04 marzo 2009

È ora che la borghesia milanese ricominci ad avere il "suo" ruolo

La borghesia milanese nella sua parte industriale, ha sempre avuto molteplici volti come è tipico di una città assai repubblicana, che rifiuta gli eccessi di uniformità. Riformista e fattiva in grande misura nelle prime fasi dell’Unità d’Italia, impegnata anche direttamente nella “gestione” della città (costruendo università e istituzioni culturali, regalando sindaci e assessori efficienti), la borghesia milanese non manca, almeno in una sua vasta frazione, poi di dare un suo appoggio al fascismo nascente e di mantenere una collaborazione intensa col regime.
Nella Resistenza si registrano, però, esponenti del mondo industriale (al di là dei commenti dei cinici che dicevano come le famiglie industriali inviassero uno dei loro pargoli con le camice nere e uno con i partigiani). Né nella fase della ricostruzione sono assenti industriali anche di fama che si impegnano nel consiglio comunale.
Poi Milano e la sua Assolombarda diventano il punto di riferimento di alcune delle posizioni più chiuse, non solo contro la nazionalizzazione dell’energia elettrica – posizione forse meno sbagliata di quel che si pensava anche se l’oligopolio delle società elettriche dell’epoca strozzava l’economia italiana - ma anche, per esempio, contro il Mercato comune, su posizioni arcaicamente protezioniste.
Naturalmente Milano, appunto città repubblicana, aveva anche industriali di grandissimo peso di segno completamente diverso come Leopoldo Pirelli che svolse un importante ruolo riformatore anche in Confidustria. Una certa mancanza di equilibrio della borghesia milanese, unito a un processo di incombente deindustrializzazione di cui forse non si aveva tutta la necessaria consapevolezza, però la sbalestrarono determinando tra l’altro lo squilibrio definitivo del Corriere della Sera come suo giornale di riferimento. Perdita solo attenuata dalla nascita del Giornale di Indro Montanelli.
Nonostante la leadership di un milanese come Bettino Craxi, la borghesia cittadina non assunse alcun fondamentale ruolo nazionale nei dinamici anni Ottanta. Anzi per qualche verso fu colonizzata dai torinesi della Fiat. Con il semi colpo di stato del 1992, si accucciò, molto intimidata dallo stato di cose prevalenti, producendo leader come Benito Benedini, presidente di Assolombarda e Aldo Fumagalli, presidente dei “giovani” e candidato del centrosinistra per il comune di Milano. Una generazione in sintonia con i pasticci di Luigi Abete in Confindustria, con una certo logica concertativa subalterna alla Cgil e alla sinistra.
A cambiare le cose furono “i piccoli” con Gabriele Albertini prima presidente di Federmeccanica, poi sindaco di Milano, e Michele Perini presidente di Assolombarda. Dopo un’altra fase di pasticci filoprodiani nella Confindustria nazionale con Luca Cordero di Montezemolo, quando a Milano pesava in un ruolo non dominante ma significativo Marco Tronchetti Provera (che si pentirà molto del suo prodismo iniziale), è emersa la generazione del cosiddetto quarto capitalismo.
Leader di imprese di grande sviluppo e successo, come la Bracco e la Mapei, da Diana Bracco a Giorgio Squinzi, presidente dei Federchimica. Meno estroversi dei piccoli, ma lontani dai giochi di potere legati alla Fiat conservatrice, i quartocapitalisti oggi sono centrali nel sistema confindustriale milanese e nazionale. Animati da un forte spirito riformista, convergente con la Confidustria marcegagliana, non sempre riescono a esercitare quel ruolo più generale di cui ci sarebbe bisogno (oltre che sui temi nazionali anche su quelli territoriali ma decisivi come l’Expo o la Malpensa). Dovrebbero riflettere bene sulla lezione dei loro predecessori e cercare di essere più classe dirigente cittadina e nazionale, aiutando anche Letizia Moratti, esponente di una famiglia di peso del capitalismo lombardo, a disincagliarsi dagli errori compiuti innanzi tutto nella costruzione di una classe dirigente locale. Molto del futuro italiano sarà determinato dalla borghesia milanese e dalla sua capacità o meno di avere una visione generale, propositiva e nazionale.

