11 marzo 2009

Un libro da non perdere: "Lo Stato canaglia"

Non è un’espressione generica, usata per definire in generale l’organizzazione tipica degli stati moderni: intitolando il suo ultimo libro “Lo Stato canaglia” l’editorialista ed ex direttore del Corriere della Sera Piero Ostellino ha voluto proprio riferirsi all’Italia, e in particolare a quell’Italia politica ed organizzativa che è uscita dalla nostra incensatissima Carta costituzionale. Ne esce un quadro impietoso di un Paese imbrigliato da norme e divieti, frutto di un accordo (quello costituzionale, appunto) fin da subito superato dagli eventi, e dalle scelte del popolo italiano.

Ostellino, “Stato canaglia” è un’espressione forte: perché ha deciso di usarla, e cosa significa?

L’ho usata per significare una cosa fondamentale: lo Stato è nato per proteggere i cittadini dalle minacce esterne e interne; oggi invece il nostro Stato fagocita i cittadini, senza difenderli né da minacce esterne (basti vedere l’invasione da immigrazione non regolata), né da minacce interne, dato che molta parte del Paese è in mano alla criminalità organizzata. Quindi è uno Stato che chiede moltissimo ai cittadini dando loro in cambio ben poco, e anzi subissandoli di divieti. Nei Paesi liberi tutto è consentito, tranne ciò che è espressamente vietato per legge; da noi, viceversa, tutto è vietato, tranne ciò che è consentito. Oltre a questo, come ben sappiamo, il nostro è uno Stato che fa pagare tasse ben al di là dei servizi che fornisce. È “canaglia” proprio nella misura in cui sottopone il cittadino a vessazioni proprie di un Paese privo di cultura democratica e liberale.

Nel suo libro dedica ampio spazio alla Costituzione, e senza porsi problemi di “correttezza” politica ne mette in luce i limiti, soprattutto per quanto riguarda l’assenza di un impianto liberale: perché la nostra Carta ha questo difetto così grave?

Perché è frutto di un compromesso tra due Resistenze. In Italia c’è il mito di un’unica Resistenza, mentre in realtà sono state due: una democratica (i cattolici, i liberali, i repubblicani, i socialisti, gli azionisti); l’altra totalitaria (i comunisti). Si è cercato un compromesso tra queste due, ed è venuto fuori un “papocchio”, una Costituzione che riconosce i diritti individuali, ma li subordina all’utilità sociale, al benessere collettivo, cioè a una serie di astrazioni ideologiche che non sono nemmeno affermazioni di carattere giuridico. In altri termini, nel ’47 non è stato possibile alle forze totalitarie fare la rivoluzione, e allora sono riusciti a fare per lo meno una Carta costituzionale nella prospettiva di una rivoluzione.

E in che senso la Costituzione conterrebbe la prospettiva della rivoluzione?

Facciamo un esempio: anche nell’ex Unione Sovietica l’impianto giuridico prevedeva i diritti dell’individuo, ma questi erano subordinati all’edificazione del socialismo. Quindi era sufficiente che un giudice ordinario decidesse che un quadro non era dipinto nella prospettiva rivoluzionaria per rinchiudere nel Gulag il pittore. Da noi, se avesse vinto il Partito Comunista nel ’48, sarebbe stato sufficiente a un giudice ordinario dire che la fabbrica di un tale non contribuiva all’utilità sociale per farla requisire. C’erano quindi tutte le condizioni perché il nostro Paese diventasse un Paese sovietico.

Eppure oggi sembra quasi impossibile criticare la Costituzione, e non sono pochi i casi di reverenza quasi religiosa nei confronti della Carta (se ne è parlato come di una “Bibbia”, come qualcosa di fronte al quale “inchinarsi”). Qual è il rischio di questo atteggiamento sacralizzante?

In effetti la nostra Carta costituzionale è diventata un feticcio: chi parla della Costituzione e ne auspica il cambiamento – ovviamente in senso democratico e liberale – viene comunque demonizzato come un nemico della democrazia. Il linguaggio religioso viene utilizzato proprio perché non si è liberali, e non si separa la retorica di impronta religiosa dalla politica. Anche il laicismo, infatti, può essere una religione. Non dimentichiamo poi che è opinione di alcuni costituzionalisti che l’Italia non sia stata quella che si voleva nella Costituzione: e questa è proprio l’idea di Rousseau, e dei giacobini, che dicono che se le leggi non funzionano si cambia il popolo. Il problema invece è il contrario: l’Italia nel ’48 ha fatto una scelta, e la Costituzione è rimasta indietro rispetto a questa scelta.

C’è chi dice che in realtà il vero problema stia nel fatto che la Costituzione materiale ha tradito quella formale.

Innanzitutto io respingo anche il concetto stesso di Costituzione materiale: nei paesi liberali le costituzioni sono o quelle scritte, o quelle tramandate dalla tradizione, come in Inghilterra. La sola Costituzione italiana quindi è quella formale, quella scritta. Detto questo, poiché in Italia non si vuole toccare la Costituzione, allora si inventa il concetto di Costituzione materiale. Ma se le leggi non sono formali, allora vuol dire che il principe è legibus solutus, cioè obbedisce a una Costituzione materiale che si è dato lui stesso ma che non esiste da nessuna parte.

