20 agosto 2011

Borse e stregoneria

C’è chi sta facendo e farà ottimi affari, approfittando di Borse che offrono prezzi sempre più bassi. Fra quanti possono gioire non rientrano i governi (mica solo il nostro), perché impotenti. I giornali titolano sui miliardi che vengono “bruciati”, vale a dire persi per colpa dei ribassi. La cosa non è del tutto ragionevole, perché avrebbero dovuto far titoloni anche sui miliardi che furono “creati”, quando gli indici sono stati improntati, per lungo tempo, al bello o al sereno. Il fatto è che quegli strilli non avrebbero attirato un gran interesse, perché è difficile credere che la ricchezza possa essere inventata e, comunque, la gente che cammina per la strada ed entra al supermercato non coglie il nesso fra i gloriosi rialzi borsistici e lo spessore del proprio borsellino. Un nesso che, al ribasso, vuole invece prepotentemente imporsi.
C’è sempre, quel nesso. Anche gli abitanti del paesello di campagna, che sorbiscono il caffè al circolo e vanno di briscola al tramonto, pur magari non avendo mai investito una lira in Borsa, hanno visto crescere il valore dei propri immobili. È avvenuto anche grazie al fatto che c’era gente disposta a pagare di più per avere un rifugio lontano dalla città. Nei sistemi aperti, la maggiore ricchezza degli uni arricchisce sempre gli altri. La maggiore povertà, di converso, li impoverisce. Ma fino ad un certo punto.
I governi che guardano alle Borse, cercandovi gli auspici per il futuro immediato, sono come i comandanti che interrogavano gli aruspici per sapere della sorte in battaglia: si spera, non del tutto in balia della divinazione. I mercati non sono governati da occulte cabine di regia o da comitati esecutivi di gente cinica e competente. Nella gran parte dei casi, funziona la logica del gregge: battete le mani da una parte e le pecore vanno tutte dall’altra. Ciascun operatore osserva il proprio computer e cerca di reagire in tempo reale, sulla base di modelli matematici, all’andamento della giornata. Siccome i modelli sono simili, va a finire che si muovono all’unisono. Talora provocando disastri, perché un gregge che corre cieco sui tuoi campi te li distrugge, e prega che non siano bisonti e di non trovartici in mezzo. Che loro non sappiano cosa fanno e non ne avessero l’intenzione è, alla fine, irrilevante.
Qualcuno crede di star per assistere ad una crisi del capitalismo. Sbagliato, assisterà alla sua vitalità. Quello che va in scena è l’inciampo della finanza, che crea un tonfo enorme. La finanza può agire da sistema nervoso del capitalismo, indicando quali sono i settori che i mercati considerano promettenti. Ma se lo droghi, un sistema nervoso, lo inganni. E lui, per vendetta, inganna te. Come quelli che prendono l’lsd e si lanciano dalla finestra con l’idea di volare, finendo spiaccicati al suolo. La finanza contemporanea ha veramente fatto credere che si potesse inventare la ricchezza, sicché oggi lascia titolare che la si brucia, ma, in realtà, quel che mangiamo va coltivato, allevato e preparato, quello di cui ci vestiamo va cucito, e anche impreziosito con il bottone del colore giusto. Se, poi, considero ricchezza quel bottone e lo valuto più del cappotto divento ricco e famoso finché dura, dopo di che crollo e faccio crollare, anche perché il cappotto s’usa per il freddo, non per il bottone. Se dico di avere eliminato i rischi, come s’è fatto con i derivati, induco ad andar per mare i non natanti e a far salire in vetta gli obesi. Finiranno annegati e sfracellati, perché non sono stati in grado di vedere il rischio.
I governi dovrebbero guardare alle economie reali, sapendo di non potere governare quelle virtuali, che sono, per definizione, sovranazionali e digitali. Il nostro governo non può fare un accidente per la Borsa di Milano, ma può fare molto per la nostra economia. Se gli rimproveriamo i crolli e da Palazzo Chigi si guardano solo gli indici ci prendiamo tutti in giro. Il tema della finanza globale dovrà essere argomento di relazioni internazionali, perché quella macchina, che è importante e deve funzionare, rischia di stritolare tutto. La regolazione della finanza ha oggi un valore pari alla risoluzione delle dispute territoriali: o lo si fa con la diplomazia o finiscono con il parlare le armi (siano essere quelle da fuoco o da speculazione). Nell’attesa c’è moltissimo da fare, ma ha a che vedere con le nostre capacità cognitive e produttive. Insomma, se l’economia s’esaurisce nella finanza (che, lo ripeto, è pur importantissima) sconfina nella stregoneria, e se la politica s’esaurisce nell’inseguire gli speculatori deborda nella totale inutilità.
Il benessere non s’inventa e non si brucia, ce lo si guadagna. Lavorando. Il dovere dei governanti è regolare i mercati in modo che i nostri risparmi non siano divorati da sconosciuti smanettatori con il master, ma anche quello di ricordare che non si diventa miliardari standosene in panciolle e affidandosi a loro.

da: www.DavideGiacalone.it

2 commenti:

banzai43 ha detto...

Dal fresco dell'Appennino un unico commento.
Meno male che qualcuno ci guadagna.

Un abbraccio.

banzai43

Anonimo ha detto...

Articolo molto inetressante purtroppo la classe politica occidentale non é in grado di controllare la finanza internazionale che amplifica una crisi del debito che sinora era rimasta silente.-
Un controllo dei flussi monetari e regole erga omnes sul funzionamento dei mercati potrebbero alleviare il problema.- L'Europa però stavolta dovrà far da se e la politica oltre che guardare ad est(Germania docet)dovrebbe osservare se dai sommovimenti del nordafrica potrà venire una collaborazione fruttuosa.-
Giacomo