09 novembre 2010

Fine della fajolada rossonera?

Con Allegri nella «guerra» agli intoccabili.

Che Alexandre Pato, firmando il terzo gol milanista a Bari dopo un'ora di sana panchina, abbia festeggiato portando la mano all'orecchio sinistro, è un fatto secondario. Come pure il destinatario (o i destinatari) della sua polemica esultanza: che ce l'avesse col suo allenatore, colpevole di averlo schiaffato tra le riserve, oppure con chi per due volte (Juve e Real) lo aveva fischiato a San Siro, non cambia la sostanza delle cose. Quello che invece conta è il tempismo con cui Massimiliano Allegri ha colto al volo le indicazioni della notte di Milan-Real Madrid. Se i rossoneri non sono affondati contro i mourinhani dopo gli scivoloni di Madrid e con la Juve, il merito è interamente ascrivibile allo zoccolo duro della vecchia guardia, non certo all'aria fritta sparsa a piene mani da Pato e dal suo sodale Ronaldinho. A noi i brasiliani sono naturalmente simpatici perché esprimono allegria e gioia di vivere. Però quando si fa sul serio, i bongo, il samba, la fajolada e tutte le amenità del floklore brasileiro non ci interessano più. Al Milan si gioca a pallone, si corre e, se è il caso, si sputa sangue. Chi, come Ronaldinho e Pato, dimostra di essere duro di comprendonio, non ha più diritto a cambiali in bianco: il suo posto è la panchina. Finalmente, dopo anni di lassismo all'insegna di una malintesa brasilianità, qualcuno l'ha capito. Quel qualcuno è Massimiliano Allegri e noi siamo con lui.

di Alberto Costa, sul Corriere della Sera di oggi

1 commento:

TheSteve ha detto...

Fa piacere scoprire sulla stampa che conta un rigurgito di milanismo d'antan, dopo anni (troppi, almeno cinque) di frasi fatte e verità taciute. Per conto mio, il Milan ha cessato di essere "squadra" nel senso pieno e sano del termine con lo psicodramma di Istanbul nel 2005. Poi sono venuti Calciopoli, il golpe bianco di Guido Rossi, il grande freddo di Berlusconi, le marachelle da basso impero di Galliani, Braida & Bronzetti. La Champions del 2007 rappresenta per me niente più che un cerchio del destino che si è chiuso per la scommessa di un gruppo di uomini ostinati e predestinati. Ma il Calcio è altrove, ora mai da un lustro. Il gregge dei brasiliani pascola a Milanello, sotto l'occhio compiacente di una dirigenza festaiola, ora mai da un lustro. La cosiddetta vecchia guardia sopravvive a se stessa con la complicità di quella dirigenza, arroccata a difendere e conservare i propri privilegi piuttosto che a programmare un futuro da top club, ora mai da un lustro. Le beghe politiche e l'inatteso outing di Leonardo (chapeau!) hanno costretto, la scorsa estate, Berlusconi a scendere di nuovo in campo: con gli abbonamenti in picchiata e la contestazione pronta ad esplodere dopo quattro anni di monopolio morattiano, culminato nell'incredibile triplete di Mourinho, un calo del consenso popolare di parecchi punti percentuali era un rischio fatale da evitare ad ogni costo, persino quello degli ingaggi di Ibrahimovic e Robinho. Che questi episodi siano la scintilla di un meccanismo virtuoso che riporterà il Milan ad essere "squadra", è ancora tutto da dimostrare. Certo è che Allegri era partito col piede sbagliato, compiacendo le fantasticherie senili del presidente con un modulo offensivo che era un obbrobrio e un'eresia tattica insostenibile. La brutta figura rimediata contro la Juve e l'ecatombe sfiorata due volte contro il Real devono avere dato una scossa profonda all'ambiente. Bene così. La presa di posizione (significativamente, anche mediatica) contro il clan della fajolada è il primo passo del lungo cammino verso la virtù. Ma anche lo zoccolo duro dei contratti in scadenza nel 2011 (Nesta, Seedorf, Gattuso, Zambrotta, Kaladze, Oddo, Jankulovski,...) è una trave, ereditata dalla gestione alla brianzola degli ultimi cinque anni, da scardinare per poter iniziare la Grande Ricostruzione. La quale non dovrà prescindere dalla risoluzione di alcuni equivoci che si tramandano, di gestione in gestione, non da oggi ma quanto meno dall'ultimo biennio ancelottiano. 1) La difesa necessita di ricambi di qualità (ovvero non Yepes, non Sokratis, non Onyewu - oh prode Galliani!) nei due ruoli centrali. 2) I laterali difensivi devono tornare a essere atleti sani (quindi non Oddo, non Zambrotta, non Bonera, non Jankulovski) e tecnicamente dotati (di Antonini e Abate si apprezza la buona volontà, ma il Milan di Cafu e Serginho era un'altra cosa). 3) Il centrocampo a tre non può sopportare la compresenza di due vecchie glorie come Pirlo e Seedorf: dei due, uno si accomodi a turno in panchina senza troppi maldipancia. E quanto prima, si trovi sul mercato una valida prospettiva (che probabilmente non sarà né Lazzari né ora mai Hernanes). 4) L'attacco non può essere composto da un tridente di scansafatiche: fra Ronaldinho, Pato e Robinho, uno solo può permettersi il lusso di non rientrare a copertura della difesa. E comunque sempre a condizione che il suo contributo offensivo sia concreto e non velleitario: diversamente, il gioco a tre punte non vale la candela. Come tutti quanti siamo in grado di capire, di lavoro ce n'è parecchio. Ma mai quanto la voglia, se pur ahimè sopita, di rivedere il "vero" Milan.