di Lodovico Festa, su L'Occidentale



Tema stimolante che merita un confronto fra gli amici.
Ho una perplessità propedeutica. Esiste più una borghesia industriale a Milano?
La drammatica crisi di leadership di Milano è cominciata con lo smantellamento delle fabbriche e la riconversione dei salotti buoni prima in tagliacedole poi in finanzieri all'italiana.
Difficile con questo mutamento antropologico avere ancora lo spirito milanese dei loro antenati, l'istinto imitativo del nuovo che il modernismo offriva, la voglia di un liberalismo che aveva il sapore dell'Europa, anche nei momenti più bui della dittatura nera.
Ma il tema è ampio, i perché di un degrado sono tanti.
Attendo contributi.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Purtroppo non sono ottimista.-
L'impegno in politica di un qualificato rappresentante della borghesia milanese,lo sta vivendo Milano e la sua amministrazione.-
Evidentemente non si tratta di avere dei santi ma delle persone che in un progetto ritaglino anche i loro spazi e questo non lo vedo.-
Purtroppo i rappresentanti della borghesia milanese e non,
nella storia economica degl ultimi cento anni almeno,hanno sempre avuto una visione con prevalenza delle loro esigenze di pootere piuttosto che di un progetto di società aperto e competitivo.-
Secondo me non é un caso che in Italia non ha mai avuto la possib lità di proliferare un partito liberale di massa.-
Le vicende economiche,sociali e politiche sono state sempre vissute
all'insegna prevalente(se non esclusiva)dei propri interessi.-
Una classe dirigente,secondo il mio punto di vista,si legittima ed acquisisce credibilità se i problemi li vede prima che li vedano tutti e sopratutto sappia proporre soluzioni che tutelino i loro legittimi interessi inseriti
in un progetto complessivo.-
La Fiat,sinonimo di industria in Italia,ha avuto bisogno di un manager che veniva dall'estero per tentare il rilancio.-
Gli industriali che competono sul mercato globale con le loro aziende definite a volte "multinazionali tascabili" vorrebbero meno salotti e più regole chiare,invece a volte sono costretti a pagare prezzi impropri alle nomenclature burocratiche,politiche,economiche.-
Vengo alla stretta attualità : Tremonti oggi dichiara che possono essere sbloccati 100/miliardi(di euro non di lire)evitando il burocratismo.-
Se questa voce ha un fondamento il cittadin comune rimane stupefatto e disorientato.-
L'uomo prima di tutto ma oggi vedo troppi caporali in giro!
Giacomo

Anonimo ha detto...

Tema interessante, eccomi.
La borghesia industriale, a Milano, non c'è più. Se traccia v'è rimasta, vaga smarrita e spaventato e si tiene in ombra in attesa di potersi eclissare per sempre.
Ma imprenditori, con un certo grado di preveggenza e di coraggio, non necessariamente industriali, sono sempre esistiti ed ancora, son certo, ve ne sono. Ma in quale ambiente "politico" si trovano?
Eccomi al punto. La crisi principale in atto in Italia (quindi anche a Milano) risale a ben prima della crisi economica attuale. Trattasi di crisi politica, crisi di leadership, di valori (né di destra, né di sinistra)etici, morali, culturali, di buon gusto.
Il pensiero politico dominante, oggi, non è la ricerca del meglio per la collettività, ma del meglio per sé (non necessariamente denaro ed onori, ma dell'elevazione di sé sugli altri).
E se il politico attuale è un ex imprenditore siamo al peggio. Fare politica come dare azienda è una stupidaggine. Altri sono gli obiettivi, altri i valori in campo.
L'imprenditore vero, industriale e non, come in passato ha bisogno di certezze. E "la politica" alle domande pressanti non ha che risposte balbettanti. Nessuna "visione", nessuna capacità di guida, di pianificazione, di coordinamente, di fare (come si dice oggi) squadra, sistema.
Facciamo, tutti assieme, un fioretto: quello di credere nel futuro, in un prossimo "miracolo all'italiana".
Povera italia, bella e disperata.


Buon futuro a tutti.

banzai43