09 luglio 2007

Giovani depressi ma anche sfaticati

Vorrei fare una domanda semplice-semplice ai giovani: ma siete nati stanchi? Vi osservo tutti i giorni in metropolitana, e sono sempre tentato di offrirvi una delle compresse di Ginseng che porto con me, poiché io - come voi - sono stanco, ma questo si spiega, avendo superato di quattro anni il mezzo secolo d'età, sostenuto quattro concorsi statali, servito la Patria come militare, scritto undici libri e centinaia di articoli, girato l'Europa per lavoro eccetera. Ah, dimenticavo il meglio: dovendo convivere con l'artrosi cervicale, l'artrosi lombo-sacrale e la sciatica, che si fanno sentire soprattutto in metropolitana, quando - all'inpiedi - devo sostenermi agli «appositi appigli» posti in alto, costretto ad osservarvi. Voi ve ne state seduti (anzi accasciati), stanchi di una pesantissima vacuità quotidiana, per dirla con Veneziani, sfiancati dal peso di giornate totalmente inutili, di esistenze non legate a nessuna causa, a nessuna buona battaglia, a nessuna speranza. Davanti a voi è il vecchierel canuto e bianco, reso curvo dai suoi anni; la massaia carica di buste della spesa; la donna incinta; persino il cieco, sorretto dal badante. E voi fingete di non vederli. Fingete, nel migliore dei casi. Nel peggiore (che poi è il più frequente) li guardate in faccia e non battete ciglio. Avete le cuffie nelle orecchie per ascoltare la vostra musicaccia, sostenete in grembo la fidanzata con la quale vi baciate e mordicchiate ad ogni momento, o vi spidocchiate a turno, come le scimmie che si osservano allo zoo. Perché mai dovreste cedere il posto a qualcuno? Siete giovani, studenti e innamorati: caso mai è l'anziano che deve cedere il posto a voi, specie se siete disoccupati. Uno o due anni fa, presentai un mio libro in alcune scuole superiori di Rovigo; chi sa che non incontrai uno di quei campioni che hanno percosso il crocifisso, al grido di: «Finiscilo, finiscilo!». L'insegnante di una di quelle scuole mi disse: «Maestro, qui ci sono problemi opposti a quelli che vivono i suoi studenti. Non c'è lavoro nero, non c'è la casa sgarrupata, ma sono tutti annoiati. Per vincere questa noia violentano ragazze, torturano disabili, allagano le scuole, buttano sassi dai cavalcavia. La buona parte di questi ragazzi è viziata, la buona parte fa uso di droga. Non conoscono il sacrificio, vogliono tutto e subito». Poveri giovani, in pensione ancor prima di lavorare. Chissà che un paio di ceffoni bene assestati non li svegli dal loro torpore esistenziale.

Marcello D’Orta, su Il Giornale di oggi

5 commenti:

Anonimo ha detto...

La generazione alla quale appartengo sognava quello che poi è venuto anche in abbondanza.-
Si respirava però un'aria di ottimismo e di speranzosa attesa del futuro;forse era per lo scampato pericolo di una guerra che aveva lasciato tanti lutti,tanta miseria e tanta disperazione.-
Esplose poi il boom degli anni 60 che raffrontato ai dati economici di oggi suscita un sorriso di sufficienza(2.300.000 i veicoli circolanti contro i 30/milioni circa di oggi).-
Poi arrivato l'autunno caldo ed il 68 con la pretesa di volere tutto e subito ed oggi ci ritroviamo con il moloch del debito pubblico,una società dove è scomparsa la gerarchia,la scuola che è diventata un diplomificio e la famiglia che(nella migliore delle ipotesi)è rincoglionita da un tv che propone modelli assolutamente fuori poortata.-
I giovanni hanno indubbiamente le loro colpe ma i genitori(anagraficamente ex sessantotini)sono stati peggio.-
Uno schiaffo è sinonimo di repressione bisogna soltanti cercare il "dialogo" e la "condivisione".-
Degrado sociale e graduiale impoverimento economico.-
Giacomo

TheSteve ha detto...

