cui anche Lei si è profuso, non possono nascondere che questo signore ha ferito mortalmente il Milan ben due volte. Una prima a Marsiglia, con l'improvvida comparsata che i meno giovani ricordano e che ci costò un anno d'esclusione dall'Europa; ed ora, lasciato incautamente solo al vertice societario, con una sciagurata conduzione che, a volere essere benevoli, dovrebbe essere catalogata come totale incapacità di scelta dei collaboratori ed omissione dei più elementari doveri di vigilanza. Al riguardo sono convinto che le cosiddette "pirlate" del Meani, non solo gli erano personalmente note, ma anche facilmente riscontrabili in quell'ambiente di caimani della Federazione e dell'associazione arbitrale, se è vero che del Moggi tutti sapevano tutto.
Ci ritroviamo così cornuti e razziati, avendo fornito su un piatto d'argento l'opportunità ai mozzaorecchi di infangare tutta la nostra storia recente.
E ciò che è avvenuto è tanto più grave solo che si consideri la delicatezza della Sua posizione politica e la Sua concezione dello sport, agli antipodi dei mezzucci da retrobottega.
Ma nonostante l'enormità degli errori, il rischio corso di uscire anzitempo dall'Europa, la patente di malandrini presa da quelli dell'Uefa, i punti di penalizzazione che consegnano lo scudetto anzitempo ad altri, nulla è successo e succederà.
Galliani resta al suo posto a procurare altri danni, con una campagna acquisti che più disastrosa non poteva essere, nascondendosi dietro il dito delle scelte di vita di Sheva o dell'apatia improvvisa della proprietà (chissà come faranno quelli che con lo stesso pacco di milioni avuto in dote quest'anno dal vicario riescono a mettere insieme squadre altamente competitive!).
Ma cosa aspettarci? Ci resta da sperare che Ella scenda in lizza, rinnovi profondamente una società che ha bisogno di rifondazione soprattutto energetica, faccia scelte coraggiose, come le fece vent'anni fa, nella conduzione societaria e tecnica, investa in giovani di classe, dia il doveroso ed appassionato ben servito ad uno spogliatoio dal passato glorioso e dal presente mummificato, dica grazie assieme a tutti noi a Braida e, ma sì, anche a Galliani, onorandone la passione da curvaiolo e passando sopra le incapacità e gli errori.
Lo faccia, Presidente, e torneremo tutti entusiasti ed innamorati folli come quando riempivamo San Siro durante i due purgatori e volevamo credere di assistere alle finali di coppa con il Paron ancora in panchina.
Oppure, Presidente, se la delusione e l'amarezza sono troppo cocenti, se la voglia non c'è più, se è convinto di non potere ripetere l'epopea, pensi seriamente a passare la mano ad altre forze imprenditoriali, se ci sono, che mettano almeno quell'entusiasmo che è scomparso dal cielo milanista.
Le saremmo lo stesso grati, e per noi resterà nella storia il Presidente del Rinascimento milanista.

Con stima.

