Pier Luigi Bersani ha messo la testa nel cappio, ed ora lo accomoda come fosse una cravatta. La botta giunta dalla Puglia s’è fatta sentire, ma ribadire e rafforzare l’alleanza con l’Italia dei Valori, considerandola strategica, equivale a non aver compreso un rischio costantemente presente nella storia della sinistra italiana: non appena si accetta la presenza di estremisti e massimalisti, questi asfissiano la sinistra riformista, prendendo la guida del fronte. Massimo D’Alema aveva abbozzato una via ben diversa: dialogo con l’Unione di Centro, ricerca di una posizione moderata, apertura alle riforme condivise, in modo da non rassegnarsi all’estremismo preconcetto, che impedisce di pescare nell’elettorato degli avversari. E’ stato sconfitto all’interno, ed ora Bersani si consegna ostaggio di quelle stesse forze che impediranno ogni futura vittoria. Veramente, come abbiamo già scritto, la sinistra è prigioniera, inchiodata fra la toga e la pompa (quella della Bonino). Ed è un disastro.
La maggioranza di governo ha compattamente votato per D’Alema, che diventa presidente del Copasir all’unanimità. Trovarsi a capo della commissione parlamentare incaricata di sorvegliare i servizi segreti, ed arrivarci con una tale indicazione politica, sarebbe dovuta essere l’indicazione di un possibile cammino politico. Un passo sulla via delle riforme, una scelta utile a giocare il resto della legislatura senza l’obbligo propagandistico delle contrapposizioni sterili. Ma la sinistra ha consegnato un D’Alema tramortito, ha provveduto essa a togliergli spazio e forza politica, talché quella presidenza potrebbe anche essere, dopo la non riuscita scalata all’esecutivo europeo (anche in quel caso con l’appoggio del governo), un avviso di prepensionamento.
La vicenda personale di D’Alema sembra, allora, incarnare la colpevole maledizione che impedisce alla sinistra d’essere forza indirizzata al cambiamento e alla modernizzazione del Paese. Egli è uno dei politici più capaci ed intelligenti, non solo del proprio schieramento, ma dell’intera scena parlamentare. Ha professionalità e sa che la politica costruisce, nel presente, la storia. Fu fra i primi, e fra i pochi, che sentì lo sfregio delle inchieste giudiziarie contro la politica, e, in quel caso, la sua formazione comunista lo aiutò a vedere il pericolo insito nel sovvertimento della gerarchia democratica. Ma non ebbe abbastanza forza e coraggio per farsi valere, prevalse in lui la voglia di continuare la navigazione, senza infrangersi sugli scogli dei principi e senza arenarsi nelle secche dell’isolamento. Aveva capito, prima, la necessità dell’accordo con i socialisti, riconoscendo in Bettino Craxi la stoffa della sinistra riformista, ma aveva poi lasciato correre, non ritenendo necessario difendere quel tessuto nel momento in cui veniva sbranato. Rimase a metà, fra l’essere comunista e l’essere un protagonista della democrazia. Si accorse che Berlusconi non era un fenomeno plastificato, comprese la natura profonda e la radice solida di un’esperienza politica cui s’indirizzavano la maggioranza degli elettori, ma non seppe essere conseguente fino in fondo, ripetutamente contando che qualcun altro s’incaricasse di rimuovere il problema. Giunse giovane alla presidenza del Consiglio, con una costruzione tattica che resta il suo capolavoro, ma perse in fretta la visione strategica è si mise a ruzzare con le privatizzazioni come un generale incapace poteva giocare con i soldatini. Ne ricavò una pagina vergognosa, la scalata a Telecom Italia, che presto mise in mostra due pericolose verità: non solo mancava la preparazione culturale per essere sinistra di governo, ma anche sul terreno degli affari lo fecero fesso, portando via, sotto il suo naso, la gran parte del malloppo.
E’ stato dipinto come cinico, prepotente, chiuso, determinato, machiavellico. E’ stato considerato un uomo di potere. Poi s’è visto che un Vendola qualsiasi può organizzare un cammellaggio elettorale tale da umiliarlo sulla pubblica scena. Massimo D’Alema, a me sembra, è un uomo di qualità, anche umana, che non è stato all’altezza di due compiti decisivi: chiudere la storia, pessima, del comunismo ed aprire quella della sinistra di governo. Al contrario di altri, ha valutato con realismo la condizione e ha visto la possibile meta, ma non ha saputo correre abbastanza.