Uno Stato “canaglia” come il nostro non schiaccia solo l’individuo, ma anche (e soprattutto) le aggregazioni di individui, cioè i cosiddetti corpi intermedi: in che modo questi sono ostacolati dalla nostra struttura statale?

I corpi intermedi sono schiacciati da una concezione collettivistica della società, per cui la società stessa esiste solo come generalità: non si percepisce l’individuo né come soggetto singolo, né come soggetto che si associa ad altri individui e entra in rapporto o anche in competizione con altri, associatisi per altre ragioni e sulla base di altri valori. Nelle democrazie liberali come quella americana i corpi intermedi sono invece il sale della democrazia, perché consentono alla democrazia di svilupparsi attraverso la logica della costruzione “dal basso”. I corpi intermedi, in altri termini, sono quelli che trasmettono le domande della società civile alla società politica. Da noi tutto questo manca, tanto più ora che sono entrati in crisi anche i partiti. Questo è il motivo principale del vuoto tra la società e la politica.

In una precedente intervista a Ilsussidiario.net lei lamentava il fatto che il cattolicesimo liberale sia stato un grande assente nella nostra storia repubblicana: che cos’è e da chi è stato rappresentato il cattolicesimo liberale, e che apporto avrebbe potuto dare all’edificazione di uno Stato meno “canaglia”?

Io innanzitutto sono un grande ammiratore del cattolicesimo liberale lombardo, a partire da Manzoni. È il cattolicesimo che ha assunto la solidarietà come moto dello spirito, come tensione morale; la borghesia cattolica lombarda ha fatto cose straordinarie in termini di solidarietà, e non perché erano imposte per legge, ma perché sentite come un moto dell’animo. Questo cattolicesimo nella storia repubblicana è stato in qualche modo sostituito dal cosiddetto cattolicesimo democratico, che ha sempre voluto piegare la Chiesa alle proprie esigenze politiche. È il cattolicesimo delle grandi critiche: la Chiesa è in ritardo, la Chiesa non è sufficientemente progressista e democratica, il Papa è un reazionario. Tutto questo senza capire che la Chiesa da duemila anni è quella che è proprio perché ha una sua autonomia rispetto alla politica, una sua identità così forte che non può essere piegata alle esigenze particolari di partiti o di schieramenti. Chi crede, o accetta la Chiesa e il suo magistero in toto, oppure è un cattolico a metà, di comodo. Ritengo dunque che sia stato un danno per tutti il fatto che cattolicesimo democratico abbia prevalso sul cattolicesimo liberale di don Sturzo e di De Gasperi.

Ora con questo suo libro lei getta un sasso nel dibattito pubblico: che cosa si aspetta che accada, e come vorrebbe che il suo volume incidesse, magari anche sulle decisioni politiche?

Non so quanto inciderà. Però mi aspetto che il nostro mondo politico prenda almeno atto di quanto il nostro ordinamento giuridico e la nostra organizzazione sociale siano proprie di uno Stato “canaglia”. Quindi vorrei che si cominciasse a capire, ad esempio, che il nostro Paese ha un eccesso di legislazione: troppe leggi, troppi regolamenti, troppi divieti. Cominciamo a produrre una radicale semplificazione riducendo drasticamente il numero di leggi (non sappiamo nemmeno quante siano!). Se il mondo politico incominciasse a capire che non è facendo leggi su leggi che si crea uno Stato libero, questo sarebbe già un buon risultato.

Intervista pubblicata da IlSussidiario.it

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Sposo appieno il principio che "Se il mondo politico incominciasse a capire che non è facendo leggi su leggi che si crea uno Stato libero, questo sarebbe già un buon risultato."
Quanto al resto, ma vedrò di trovare il tempo di leggerlo,mi sembrano tanti luoghi comuni ed un poco d'aria fritta.E tutto questo nonostante la mia stima per Ostellino.
Una buona costituzione per un laico può essere, perché no, una specie di Bibbia. A chi dà fastidio questo pensiero?
Quanto poi al cattolicesimo liberale aspirerei di più all'esistenza di una fraternità liberale, forse meno manzoniana, ma più vicina ai miei sentimenti.

Ad majora.

banzai43

Anonimo ha detto...