Anagraficamente, temo di non ricadere più nella cerchia. Sulla soglia dei 40 (sic), mi piace tuttavia pensare di essere ancora un "giovane" - quanto meno nell'accezione di "incompiuto" - o come piace ad alcuni compagni d'avventure, per il mio aspetto e il mio spirito ancora (anacronisticamente?) giovanili, un "super-giovane". E ad ogni modo, in qualità di ex-giovane o di super-giovane, mi faccio carico del capo d'accusa e provo a raccontarla dal mio punto di prospettiva. Concordo su pressoché tutta la linea, con eccezione della "musicaccia", giacché ognnuno ascolta con pieno diritto quella che più garba al proprio orecchio: posso ben immaginare che lo scrivente, quando era "giovane", ascoltasse i Rolling Stones o i Doors e che gli adulti di allora la bollassero come "musicaccia". Condivido in toto la critica a certi malcostumi che, con il susseguirsi delle generazioni, sono andati certamente accentuandosi ma erano già ben visibili in quella a cui appartengo. L'analisi sulla noia, sull'assenza di buone cause o buone battaglie, sulla perdita di ogni speranza, coglie appieno il centro del problema. E tuttavia ribatto che non si dovrebbe mai dimenticare un dettaglio: ogni generazione giovane è figlia di un'altra generazione e vive in una determinata società, che la generazione adulta ha fattivamente contribuito a costruire. Nello specifico, la mia generazione è cresciuta nel benessere materiale e nella convinzione (creata dagli adulti di quell'epoca) che qualsiasi obiettivo nella vita sarebbe stato raggiunto: negli Anni Ottanta, per portare un esempio, si raccontava che saremmo diventati tutti brillanti manager della new economy, che avremmo fatto soldi a palate e che avremmo acquistato villette a due piani con giardino, nelle quali avremmo sperimentato la piena realizzazione individuale al fianco di donne perfette, che ci avrebbero regalato una quantità di bambini biondi e sani. Non era vero niente. La mia è una generazione di falliti, alcuni conclamati (come il sottoscritto), altri ammantati nelle mentite spoglie dell'accettazione sociale (lavoro+casa+matrimonio+figli) ma fondamentalmente, ordigni esplosivi pronti a deflagrare in qualsiasi istante (portandosi via lavoro+casa+matrimonio+figli). Tutti quanti assieme, in ultima analisi, dei disadattati. Le generazioni successive alla mia, credo non abbiano fatto altro che ereditare questo sentimento di sconfitta portandoselo dentro, come dire, in nuce. Una domanda allora sorge spontanea: il cinquantenne che flagella i costumi dei ventenni di oggi, dov'era mentre i suoi figli diventavano "giovani"? Quale esempio ha settato, quali valori ha trasmesso, quali aspettative ha inculcato? Probabilmente stava sostenendo i suoi quattro concorsi statali, o stava scrivendo i suoi undici libri e le centinaia di articoli, o forse stava girando l'Europa per lavoro.

Anonimo ha detto...

Non mi piace fare l'arbitro e meno ancora il giudice. Ho letto tante verità quest'oggi contraddittorie, forse indotte da un articolo che fa un po di confusione fra attegiamenti esteriori ed attese esistenziali delle nuove generazioni.
Cerco di spiegarmi.
L'educazione dei balordi è il frutto di un tragico frammischiamento di culture, tipico delle megalopoli di oggi. Nei comportamenti asociali c'è di tutto: la mancata trasmissione di valori positivi da parte dei genitori che hanno fatto la "rivoluzzione" contro la società delle regole, l'arrivo di tribù che odiano la comunità ed i suoi valori, l'influsso nefasto dei media governati in larghissima parte dai migliori fichi del bigoncio del sessantotto (Lotta Continua. etc).
Diverse riflessioni merita la cultura della sconfitta che ispira molti giovani (a quaranta si è ancora tali). Costoro pagano il prezzo più alto della sconfitta della cultura del benessere e del consumismo che ha fatto da motore per i loro padri. Si è consumato l'equivoco storico che la ricchezza individuale potesse crescere sempre ed in modo esponenziale e più questa convinzione si radicava più i genitori tralasciavano tutti i valori che non fossero la crescita del benessere e le migliori condizioni di partenza per i propri figli.
La prima crisi energetica ha rotto questo incantesimo ma nessuno ha avuto la lucidità critica per rimettere in discussione i modelli di vita e di conduzione familiare.
Si è continuato a credere che la crisi riguardasse qualcun altro ma che noi l'avremmo sfangata ancora bene, ed in questo "noi" inglobavamo i figli che non potevano essere diversi dai padri ed altrettanto mediamente fortunati.
Così non è stato, perché le dinamiche del sistema si erano inceppate, perché l'evoluzione passa per i rallentamenti di un ciclo vichiano.
Ora non possiamo che dire ai nostri figli: ti offro le mie esperienze positive e negative, ti dico di non mollare perché un'esistenza è un caleidoscopio di situazioni, di cadute e di rinascite; ma trova in te le ragioni per convivere con questo nuovo mondo. Il futuro è da scrutare eretti e non piegati su se stessi.

Danielone

Anonimo ha detto...

Quoto the Steve! ^_^
Aggiungo che marcellodorta è un trombone già a 50 anni, ma si sapeva, e che fa moralismo a buon mercato e sempre in gran voga nella maggioranza silenziosa e gretta che domina incontrastata la vita "civile" italiana dalla notte dei tempi. E' non è questione di ex democristi, ex-fasci, ex comunisti e post-ex-neosessantottini: la ars pensandi è sempre la stessa, la gerontocrazia italiana fa in modo che ogni generazione consideri rimbambita la precedente, forse per giustificarne l'esclusione dalle decisioni che contano. E questo blocco di potere, alla lunga, rappresenta un annullamento di prospettive forse ancor più grave di quello rappresentato dal crollo delle ideologie (religione compresa?) o dal loro radicalizzarsi. No future, dicevano alcuni nel 1977. Ma scusate, dimenticavo, bisogna pensare positivo... E quindi sarebbe ora non solo di ripartire equamente le responsabilità fra genitori e figli, società e politica, ma di trovare anche delle risposte, e di farlo velocemente.
Marco

Anonimo ha detto...

Well written article.