Giornalisti e commentatori che si sentono vicini al centro destra, in queste ore, lo hanno rimesso sullo spiedo, nel mentre il centro destra stesso lo votava al Copasir. Gli hanno messo nel conto, non sbagliando, lo sfascio della sinistra, l’autodistruzione di quel disegno abborracciato e mal riuscito del Partito Democratico, affetto dalle due più grandi arretratezza del secolo scorso: il dossettismo e il centralismo. Credo siano critiche fondate, ma trovo stonato un sovrappiù di soddisfazione. Non ho mai risparmiato critiche a D’Alema, quando ho creduto le meritasse, ma vedo cos’è la sinistra che gli sfugge di mano, vedo quel che succede ad un capo debole, Bersani, quando si ritrova a non saper dominare le guerre intestine e si mette al rimorchio di radicalismi e massimalismi. L’elefante che ha paura del sorcio, che barrisce scomposto e provoca sconquassi. Prendete un libro di storia, rileggete i capitoli in cui il massimalismo, nella sinistra, ha messo fuori gioco il riformismo, e constatate che l’Italia non ci ha mai guadagnato. Chiudete il libro, guardatevi attorno, e toglietevi dalla testa che il centro destra d’oggi abbia la forza, culturale e politica, per evitare i guai rinunciando alla sponda del riformismo di sinistra.
Auguro a D’Alema di non restarsene tranquillo al Copasir e di trovare la forza interiore per non rimanere prigioniero del falso potere, come già gli accadde. Spero che il voto unanime lo restituisca alla politica, incaricandolo di cancellare le peggiori tentazioni sinistre, correndo i rischi connessi al combattere il massimalismo. Ha avuto molto, dalla Repubblica, non s’accontenti della pensione.
dal blog di Davide Giacalone
Analisi puntuale del momento di crisi dei post comunisti. Non pienamente condivisibili sono i giudizi su D'Alema, personaggio più furbo che statista, che mi sembra avere perso tanti anni fa l'occasione per fare politica di grande spessore. Indubitabilmente però fra i PD è uno dei migliori e più abili, e come tale uno dei più odiati e perdenti fra i suoi compagni.
31 gennaio 2010
27 gennaio 2010
Il debito perfetto
Tutto il mondo è paese? Per anni ci hanno detto (e noi lo credevamo anche) che le squadre inglesi fossero maestre nella buona (corretta) gestione del calcio, al contrario di quelle nostrane, piene di debiti e ancora archeologiche in termini di modelli di gestione che approcciano al calcio in chiave di marketing e quindi segmentano ogni ambito sfruttabile commercialmente e lo incrociano a prodotti appetibili da collocare nel frastagliato mondo del tifo e non. La società inglese al top di questo tipo di impostazione è stata da sempre il Manchester United, che ora si scopre essere stato gestito come una squadra italiana qualsiasi, tanto da accumulare una massa debitoria di quasi un miliardo di euro (quasi l’intero debito del campionato di calcio italiano). Ma se il Manchester la fa da padrone in tema di debiti, gli altri attori del calcio inglese non sono da meno. Si parte dai 130 milioni del Chelsea, per passare ai 380 milioni dell'Arsenal, ai 440 milioni del Liverpool, per arrivare infine ai 964 milioni del Manchester United. Quasi 2 mila miliardi di vecchie lire.
Detto ciò, occorre precisare che non tutti i debiti del calcio inglese sono uguali (e non solo per dimensioni). I debiti del Chelsea sono quasi tutti nei confronti del magnate russo Abramovich, il quale potrebbe, volendo, estinguerli in un batter d'occhio (tipo Moratti con l’Inter, per intenderci). Quelli dell'Arsenal sono quasi interamente legati alla costruzione del mega-stadio di Ashburton Grove, in altre parole sono una specie di mutuo e potrebbero addirittura essere iscritti alla voce investimenti indiretti. Anche secondo la Uefa (che ha aperto un focus sul fenomeno) questo tipo di esposizione è - tutto sommato - accettabile. Diverso invece, e assai più rischioso, il rosso di Liverpool e Manchester United. In entrambi casi si tratta quasi esclusivamente di debiti verso le banche contratti per l'acquisto del club stesso.
Un escamotage – quello tecnicamente detto del «leveraged buy-out» - che ha fatto molto discutere e funziona più o meno nel seguente modo: per comprare il Manchester United l'attuale proprietà ha chiesto un prestito di poniamo 500 milioni di euro ad una nota banca inglese. Ottenuto il prestito e comprata la più gloriosa società britannica la medesima proprietà ha chiesto attraverso il Manchester United un nuovo prestito di 600 milioni di euro alla stessa banca che lo ha nuovamente autorizzato. Dopo averlo ottenuto la proprietà restituisce i soldi alla banca che in origine le aveva accordato il prestito per l’acquisto del club. Risultato? La proprietà ha comprato il Manchester senza tirare fuori una sterlina (e senza avere più debiti) e lo United si trova invece con un debito di 600 milioni di euro (solo di interessi il Man U paga circa 38 milioni di euro l’anno). Bravi, no? Basta solo trovare una banca che si presti al giochetto: la vera abilità, chiamiamola così, è questa.
di Libeccio, sul blog Indiscreto
Detto ciò, occorre precisare che non tutti i debiti del calcio inglese sono uguali (e non solo per dimensioni). I debiti del Chelsea sono quasi tutti nei confronti del magnate russo Abramovich, il quale potrebbe, volendo, estinguerli in un batter d'occhio (tipo Moratti con l’Inter, per intenderci). Quelli dell'Arsenal sono quasi interamente legati alla costruzione del mega-stadio di Ashburton Grove, in altre parole sono una specie di mutuo e potrebbero addirittura essere iscritti alla voce investimenti indiretti. Anche secondo la Uefa (che ha aperto un focus sul fenomeno) questo tipo di esposizione è - tutto sommato - accettabile. Diverso invece, e assai più rischioso, il rosso di Liverpool e Manchester United. In entrambi casi si tratta quasi esclusivamente di debiti verso le banche contratti per l'acquisto del club stesso.