29 settembre 2006

Stappiamoci un Prodino

Il tempo si usa non si spreca, mi dicevano da ragazzo.
Dopo avere assistito alle comunicazioni del Presidente del Consiglio Romano Prodi alla Camera dei deputati non so come catalogare il mio pomeriggio.
Sprecato se speravo di ascoltare un gran discorso, serio, critico verso se stesso, di respiro europeo; ben usato se volevo avere una conferma del buon uso che ho fatto del mio voto.
Io uno come Prodi non lo voterò mai. Non perché non mi vada a genio la sua faccia o il gorgoglio delle sue esternazioni o il suo pensiero catto-comunista che, per i miei gusti, sono già un bel demerito.
Non lo voterò mai perché rappresenta la peggiore eredità che la sinistra democristiana ha lasciato al Paese.
Prodi il boiardo, presidente dell'Iri per una vita, che ha dilapidato migliaia di miliardi per tenere in vita un modello di politica industriale da economia staliniana, che non solo ha dissestato le finanze pubbliche ma ha infettato tutto il sistema industriale italiano, snervandone la capacità innovativa.
Molti ricordano il suo nefasto protagonismo all'epoca delle liberalizzazioni, ma il grande distruttore si era già magnificamente esercitato allorché regalò l'Alfa Romeo alla Fiat, a cui i satrapi sabaudi fecero fare la fine miserrima che è sotto gli occhi di tutti.
Ma altri cioccolatini ce ne furono, come ad esempio Motta ed Alemagna, vanto dell'industria dolciaria italiana.
Dopo tanto sperimentarsi, la stagione delle liberalizzazioni lo vide luttuosamente Presidente del Consiglio e lì fu la festa dei quartieroni e quartierini, e l'ultima fatale spallata all'economia italiana.
Dopo dieci anni ce lo ritroviamo a minacciarci di riformare il capitalismo italiano, che tradotto dal prodese significa mettere le mani su Telecom, Mediaset, Benetton e se non indovinano la cariola giusta a quattro ruote, anche la Fiat.
Tanto il sistema Italia ha sempre le PMI, i sarti di lusso e la Ferrari del suo erede e socio d'affari Montezemolo.
Dunque non ho buttato il pomeriggio, mi dico.
Vedere Prodi che ci racconta storielle, e per una volta tutti lo sappiamo che sta facendo il mercante di tappeti affannato, è una malinconica soddisfazione. Forse anche triste, poiché non so quanti danni ancora ci arrecherà prima che i suoi soci lo rimandino ad elaborare studi inutili ma costosi a Nomisma.

