06 luglio 2007

El nost Milan

Il solito rompicoglioni, direte.
Sbagliando, perché Jannacci è sì un rompicoglioni, ma insolito. Così insolito da sembrare unico nel panorama della canzone italiana. Viste ai suoi concerti persone non anziane commuoversi per canzoni che hanno quarantanni sul groppone, ho deciso che aveva ragione lui, prima cosa, e poi che canta meglio adesso di quarantanni fa, seconda. Ha più voce, quando si decide a tirarla fuori e non indulge al recitato, talvolta necessario (sentite le due parti di quel gioiello che è "La costruzione"). Ha più consapevolezza del ruolo, il soldato Jannacci. Non è un pirla, sa fare di conto. A difendere la sua trincea (la sua gente) sono sempre di meno. Qualcuno è morto, amen, ma tanti sono passati dall'altra parte. Le scarpe da tennis le portano anche i ricchi, non è più solo roba da barboni. Oggi per andare all'Idroscalo il barbone salirebbe su un Suv, ma per molti ci vogliono sempre due tram per arrivare in piazza del Duomo, e l'avvenire resta un buco nero in fondo al tram per i ragazzi obbligati alla precarietà, con un presente magro e un futuro vago. Il meglio di Jannacci è quasi sempre il peggio di Milano, della fatica di vivere, dell'umiliazione di sopravvivere, del non avere voce, ed è qui che arriva lui ("Ohé sun chì") con l'allegria del naufragato che è poi la totale serietà del clown, del saltimbanco, del medicastro e del poetastro. La sua voce (questa è una sensazione mia) ha più forza in quanto consapevole di esprimersi per conto di altre voci, quelle che non ci arrivano perché siamo distratti o di fretta, o perché partono da troppo distante (a Milano il troppo distante è anche mezzo metro, tenerne conto) e poi si sa che la vita lè bela, che la ruota gira (sì, ma sempre dalla stessa parte) o perché si è deciso (da qualche altra parte, in alto) che non contano. Se non contano, tanto meno raccontano o cantano. Più o meno è da mezzo secolo che l'inveterato ma pur sempre insolito Jannacci rompe i coglioni raccontando e cantando. E vogliamo tenercelo caro, come tutti i mammiferi in via d'estinzione, perché senza metterla giù tanto dura sta facendo canzoni politiche da una vita. Più musicista di tanti, stimabili, degli ex Dischi del Sole. Più padrone della scena (da quando ha i capelli bianchi). Ma sempre controtendenza, contro vento. Contro. Non sto parlando di un guerrigliero al pianoforte, ma semplicemente di un uomo che si guarda intorno senza paraocchi e paraorecchi. Perché ci vuole orecchio, ma non solo.
Questo doppio cd [Enzo Jannacci - The Best], tutte le canzoni riarrangiate da quel mostro di Paolino J, comprende alcuni inediti, un "Bartali" messo in piedi dall'Avvocato e dal Dottore (una versione sbilenca, per divertirsi, a mezza via tra il salmodiare dei frati e l'asincronia degli ubriachi) e, cosa che vale un grazie sentito da parte mia, "Dona che te durmivet", amara canzone protofemminista, con la sorpresa della traduzione in italiano. Che non sciupa l'atmosfera della latteria (quante ce n'erano, quante ne sono sparite), ma continuo a pensare che manasc suoni meglio di grosse mani e, come studioso dei testi jannacciani, mi tocca rilevare che per motivi metrici i cinque anni d'amore (tant el ghè pu) sono diventati tre. Non importa, inscì vèghen si dice a Milano.
A questo punto, può risultare superfluo chiedersi perché Jannacci rompa i coglioni da mezzo secolo. Non so lui, che comincerebbe a parlare di arterie e valvole, ma io una risposta ce l'ho. Perché ha intuito allora (adesso ne è certo) che questa è la strada più breve per arrivare al cuore.


(Gianni Mura)

Sono mesi che mi intriga l'idea di parlare di Milano a più voci, da più angoli generazionali. Lo spunto decisivo me lo dà questo bell'articolo di Mura su Jannacci: un'icona della mia gioventù, uno della scuola del Derby, uno di quella sinistra che capiva ed interpretava il popolo delle periferie e delle fabbriche e che non giocava con le bombe. La Milano del socialismo democratico, dei Tognoli, degli Aniasi, del Milan con le grandi righe verticali e del calcio non ancora violentato dai soldi di Moratti padre. La Milano dove passavi da Corso di Porta Vittoria senza provare cupe angosce, quattro volte al giorno perché l'intervallo di lavoro era di due ore. La Milano delle grandi nebbie, del nerofumo sulla 500 parcheggiata in strada, dei terroni ghettizzati nelle nuove periferie dei quartieri Iacp. Di questi ricordi vorrei parlare e sentire le testimonianze dei meno giovani, ognuno con il proprio frammento di memoria e dei giovani che condividono queste vie, queste mura, ma non i medesimi riti ambrosiani.
Un caldo invito a scrivere.

Danielone

1 commento:

Anonimo ha detto...

Un frammento ed un ricordo :Mlano anni '70 ,un sabato d'inverno.-
Con la Mini appena ritirata giro in Porta Garibaldi per una commissione.-
Poco dopo una delle tante manifestazioni:zona bloccata,macchina in parcheggio in zona a rischio preclusa
ogni possibile via di fuga.-
Attorno alle sette di sera possibilità di riprendere la macchina,sollievo nel vedere che tutto era posto.-
Nel ritorno verso casa l'incomprensibilità di una manifestazione che non capivo bene a cosa mirasse.-
Di sabati così ce ne sono stati tanti,il ricordo mi diceva che verso le sette di sera tutto sarebbe finito perchè le ragazze(con pellicciotto)ed i ragazzi(con eskimo)della buona borghesia tornavano a casa per la cena.-
Qualche incolpevole come Tobagi ci ha rimesso la pelle per rivendicazioni che pountavano non a cambiare la società ma ad inserirsi stabilmente e piacevolmente nei gangli del potere.-
L'agente Marino(anche lui immigrato tra tanti)ci rimise la pelle un pomeriggio di sabato in via Felice Bellotti ,poco distante da Via Gustavo Modena dove abitavo.-
I neri ed i rossi infatti avevano deciso di giocare alla guerra con i mezzo i figli della povera gente a prenderle da destra e da sinistra.-
Oggi i rossi ce li ritroviamo classe dirigente ed il paese lentamente si avvia al declino, probabilmente inevitabile ma certo in accelerazione ,grazie all'insipienza proprio di questa classe dirigente formatasi e cresciuta nel conflitto e nella supponenza.-
Sono frammenti amari ma una classe di politici veramente riformatori è stata spazzata via e la lettura della realtà soffre della deformazione ideologica.-
Giacomo