30 settembre 2006

Lettera al Cavaliere

Caro Presidente,

sono abbonato da 50 anni al Milan, di cui 40 con mia moglie e 33 con mio figlio, e credo quindi di potere avere il diritto-dovere di dire la mia sulla drammatica situazione della nostra squadra.
Le vicende tristi e squallide di questi ultimi mesi hanno distrutto il magnifico percorso di ricostruzione che Lei aveva avviato vent'anni fa, raccogliendo un ectoplasma societario portato da Farina e da Rivera alle soglie del fallimento, da cui fummo salvati grazie anche alla disinteressata munificenza del compianto Armani. Da quel baratro ai trionfi nazionali, europei, mondiali fu una cavalcata meravigliosa, trofei conquistati sul campo con la tecnica, con un gioco innovativo e travolgente, con i migliori assi nazionali e mondiali che vestivano la nostra casacca.
Ora ci ritroviamo, delusi, a dovere sopportare con il maldipancia e la nausea una dirigenza che ha sprecato questo grande patrimonio sportivo e morale.
Questa è la verità, e le giustificazioni al comportamento di Galliani in cui anche Lei si è profuso, non possono nascondere che questo signore ha ferito mortalmente il Milan ben due volte. Una prima a Marsiglia, con l'improvvida comparsata che i meno giovani ricordano e che ci costò un anno d'esclusione dall'Europa; ed ora, lasciato incautamente solo al vertice societario, con una sciagurata conduzione che, a volere essere benevoli, dovrebbe essere catalogata come totale incapacità di scelta dei collaboratori ed omissione dei più elementari doveri di vigilanza. Al riguardo sono convinto che le cosiddette "pirlate" del Meani, non solo gli erano personalmente note, ma anche facilmente riscontrabili in quell'ambiente di caimani della Federazione e dell'associazione arbitrale, se è vero che del Moggi tutti sapevano tutto.
Ci ritroviamo così cornuti e razziati, avendo fornito su un piatto d'argento l'opportunità ai mozzaorecchi di infangare tutta la nostra storia recente.
E ciò che è avvenuto è tanto più grave solo che si consideri la delicatezza della Sua posizione politica e la Sua concezione dello sport, agli antipodi dei mezzucci da retrobottega.
Ma nonostante l'enormità degli errori, il rischio corso di uscire anzitempo dall'Europa, la patente di malandrini presa da quelli dell'Uefa, i punti di penalizzazione che consegnano lo scudetto anzitempo ad altri, nulla è successo e succederà.
Galliani resta al suo posto a procurare altri danni, con una campagna acquisti che più disastrosa non poteva essere, nascondendosi dietro il dito delle scelte di vita di Sheva o dell'apatia improvvisa della proprietà (chissà come faranno quelli che con lo stesso pacco di milioni avuto in dote quest'anno dal vicario riescono a mettere insieme squadre altamente competitive!).
Ma cosa aspettarci? Ci resta da sperare che Ella scenda in lizza, rinnovi profondamente una società che ha bisogno di rifondazione soprattutto energetica, faccia scelte coraggiose, come le fece vent'anni fa, nella conduzione societaria e tecnica, investa in giovani di classe, dia il doveroso ed appassionato ben servito ad uno spogliatoio dal passato glorioso e dal presente mummificato, dica grazie assieme a tutti noi a Braida e, ma sì, anche a Galliani, onorandone la passione da curvaiolo e passando sopra le incapacità e gli errori.
Lo faccia, Presidente, e torneremo tutti entusiasti ed innamorati folli come quando riempivamo San Siro durante i due purgatori e volevamo credere di assistere alle finali di coppa con il Paron ancora in panchina.
Oppure, Presidente, se la delusione e l'amarezza sono troppo cocenti, se la voglia non c'è più, se è convinto di non potere ripetere l'epopea, pensi seriamente a passare la mano ad altre forze imprenditoriali, se ci sono, che mettano almeno quell'entusiasmo che è scomparso dal cielo milanista.
Le saremmo lo stesso grati, e per noi resterà nella storia il Presidente del Rinascimento milanista.

Con stima.

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