21 settembre 2006

Un'estate indimenticabile

Abbiamo trascorso un'estate indimenticabile.
Non è stato il tempo a renderla tale.
Anzi, quell'alternarsi di temperature baltiche e calure arabe ci ha fatto rimpiangere le meravigliose estati degli Anni Quaranta. O forse, occupati com'eravamo allora fra invasioni, bagnasciuga, i bombardamenti dello Zio Pippo, l'Impero che tramontava all'aurora, piazzali Loreto e nuovi rinascimenti, forse non ce ne fotteva niente se faceva più caldo o più fresco degli imperiali Anni Trenta.
Ricordi come squarci delle cantine scure dove ci si rifugiava al suonare dell'allarme.
A proposito, quel suono straziante rompeva meno i timpani delle sirene della varie croci di solidarietà che, ai giorni nostri, violentano la pace della notte per il folle divertimento, suppongo, dei volontari autisti.
Ma torniamo alla nostra bella estate.
Nostra: di tutti, proletari e borghesi della tribuna rossa dell'Inter, juventini di tutta Italia che parlano appassionatamente di calcio senza avere mai messo piede in uno stadio, dico quel prato verde incorniciato d'anelli di cemento ove sedersi è il più costoso esercizio atletico, in mezzo a tanta gente che sa di calcio e sovrastati da una curva di decerebrati che ti spara nelle orecchie per tutto il tempo cori demenziali e beceri.
L'estate della rifondazione del calcio.
Con l'ascesa al governo di Prodi, Visco, Bersani, nell'attesa del divino Veltroni non si poteva che cominciare con la passionaccia degli italiani.
Via con il tourbillon delle intercettazioni che in Italia non mancano mai, delle dimissioni dei caporioni, dei commissari straordinari.
Gli editori di giornali ed i cronisti in crisi di ispirazione ringraziano sentitamente. Le televisioni private rimestano lo sterco con la sapiente esperienza che gli è propria.
Qui l'estate si ferma un attimo.
Chi sarà l'uomo della rinascita? Del pallone democratico?
Ci sarebbe l'avvocato più famoso e caro d'Europa, rigorosamente di sinistra ed anche un po' girotondino. Ma avrà tempo e voglia?
Grazie alla (per i telegiornali e boleri film) soave Melandri, sì quella che due legislature fa si è inventata i diritti televisivi individuali, l'avv. Rossi trova il tempo e la voglia di mozzare un po' d'orecchie.
Chiama a raccolta gli amici di sempre: Borrelli, Ruperto; rimane un attimo interdetto nella scelta del grande demone fra Carraro e Moggi ma, quando gli riferiscono che il primo ha ancora canini da caimano e residue solide sponde a sinistra, si butta a mazziare il secondo e tutti quelli a cui telefonava.
Per essere chirurgico, tenta di fare fuori anche Lippi che era nella lista con il figlio disoccupato, ma quello non si adegua e vince il peggior mondiale della storia del pallone.
L'agosto è indimenticabile.
Intanto perché fa un fresco inusitato che manda in malora le ferie degli italiani, che a luglio non andrebbero in pensione od in camper nemmeno se nella nuova finanziaria gli regalassero un mese di buoni pasto per tutta la famiglia, nonne non conviventi comprese.
Poi perché si celebrano i processoni nel bunker dell'Hotel Parco dei Principi di Roma, durante un summit mondiale dei ministri degli esteri, con i giornalisti ed i cameraman che cacciano a spallate le guardie del corpo di Condoleeza Rice e D'Alema perché disturbano la diretta del processo.
Da allora, in Africa ci chiamano fratelli. Anche quelli islamici.
Quando leggono le sentenze, tutto il popolo che fremeva d'indignazione, di voglia di vendetta verso Moggi e tutte le altre squadre, avversarie della propria, ha un soprassalto d'incredulità.
Va bene la radiazione di Moggi perché se la merita, così impara a fare l'Allodi del terzo millennio, va bene la squalifica a Galliani che ormai sta sulle palle anche a Berlusconi, van bene le penalizzazioni alle squadre anche se ognuno considera esagerata quella della propria.
Ma ci sono due "ma".
Il primo è che assolvono tutti gli arbitri ad eccezione di De Santis, che è insalvabile perché ha tentato di mettersi in proprio.
Il popolo non capisce. Se gli arbitri sono assolti, i segnalinee pure, quello del tempo addizionale pure, ma Moggi cosa controllava?
Il tentativo di dirottare i sospetti sugli speaker delle formazioni fallisce nonostante sessanta ore di diretta del network di Telelombardia e venti edizioni speciali del Giorno e di Tele Gold 7.
Comincia a diffondersi un po' di sano scetticismo latino, e quelli che proclamavano Rossi l'uomo del secolo vengono sommessamente contestati.
L'altro "ma" divide gli italiani. Nel senso che godono solo quelli della tribuna rossa dell'Inter, la loro curva, oscar mondiale di indegnità sportiva, la redazione della Gazzetta riunita in conclave con Mieli e collaboratori, e la redazione sportiva della Rai.
Tutti gli altri sono inferociti e cominciano a dubitare apertamente del santino Rossi.
Cosa c'entra lo scudetto all'Inter, che sul campo ha rimediato un girone di ritardo dalla Juve?
E perché non la Roma?
Ma non è che Rossi, ex consigliere dell'Inter, ha esagerato nei favori e nelle vendette?
Il sentore delle puzzette si allarga anche oltre confine grazie al testimonial Materazzi.
Il nostro si eclissa per qualche settimana, perché sta riscrivendo il calcio, mentre il suo profeta Donadoni, nuovo commissario tecnico al posto del campione del mondo Lippi, sbaglia formazioni, perde partite in giro per l'Europa in quantità industriale.
E dopo arriva l'equinozio d'autunno.
Gli italiani, quasi tutti, meno quelli dello scudetto politico, si rendono conto che il teatrino è finito come sempre a tarallucci e vino.
Rossi si dimette, nauseato del mondo del calcio.
Anche i suoi collaboratori si dimettono nauseati.
Sembra non abbiano fatto in tempo a staccare fattura per gli onorari e vanno dicendo in giro che loro hanno lavorato gratis.
Anche il metronomo Albertini, che però ci lascia in eredità Donadoni.
Il Coni ricomincia a tessere le tele del potere romano.
La ministra Melandri decide che i diritti televisivi saranno eguali per tutte le squadre di A e B, così preparando una nuova estate di fuoco, ma fidando sul fatto che nel 2007 sarà tornata a fare la segretaria di sezione del partito democratico.
Comincia a piovere, l'umidità ci accompagnerà sino a maggio.
Di nuovo c'è solo che Tronchetti è entrato in crisi con i suoi padrini politici e che sta venendo a galla una strana storia di spionaggio telefonico, pagato dal probo Moratti ai danni di Moggi e De Santis.
Ma di questo parleremo a Natale, se non arriverà nel frattempo un treno di sabbia.
Perché in quei giorni saremo tutti tanto, tanto, tanto buoni.