Un escamotage – quello tecnicamente detto del «leveraged buy-out» - che ha fatto molto discutere e funziona più o meno nel seguente modo: per comprare il Manchester United l'attuale proprietà ha chiesto un prestito di poniamo 500 milioni di euro ad una nota banca inglese. Ottenuto il prestito e comprata la più gloriosa società britannica la medesima proprietà ha chiesto attraverso il Manchester United un nuovo prestito di 600 milioni di euro alla stessa banca che lo ha nuovamente autorizzato. Dopo averlo ottenuto la proprietà restituisce i soldi alla banca che in origine le aveva accordato il prestito per l’acquisto del club. Risultato? La proprietà ha comprato il Manchester senza tirare fuori una sterlina (e senza avere più debiti) e lo United si trova invece con un debito di 600 milioni di euro (solo di interessi il Man U paga circa 38 milioni di euro l’anno). Bravi, no? Basta solo trovare una banca che si presti al giochetto: la vera abilità, chiamiamola così, è questa.
di Libeccio, sul blog Indiscreto
24 gennaio 2010
Genova per noi...
Mercoledì scorso, una gita a Genova con i simpatici amici pensionati della Bpm.
Sembra incredibile che una meta abituale per un milanese come Genova possa riservare sorprese impensate, se la visita è sapientemente organizzata a temi.
Innanzitutto l'Acquario, uno dei più dotati di esemplari del mondo. Sarà che invecchiando si torna bambini ma quelle vasche fantastiche in cui scivolano, silenziosi, pesci di ogni oceano suscitano meraviglia ed entusiasmo.
Frammischiati alle scolaresche, ci siamo goduti i multicolori pescini tropicali, i piranha (scoprendo che singolarmente non sono quei killer raccontati dalla vulgata giornalistica... ma viaggiano sempre in branco di centinaia!), gli squali e quei tontoloni (così mi appaiono) dei delfini e tanto altro ancora, anche i branzini della vicina costa di Levante.
Dopo un pranzo memorabile, via al tour per il quartiere di Albaro e poi il centro storico a piedi con i magnifici palazzi patrizi, il palazzo Doria, le fontane ed il duomo, un gioiello di arte tardo medioevale.
Genova ha saputo utilizzare al meglio i fondi del drammatico G8 del 2001 e delle Colombiadi per ridare lustro e vitalità al centro antico (dice niente Letizia Moratti?) e smentire quella nomea di città irrimediabilmente decadente che si era accompagnata alla crisi industriale e portuale.
Dei tempi peggiori restano le orribili periferie pedemontane e quello scempio urbanistico della sopraelevata che dicono, però, prossima al pensionamento.
Sembra incredibile che una meta abituale per un milanese come Genova possa riservare sorprese impensate, se la visita è sapientemente organizzata a temi.
Innanzitutto l'Acquario, uno dei più dotati di esemplari del mondo. Sarà che invecchiando si torna bambini ma quelle vasche fantastiche in cui scivolano, silenziosi, pesci di ogni oceano suscitano meraviglia ed entusiasmo.
Frammischiati alle scolaresche, ci siamo goduti i multicolori pescini tropicali, i piranha (scoprendo che singolarmente non sono quei killer raccontati dalla vulgata giornalistica... ma viaggiano sempre in branco di centinaia!), gli squali e quei tontoloni (così mi appaiono) dei delfini e tanto altro ancora, anche i branzini della vicina costa di Levante.
Dopo un pranzo memorabile, via al tour per il quartiere di Albaro e poi il centro storico a piedi con i magnifici palazzi patrizi, il palazzo Doria, le fontane ed il duomo, un gioiello di arte tardo medioevale.
Genova ha saputo utilizzare al meglio i fondi del drammatico G8 del 2001 e delle Colombiadi per ridare lustro e vitalità al centro antico (dice niente Letizia Moratti?) e smentire quella nomea di città irrimediabilmente decadente che si era accompagnata alla crisi industriale e portuale.
Dei tempi peggiori restano le orribili periferie pedemontane e quello scempio urbanistico della sopraelevata che dicono, però, prossima al pensionamento.