Se guardiamo un momento al contesto storico in cui é maturata la stesura della Costituzione(con gli inevitabili compromessi con un PCI che doveva dare un sbocco alla "rivoluzione rinviata"),all'attacco veemente alla legge truffa(De Gasperi si era perfettamente reso conto che occorreva stabilità politica,programmattica e di pensiero),al fatto che all'interno della DC prima venne emarginato Sturzo(chi non ricorda i suoi aspri scontri con Mattei?)e successivamente Scelba,mente e braccio di una DC interclassista ma rigidamente chiusa alle sinistre,il prevalere -quindi - dei cavalli di razza(Fanfani e compagnia),le profonde differenze tra il pensiero del fondatore del partito popolare ed i suoi detrattori, ecco : alla luce di questi fatti si può forse comprendere l'amarezza e la disillusione di Ostellino.-
La storia,certo,non é fatta di se e di ma e purtropppo con gli antefatti citati(ma non solo ovviamente)ci ritroviamo uno Stato Moloch che preleva più del 50% della richezza prodotta e che nonostante ciò ha un debito pubblico pari al 105% del PIL.-
Come può definirsi uno stato del genere se non da socialismo reale?
Voglio ricordare il proverbio cinese : dai l'amo e la canna da pesca e non il pesce.-
Purtroppo il panorama politico attuale vede l'esasperazione del tatticismo senza nessuna idea guida.-
Questa casta di privilegiati infatti non rinuncerà mai ad alcun benefit diretto ed indiretto(quest'ultimo genera consenso)e quindi le giovani generazioni sono condannate ad un futuro di precarietà e di povertà.-
Questa gente vuole sudditi e non cittadini.-
L'opinione pubblica,a mio modo di vedere,crede che Berlusconi possa fare qualcosa e per questo lo riempie di consensi.-
Come sosteneva Ferrara sul Foglio però Berlusconi ha dalla sua solo il consenso popolare.-
E difatti Casini lo definisce una colossale macchina da voti.-
Ad amministrare questi voti vorrebbe pensarci lui magari d'accordo con Fini.-
Il cavaliere però non é fesso e difatti l'ultimo che ha indicato come suo possibile erede é l'attuale Ministro Alfano.-
Non ci rimane che spoerare in Tremonti...
Giacomo

Anonimo ha detto...

Appunto per Giacomo.

Tremonti, tutto sommato, non mi dispiace. Ne percepisco un senso morale e sociale che manca alla gran parte dei "politici" più navigati. Ha chiarezza espositiva, una punta di etica, conoscenze economiche, humor. Meglio lui di altri.

Ben hai detto, Giacomo, che i se ed i ma non fanno la storia. Quindi andiamo oltre.
Ma, come direbbe il Cavaliere: "mi si consenta", soprattutto, un richiamo. Dichiarare l'Italia un Paese ormai afflitto da socialismo reale ... Ma dai. Tu, amante della storia, hai idea di cosa deve essere stato il socialismo reale? Dove sono i nostri Vopos, quanti e quali i nostri Jan Palach? Dici che ci arriveremo? Speriamo di fermarci ad un passo dal baratro.

W il Bel Paese, W l'Italia e, in memoria degli anniversari del passato "Futurista" W anche al sol dell'Avvenire.

Con rispetto, come educazione conviene ed amicizia.

banzai43


http://banzai43.wordpress.com

Anonimo ha detto...

Per Banzai43
Sai benissimo che non mi riferivo alle libertà civli,religiose di pensiero e quindi chiaramente non evcavo uno Stato di polizia.-
Ti ricorda qualcosa la curva di Laeffer ?
Intendevo,parlando di stato di socialismo reale,al grado di libertà economica dell'Italia che finisce per influenzzare le sclte politiche.-
So benissimo che il modello anglossassone non é adatto alla realtà europea(e di fatti non lo auspico);la cosidetta economia sociale di mercato purtroppo ha molto di sociale(???)e poco di mercato.-
Detto in altri termini : il cittadino che paga le tasse percepisce che non vi é un eq

Anonimo ha detto...

Per Banzai43
Sai benissimo che non mi riferivo alle libertà civli,religiose di pensiero e quindi chiaramente non evcavo uno Stato di polizia.-
Ti ricorda qualcosa la curva di Laeffer ?
Intendevo,parlando di stato di socialismo reale,al grado di libertà economica dell'Italia che finisce per influenzzare le sclte politiche.-
So benissimo che il modello anglossassone non é adatto alla realtà europea(e di fatti non lo auspico);la cosidetta economia sociale di mercato purtroppo ha molto di sociale(???)e poco di mercato.-
Detto in altri termini : il cittadino che paga le tasse percepisce che non vi é un eq

Anonimo ha detto...

Per Banzai43
Sai benissimo che non mi riferivo alle libertà civli,religiose di pensiero e quindi chiaramente non evcavo uno Stato di polizia.-
Ti ricorda qualcosa la curva di Laeffer ?
Intendevo,parlando di stato di socialismo reale,al grado di libertà economica dell'Italia che finisce per influenzzare le sclte politiche.-
So benissimo che il modello anglossassone non é adatto alla realtà europea(e di fatti non lo auspico);la cosidetta economia sociale di mercato purtroppo ha molto di sociale(???)e poco di mercato.-
Detto in altri termini : il cittadino che paga le tasse percepisce che non vi é un eq

Anonimo ha detto...

PS per Banzai43
uilibrio con i servizi che riceve.-
I se ed i ma - ribadisco - non servono,possono però aiutare a non commettere errori.-
Passo e chiudo.-
Giacomo