29 settembre 2006

Stappiamoci un Prodino

Il tempo si usa non si spreca, mi dicevano da ragazzo.
Dopo avere assistito alle comunicazioni del Presidente del Consiglio Romano Prodi alla Camera dei deputati non so come catalogare il mio pomeriggio.
Sprecato se speravo di ascoltare un gran discorso, serio, critico verso se stesso, di respiro europeo; ben usato se volevo avere una conferma del buon uso che ho fatto del mio voto.
Io uno come Prodi non lo voterò mai. Non perché non mi vada a genio la sua faccia o il gorgoglio delle sue esternazioni o il suo pensiero catto-comunista che, per i miei gusti, sono già un bel demerito.
Non lo voterò mai perché rappresenta la peggiore eredità che la sinistra democristiana ha lasciato al Paese.
Prodi il boiardo, presidente dell'Iri per una vita, che ha dilapidato migliaia di miliardi per tenere in vita un modello di politica industriale da economia staliniana, che non solo ha dissestato le finanze pubbliche ma ha infettato tutto il sistema industriale italiano, snervandone la capacità innovativa.
Molti ricordano il suo nefasto protagonismo all'epoca delle liberalizzazioni, ma il grande distruttore si era già magnificamente esercitato allorché regalò l'Alfa Romeo alla Fiat, a cui i satrapi sabaudi fecero fare la fine miserrima che è sotto gli occhi di tutti.
Ma altri cioccolatini ce ne furono, come ad esempio Motta ed Alemagna, vanto dell'industria dolciaria italiana.
Dopo tanto sperimentarsi, la stagione delle liberalizzazioni lo vide luttuosamente Presidente del Consiglio e lì fu la festa dei quartieroni e quartierini, e l'ultima fatale spallata all'economia italiana.
Dopo dieci anni ce lo ritroviamo a minacciarci di riformare il capitalismo italiano, che tradotto dal prodese significa mettere le mani su Telecom, Mediaset, Benetton e se non indovinano la cariola giusta a quattro ruote, anche la Fiat.
Tanto il sistema Italia ha sempre le PMI, i sarti di lusso e la Ferrari del suo erede e socio d'affari Montezemolo.
Dunque non ho buttato il pomeriggio, mi dico.
Vedere Prodi che ci racconta storielle, e per una volta tutti lo sappiamo che sta facendo il mercante di tappeti affannato, è una malinconica soddisfazione. Forse anche triste, poiché non so quanti danni ancora ci arrecherà prima che i suoi soci lo rimandino ad elaborare studi inutili ma costosi a Nomisma.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Non è riuscito a vendre la SME come voleva lui.Geronimo nel suo libre scrive : mi telefonò Prodi e mi informò di avere venduto la SME,gli risposi e quando l'hai comprata?
Giacomo

Anonimo ha detto...

Ammetto che mi sono stappato un prodino ad aprile.
Non che avessi troppe speranze sul gusto, che avevo già assaggiato dieci anni fa, e già allora mi sembrava un po' troppo amaro, almeno per me, sostenitore - spesso critico - della sinistra (esiste ancora?!) dura (ma quando mai) e pura (vedi prima).
Confidavo nel fatto che sa di cosa parla, anche quando non si riesce a capire. Credevo che il suo liberismo cattocomunista avrebbe temperato il paradigma ideologico oggi imperante ovunque: Meno tasse! Meno spese! Chi può, si arricchisca; gli altri, si fottano!Chi è furbo, vince! Tutto magistralmente interpretato dal suo avversario, nonchè ex presidente del consiglio, e dal suo infinito codazzo di camerieri.
Ma.
Ma mi sembra alla guida di una coalizione in stato confusionale completo.
Ma mi sembra troppo sensibile alle lusinghe dei soliti noti: confindustria, sindacati, burocrati di stanza a Bruxelles, a Francoforte, a Washington, finanzieri, Vaticano.
Ma mi sembra che faccia ormai parte a pieno titolo della casta dei politici, interessati a salvare loro stessi prima che a "servire" il paese.
Ma mi sembra ingiusto accusarlo della svendita dell'Alfa Romeo, che voleva vendere invece agli americani della General Motors ad una cifra onesta, mentre il governo pentapartito di allora lo costrinse a svendere ai sabaudi. E molti di quei pentapartiti ora lo attaccano dall'opposizione.
Ma mi sembra troppo facile accusarlo del modello industriale prevalente per cinquant'anni
nel nostro paese: ricordiamoci di Enrico Cuccia, di Enrico Mattei, di Amintore Fanfani e di Ugo La Malfa... E chi più ne ha più ne metta, Vaticano e Botteghe Oscure compresi. Aggiungiamo l'incapacità e la cronica assenza di capitali della nostra grande industria privata (Montefibre, Edison, dovrebbero ricordarci qualcosa). E come risultato avremo una sistema misto, metà pubblico e metà privato, usato in molti paesi europei e americani, fondamentale per lo sviluppo dell'economia nazionale. Che poi rischia di degenerare, certo.
Ma mi sembra giusto ricordare che l'IRI guidata da Prodi passò da 5mila miliardi di passivo a più di 4mila di attivo, grazie alle vendite/privatizzazioni.
Ma mi sembra che mettere mano, ed ammettere errori inequivocabili commessi in passato, nei settori industriali più "sensibili" per il paese sia necessario, e utile a tutti.
Ma non ci credo molto...

Cordialmente.
Marco