18 gennaio 2010
Non me li merito
di Davide Giacalone
(apparso in origine su www.davidegiacalone.it il 12/12/2009)
Nella nostra politica non c'è più né destra, né sinistra. C'è un'aggregazione d'interessi attorno alla speranza che si possa superare Berlusconi, senza essere costretti a batterlo. E c'è un coagulo d'interessi attorno a Berlusconi, che essendo invitto non intende farsi seppellire. Attorno alla scena s'agitano le tifoserie, sempre più incattivite verso la curva avversaria, ma sempre più disinteressate a un gioco ripetitivo e privo d'azione.
Per liberarsi di Berlusconi, senza essere riusciti a prendere più voti di lui, non basta sperare nei tribunali. È una tattica vecchia, dimostratasi largamente perdente. Ha sbrindellato l'Italia, complice il ripetuto tentativo di neutralizzarla in Parlamento, ma non ha conseguito lo scopo. La trappola, semmai, hanno in mente farla scattare subito dopo le regionali, quando si aprirà un periodo lungo, per le abitudini nazionali, senza elezioni. A quel punto il governo dovrà vedersela sia con una crisi difficile che con un Parlamento sbandato. I parlamentari sanno di essere dei nominati, e non degli eletti, sicché sono più intenti a capire chi potrà rinominarli che a lavorare per essere rieletti. Pertanto, dopo le regionali, Berlusconi sarà elettoralmente più forte e politicamente più debole.
Quest'ultimo, per evitare d'essere rosolato allo spiedo, sputa benzina sul fuoco e dirige le fiamme verso quanti s'apprestano anzitempo al banchetto. Non reagisce come sarebbe più politicamente opportuno, ad esempio ponendo il tema della separazione delle carriere, per i magistrati, e chiamando al voto immediato. Della serie: chi ci sta ci sta, e chi non ci sta peste lo colga. No, preferisce roteare la durlindana e notificare agli astanti che il sistema della seconda repubblica lui lo ha forgiato e lui è in grado di distruggerlo.
Così, siamo finiti tutti in uno di quei film che raccontano l'incubo delle giornate che ricominciano sempre uguali, come se non fossero già state vissute. Oggi le elezioni anticipate sono una soluzione, ma più per lo stallo in cui si è finiti che quale presupposto di un governo governante. Convengono ai maggiori protagonisti e non convengono ai comprimari e alle mosche cocchiere. Nel mentre le istituzioni sono ferme, vetrificate, e il Paese viene marinato in una pozza ingloriosa, dove tocca ascoltare anche l'opinione di gente che, al contrario, dovrebbe essere tumulata in galera.
Continuare il gioco non ha senso, ma interromperlo e farlo saltare significa solo riprenderlo dopo le urne, probabilmente eguale a quello di prima. Se ne dovrebbe uscire usando la politica, se esistesse. Se ci fosse in giro gente assennata, sentiremmo parlare di riforme costituzionali ed elettorali. Invece c'è solo gente aggrappata a Berlusconi, o gente aggrappata alla speranza che sparisca. Se esistesse una classe dirigente, avrebbe chiare due cose: la prima è che il suo ciclo politico volge al termine, la seconda è che la peggiore disgrazia, per l'Italia, sarebbe concluderlo con un colpo di palazzo, sia esso di giustizia o meno.
Chi ha senso delle istituzioni, e dello Stato, dovrebbe capirlo. Per questo m'infastidiscono i luogocomunismi falsocoscienziosi. Quelli che ti dicono: in nessun Paese al mondo un capo di governo fugge dal processo. Già, ma in nessun Paese si cerca di processarlo ogni giorno. Oppure: ha attaccato la corte costituzionale, demolendo le istituzioni. Ma quella corte non è solo politicizzata, è anche, largamente, dequalificata. Non prendiamoci in giro, ma lo avete visto come eleggono i presidenti? O, ancora: ha parlato a Bonn svergognando l'Italia all'estero. Roba da matti: abbiamo mondato in mondovisione un assassino che diceva d'avere agito su mandato di Berlusconi e sarebbe deplorevole che il presunto mandante si dica calunniato? Fanno tutti gli scandalizzati, ma sono scandalosi, perché credono che cancellato Berlusconi il Paese sia riconsegnato loro senza più il fastidio di quel branco fastidioso che chiamano elettorato. Si credono vestali della democrazia, ma sono i primi a volerne tradire le radici.
È sempre la stessa scena, da troppi anni. Basta. Io lo so che il cosiddetto processo breve è una boiata. E lo so che l'Associazione Nazionale Magistrati non è un'accolita di fini giuristi, ma di grossolani corporativi. Lo so che gli uni meritano gli altri. Sono io, però, che non me li merito.
dal blog Ali e Radici
Giacalone è un vecchio rappresentante di quel miracolo di cultura politica e pulizia morale che fu il PRI di La Malfa.
Esprime tesi ed umori in larga parte condivisibili.
Il processo di avvicendamento di Berlusconi sarà lungo e faticoso. Sarebbe importante ed utile che alla fine del guado non ci ritrovassimo con le gerarchie massoniche ed azioniste ad inscenare il vecchio teatrino dei democratici progressisti alleati con i poteri più oscuri del potere economico nazionale.
