31 agosto 2009

Fini è ancora una risorsa della destra?

Ormai non capisco la traiettoria del pensiero politico di Fini. Non discuto la sua riscoperta laica, né certe pulsioni pruriginose verso la sinistra. Appare evidente che il disegno tattico è quello di strappare eventuali benevolenze nella corsa al Colle, che ragionevolmente resta ormai l'unico obiettivo praticabile nel suo futuro politico. La successione del Cavaliere, semmai ci sarà, appare molto più problematica ed irta di ostacoli e concorrenti.
Le difficoltà di comprensione nascono sulla metamorfosi di questo campione della destra missina che, in anni non lontani, con sagacia ha affrancato il suo partito dal ghetto anticostituzionale siglando un formidabile patto con un creativo e ruspante Berlusconi, ma poi, improvvisamente, si è smarrito in tortuose riflessioni sull'essere destra nel terzo millennio.
Negli anni in cui doveva cogliere il frutto di una leadership ormai universalmente riconosciuta, è parso roso da infantili gelosie, da tentennamenti climaterici, da un'aspirazione alla solitudine politica con atteggiamenti snobistici verso il generone che si è raggruppato sotto le insegne del Pdl.
Nel percorso di un politico ci sta tutto, anche un clamoroso ribaltamento delle sponde, ma tutto ciò poco quaglia con le ambizioni dell'uomo che mi sembra a tutto pensi meno che ad essere solo un padre nobile della destra sociale.
Sembra, nei destini, la stessa vicenda del suo concittadino Casini, votatosi a modeste strategie da comprimario. Un Mastella del nord, peraltro suo sodale agli albori dell'Udc.
La freddezza che ha accompagnato le sue esternazioni alla festa del Pd di Genova, proprio nella schiera da cui proviene, dice che la solitudine sta trasformandosi in ermetismo per la sua gente.
Sarebbe un peccato perché Fini, che la sinistra non voterà mai presidente perché ex-fascista, è ancora oggi una risorsa molto importante per il prossimo ed agitatissimo post-Berlusconi.

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