(apparso in origine su www.davidegiacalone.it il 12/12/2009)
Nella nostra politica non c'è più né destra, né sinistra. C'è un'aggregazione d'interessi attorno alla speranza che si possa superare Berlusconi, senza essere costretti a batterlo. E c'è un coagulo d'interessi attorno a Berlusconi, che essendo invitto non intende farsi seppellire. Attorno alla scena s'agitano le tifoserie, sempre più incattivite verso la curva avversaria, ma sempre più disinteressate a un gioco ripetitivo e privo d'azione.
Per liberarsi di Berlusconi, senza essere riusciti a prendere più voti di lui, non basta sperare nei tribunali. È una tattica vecchia, dimostratasi largamente perdente. Ha sbrindellato l'Italia, complice il ripetuto tentativo di neutralizzarla in Parlamento, ma non ha conseguito lo scopo. La trappola, semmai, hanno in mente farla scattare subito dopo le regionali, quando si aprirà un periodo lungo, per le abitudini nazionali, senza elezioni. A quel punto il governo dovrà vedersela sia con una crisi difficile che con un Parlamento sbandato. I parlamentari sanno di essere dei nominati, e non degli eletti, sicché sono più intenti a capire chi potrà rinominarli che a lavorare per essere rieletti. Pertanto, dopo le regionali, Berlusconi sarà elettoralmente più forte e politicamente più debole.
Quest'ultimo, per evitare d'essere rosolato allo spiedo, sputa benzina sul fuoco e dirige le fiamme verso quanti s'apprestano anzitempo al banchetto. Non reagisce come sarebbe più politicamente opportuno, ad esempio ponendo il tema della separazione delle carriere, per i magistrati, e chiamando al voto immediato. Della serie: chi ci sta ci sta, e chi non ci sta peste lo colga. No, preferisce roteare la durlindana e notificare agli astanti che il sistema della seconda repubblica lui lo ha forgiato e lui è in grado di distruggerlo.
Così, siamo finiti tutti in uno di quei film che raccontano l'incubo delle giornate che ricominciano sempre uguali, come se non fossero già state vissute. Oggi le elezioni anticipate sono una soluzione, ma più per lo stallo in cui si è finiti che quale presupposto di un governo governante. Convengono ai maggiori protagonisti e non convengono ai comprimari e alle mosche cocchiere. Nel mentre le istituzioni sono ferme, vetrificate, e il Paese viene marinato in una pozza ingloriosa, dove tocca ascoltare anche l'opinione di gente che, al contrario, dovrebbe essere tumulata in galera.
Continuare il gioco non ha senso, ma interromperlo e farlo saltare significa solo riprenderlo dopo le urne, probabilmente eguale a quello di prima. Se ne dovrebbe uscire usando la politica, se esistesse. Se ci fosse in giro gente assennata, sentiremmo parlare di riforme costituzionali ed elettorali. Invece c'è solo gente aggrappata a Berlusconi, o gente aggrappata alla speranza che sparisca. Se esistesse una classe dirigente, avrebbe chiare due cose: la prima è che il suo ciclo politico volge al termine, la seconda è che la peggiore disgrazia, per l'Italia, sarebbe concluderlo con un colpo di palazzo, sia esso di giustizia o meno.
Chi ha senso delle istituzioni, e dello Stato, dovrebbe capirlo. Per questo m'infastidiscono i luogocomunismi falsocoscienziosi. Quelli che ti dicono: in nessun Paese al mondo un capo di governo fugge dal processo. Già, ma in nessun Paese si cerca di processarlo ogni giorno. Oppure: ha attaccato la corte costituzionale, demolendo le istituzioni. Ma quella corte non è solo politicizzata, è anche, largamente, dequalificata. Non prendiamoci in giro, ma lo avete visto come eleggono i presidenti? O, ancora: ha parlato a Bonn svergognando l'Italia all'estero. Roba da matti: abbiamo mondato in mondovisione un assassino che diceva d'avere agito su mandato di Berlusconi e sarebbe deplorevole che il presunto mandante si dica calunniato? Fanno tutti gli scandalizzati, ma sono scandalosi, perché credono che cancellato Berlusconi il Paese sia riconsegnato loro senza più il fastidio di quel branco fastidioso che chiamano elettorato. Si credono vestali della democrazia, ma sono i primi a volerne tradire le radici.
È sempre la stessa scena, da troppi anni. Basta. Io lo so che il cosiddetto processo breve è una boiata. E lo so che l'Associazione Nazionale Magistrati non è un'accolita di fini giuristi, ma di grossolani corporativi. Lo so che gli uni meritano gli altri. Sono io, però, che non me li merito.
dal blog Ali e Radici
Giacalone è un vecchio rappresentante di quel miracolo di cultura politica e pulizia morale che fu il PRI di La Malfa.
Esprime tesi ed umori in larga parte condivisibili.
Il processo di avvicendamento di Berlusconi sarà lungo e faticoso. Sarebbe importante ed utile che alla fine del guado non ci ritrovassimo con le gerarchie massoniche ed azioniste ad inscenare il vecchio teatrino dei democratici progressisti alleati con i poteri più oscuri del potere economico nazionale.
10 gennaio 2010
I socialisti del PD ghettizzati dal loro partito
Intervista a Alberto La Volpe, già direttore del TG2 dal 1987 al 1993. In seguito è stato parlamentare, sottosegretario nei governi Prodi I e D'Alema I.
[...] C'è una cosa che proprio io non capisco di questi ex-comunisti. Ha notato? Dicono sempre, "ah, ci spiace, non avevamo capito". Non avevano capito la questione della scala mobile, non avevano capito questo, non avevano compreso quello...".
d. Non avevano capito Craxi.
"E certo... in fondo era un grosso personaggio, in fondo avremmo dovuto, avremmo potuto, e invece no, e così davvero adesso ci spiace... ma sono ritardati?".
d. Con Del Turco, però, pure in queste ore, mentre sembra profilarsi una possibile, clamorosa inversione di tendenza processuale, ancora tacciono.
"E questo, come le dicevo prima, mi sembra francamente incredibile. Anche se... è gente un po' così. Ottaviano m'ha raccontato che in un giorno di pioggia, a Roma, ha incrociato due altissimi dirigenti del PD che, pur di non salutarlo, hanno abbassato gli ombrelli...".
dal Corriere della Sera, del 10 Gennaio 2010
Ma quello che è drammatico è che il figlio di Bettino per una poltroncina a Strasburgo finge di non capire.
[...] C'è una cosa che proprio io non capisco di questi ex-comunisti. Ha notato? Dicono sempre, "ah, ci spiace, non avevamo capito". Non avevano capito la questione della scala mobile, non avevano capito questo, non avevano compreso quello...".
d. Non avevano capito Craxi.
"E certo... in fondo era un grosso personaggio, in fondo avremmo dovuto, avremmo potuto, e invece no, e così davvero adesso ci spiace... ma sono ritardati?".
d. Con Del Turco, però, pure in queste ore, mentre sembra profilarsi una possibile, clamorosa inversione di tendenza processuale, ancora tacciono.
"E questo, come le dicevo prima, mi sembra francamente incredibile. Anche se... è gente un po' così. Ottaviano m'ha raccontato che in un giorno di pioggia, a Roma, ha incrociato due altissimi dirigenti del PD che, pur di non salutarlo, hanno abbassato gli ombrelli...".
dal Corriere della Sera, del 10 Gennaio 2010
Ma quello che è drammatico è che il figlio di Bettino per una poltroncina a Strasburgo finge di non capire.
08 gennaio 2010
Gioconda, icodiagnosi e colesterolo alto
La Gioconda non godeva di buona salute: probabilmente, aveva il colesterolo alto e i trigliceridi alle stelle.
Monna Lisa è stata analizzata da diversi tipi di studiosi, dai tradizionali critici d'arte agli psicologi fino ai cultori di esoterismo, ma gli icodiagnosti sono un'aggiunta relativamente nuova.
Essi sono specialisti di una nuova disciplina, medici che passano al setaccio le pietre miliari dell'arte alla ricerca di possibili indizi rivelatori sulle malattie o sui disturbi fisici di cui soffriva l'antico modello.
In Italia pioniere di tale branca di studi è il professor Vito Franco, docente di Anatomia Patologica all'Università di Palermo e relatore sul tema all'ultimo convegno Società Europea di Anatomia Patologica. La sua ultima ricerca è un ottimo esempio di icodiagnostica: un centinaio di casi, dall'Antico Egitto all'arte contemporanea, tutti divisi per malattia.
Viaggiando nel lavoro del professor Franco e dei suoi compagni di scienza (e passione) si scopre così come la sorridente signora ritratta da Leonardo mostra uno xantelasma (accumulo di grasso sottocutaneo) nell'incavo dell'occhio sinistro e un lipoma sulla mano in primo piano, segnali indicatori di troppo grasso.
La Madonna del Parto di Piero della Francesca (oltre alla palese gravidanza) manifesta un gozzo sul collo, endemico in un periodo (il Medioevo) in cui la maggior parte dell'acqua bevuta proveniva dalle cisterne.
La Scuola di Atene (dipinto di Michelangelo conservato ai Musei Vaticani) vede, in basso a sinistra, un uomo malato, identificato come Michelangelo, seduto sulle scale, curvo, con le ginocchia gonfie e tumefatte. Spiega Franco: "Sembrano indicare un eccesso di acido urico, tipico di chi soffre di calcolosi renale. E d'altronde lui per mesi e mesi si è nutrito solo di pane e vino, lavorando giorno e notte al suo capolavoro, la Cappella Sistina".
Come in tutte le sezioni della medicina, anche nell'icodiagnosi ci sono delle controversie. Ad esempio, l'Amorino Dormiente di Caravaggio: artrite reumatoide o rachitismo? Oppure la Madonna del Collo Lungo del Parmigianino esposta agli Uffizi. Sicuramente soffre di aracnodattilia (per le sue dita lunghe e sottili, come le zampe di un ragno) ma forse è anche vittima della sindrome di Marfan, un disturbo ereditario che colpisce le ossa, i legamenti, gli occhi, il sistema cardiovascolare.
A volte, l'arte studia lo stesso soggetto più volte, consentendo all'indagatore medico di osservare i cambiamenti prodotti dal tempo [...]. E, come spiegano gli icodiagnosti, il legame tra arte e malattia, diventa più evidente quando l'artista è contemporaneamente soggetto e oggetto [...].
dal blog Ali e Radici
Monna Lisa è stata analizzata da diversi tipi di studiosi, dai tradizionali critici d'arte agli psicologi fino ai cultori di esoterismo, ma gli icodiagnosti sono un'aggiunta relativamente nuova.
Essi sono specialisti di una nuova disciplina, medici che passano al setaccio le pietre miliari dell'arte alla ricerca di possibili indizi rivelatori sulle malattie o sui disturbi fisici di cui soffriva l'antico modello.
In Italia pioniere di tale branca di studi è il professor Vito Franco, docente di Anatomia Patologica all'Università di Palermo e relatore sul tema all'ultimo convegno Società Europea di Anatomia Patologica. La sua ultima ricerca è un ottimo esempio di icodiagnostica: un centinaio di casi, dall'Antico Egitto all'arte contemporanea, tutti divisi per malattia.
Viaggiando nel lavoro del professor Franco e dei suoi compagni di scienza (e passione) si scopre così come la sorridente signora ritratta da Leonardo mostra uno xantelasma (accumulo di grasso sottocutaneo) nell'incavo dell'occhio sinistro e un lipoma sulla mano in primo piano, segnali indicatori di troppo grasso.
La Madonna del Parto di Piero della Francesca (oltre alla palese gravidanza) manifesta un gozzo sul collo, endemico in un periodo (il Medioevo) in cui la maggior parte dell'acqua bevuta proveniva dalle cisterne.
La Scuola di Atene (dipinto di Michelangelo conservato ai Musei Vaticani) vede, in basso a sinistra, un uomo malato, identificato come Michelangelo, seduto sulle scale, curvo, con le ginocchia gonfie e tumefatte. Spiega Franco: "Sembrano indicare un eccesso di acido urico, tipico di chi soffre di calcolosi renale. E d'altronde lui per mesi e mesi si è nutrito solo di pane e vino, lavorando giorno e notte al suo capolavoro, la Cappella Sistina".
Come in tutte le sezioni della medicina, anche nell'icodiagnosi ci sono delle controversie. Ad esempio, l'Amorino Dormiente di Caravaggio: artrite reumatoide o rachitismo? Oppure la Madonna del Collo Lungo del Parmigianino esposta agli Uffizi. Sicuramente soffre di aracnodattilia (per le sue dita lunghe e sottili, come le zampe di un ragno) ma forse è anche vittima della sindrome di Marfan, un disturbo ereditario che colpisce le ossa, i legamenti, gli occhi, il sistema cardiovascolare.
A volte, l'arte studia lo stesso soggetto più volte, consentendo all'indagatore medico di osservare i cambiamenti prodotti dal tempo [...]. E, come spiegano gli icodiagnosti, il legame tra arte e malattia, diventa più evidente quando l'artista è contemporaneamente soggetto e oggetto [...].
dal blog Ali e Radici
07 gennaio 2010
La voce del Patriarca dell'Est
"La risposta religiosa alla sfida del secolarismo neoliberale può essere di tre tipi: radicale, ed è il caso di una parte dei seguaci più bellicosi dell'Islam; altrettanto liberale, come settori significativi delle comunità protestanti, i quali ammettono i matrimoni tra omosessuali, l'aborto e l'eutanasia; infine, può essere quella delle chiese che si ispirano alla tradizione cristiana, ed è la risposta di chi vuole difendere la purezza delle verità insegnate dal Salvatore sulla vita e l'uomo.
La Chiesa ortodossa e quella cattolica sono separate da contrasti dottrinali ed ecclesiologi, ma al di là di questo c'è qualcosa che rende ortodossi e cattolici alleati strategici.
Dalla loro reciproca comprensione, dal successo delle azioni da intraprendere insieme dipende il futuro non solo dell'Europa ma, forse, del mondo intero".
Kirill I
Patriarca di Mosca e di tutte le Russie.
da Tempi, del 9 Dicembre 2009
La Chiesa ortodossa e quella cattolica sono separate da contrasti dottrinali ed ecclesiologi, ma al di là di questo c'è qualcosa che rende ortodossi e cattolici alleati strategici.
Dalla loro reciproca comprensione, dal successo delle azioni da intraprendere insieme dipende il futuro non solo dell'Europa ma, forse, del mondo intero".
Kirill I
Patriarca di Mosca e di tutte le Russie.
da Tempi, del 9 Dicembre 2009
02 gennaio 2010
Natale fra dune e pozzi petroliferi
Sono tornato. Otto giorni di crociera nel Golfo Persico e di Oman per toccare con mano le civiltà arabe proiettate nel futuro.
Beneficiati dalle enormi riserve di greggio, questi stati desertici hanno saputo coniugare fortuna ed acume imprenditoriale trasformando paesaggi lunari in avveniristiche metropoli, dotate di infrastrutture inimmaginabili per la nostra stanca mentalità europea.
Selve di grattacieli, gioielli architettonici, torri alte centinaia di metri, intrico di autostrade urbane sovrapposte le une alle altre. Questa è soprattutto Dubai, la più spettacolare invenzione urbanistica dell'ultimo trentennio.
Riferire sensazioni è difficile. Stupore, come la prima volta che arrivi nella Grande Mela, ma anche ammirazione per tanta ingegnosità e creatività dell'uomo.
All'intorno di queste megalopoli del terzo millennio, l'eterno, immenso deserto, la radice di questi popoli e forse il loro destino finale.
Sono questi paesi musulmani, ma senza apparenti forzature integraliste. L'immigrazione, che il benessere economico ha mosso (l'87% della popolazione), ha profondamente modificato i costumi e indotto le autorità ad acconsentire la pratica religiosa anche ad altre fedi che hanno potuto erigere loro templi, sebbene al di fuori dei centri storici.
Lo stile multietnico si avverte ovunque, nei centri commerciali di stile occidentale, nell'offerta gastronomica, nella presenza importante delle più famose griffe del lusso, nei profili delle cento razze che qui convivono in pace.
In questa grande fiera campionaria del mondo, i locali passano quasi inosservati con le loro vetture, i loro natanti, impaludati come quando la tenda era il loro ricovero e l'imam la loro unica guida esistenziale, fedeli alle tradizioni, l'ancora di salvezza di ogni popolo.
Questo ho colto in pochi giorni con la netta sensazione di avere, per un attimo, respirato l'aria dei nuovi padroni del mondo.
L'esperienza della crociera non mi ha invece totalmente convinto. Si vive e ci si muove su queste città galleggianti, piccoli capolavori di ingegneria e di logistica, ma la sensazione, dopo poche ore di permanenza, è di essere parte di un ben diretto formicaio, le cui regole sono ferreamente stabilite dalla pianificata organizzazione.
In fondo, e proprio per questo, il più bel ricordo è il safari nel deserto ove, se ti sposti di cento metri dalla carovana, sei solo nell'immenso a parlare con la natura e con Dio.
Beneficiati dalle enormi riserve di greggio, questi stati desertici hanno saputo coniugare fortuna ed acume imprenditoriale trasformando paesaggi lunari in avveniristiche metropoli, dotate di infrastrutture inimmaginabili per la nostra stanca mentalità europea.
Selve di grattacieli, gioielli architettonici, torri alte centinaia di metri, intrico di autostrade urbane sovrapposte le une alle altre. Questa è soprattutto Dubai, la più spettacolare invenzione urbanistica dell'ultimo trentennio.
Riferire sensazioni è difficile. Stupore, come la prima volta che arrivi nella Grande Mela, ma anche ammirazione per tanta ingegnosità e creatività dell'uomo.
All'intorno di queste megalopoli del terzo millennio, l'eterno, immenso deserto, la radice di questi popoli e forse il loro destino finale.
Sono questi paesi musulmani, ma senza apparenti forzature integraliste. L'immigrazione, che il benessere economico ha mosso (l'87% della popolazione), ha profondamente modificato i costumi e indotto le autorità ad acconsentire la pratica religiosa anche ad altre fedi che hanno potuto erigere loro templi, sebbene al di fuori dei centri storici.
Lo stile multietnico si avverte ovunque, nei centri commerciali di stile occidentale, nell'offerta gastronomica, nella presenza importante delle più famose griffe del lusso, nei profili delle cento razze che qui convivono in pace.
In questa grande fiera campionaria del mondo, i locali passano quasi inosservati con le loro vetture, i loro natanti, impaludati come quando la tenda era il loro ricovero e l'imam la loro unica guida esistenziale, fedeli alle tradizioni, l'ancora di salvezza di ogni popolo.
Questo ho colto in pochi giorni con la netta sensazione di avere, per un attimo, respirato l'aria dei nuovi padroni del mondo.
L'esperienza della crociera non mi ha invece totalmente convinto. Si vive e ci si muove su queste città galleggianti, piccoli capolavori di ingegneria e di logistica, ma la sensazione, dopo poche ore di permanenza, è di essere parte di un ben diretto formicaio, le cui regole sono ferreamente stabilite dalla pianificata organizzazione.
In fondo, e proprio per questo, il più bel ricordo è il safari nel deserto ove, se ti sposti di cento metri dalla carovana, sei solo nell'immenso a parlare con la natura e con Dio.
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