05 settembre 2008

Italia coatta

I figli di Grillo

Al Festival di Venezia, trasformato in Multisala delle Emozioni, ieri è stata la giornata delle esternazioni forti: due, e pressoché in contemporanea. Una di Adriano Celentano, precursore e maestro del genere «esternescion», che ha attaccato nell’ordine (si fa per dire) i «politici degenerati» Berlusconi e Veltroni, la cordata per Alitalia, Formigoni e Moratti «genitori di Frankenstein» (questa però fa ridere...). E il parcheggio del Pincio, Chicco Testa «senza testa», Alemanno, l’Expo di Milano e parecchio altro. L’altra del regista Mimmo Calopresti, autore commosso del commovente film La fabbrica dei tedeschi sulla strage alla ThyssenKrupp, che dopo avere passato qualche mese a girare e montare scene di lacrime e sangue ne è uscito, e se ne è uscito, lui di sinistra, con una raffica di critiche anche contro il sindacato che «pensa solo al pil» mentre la gente muore. Parole diverse di due artisti diversi. Che vanno a riversarsi nell’immane calderone delle dichiarazioni pronunciate o urlate ormai tutti i santi giorni, da tutti i pulpiti, in tutti i telegiornali e su molti giornali, e da esternatori di ineguale competenza ed efficacia. Ne siamo inondati, ne siamo frastornati. Al punto che si rischia di pensare che sia tutta la stessa materia indistinta e gridata: un mix di furbizia, protagonismo, scorciatoie demagogiche. Ma le parole sono creature delicate. Come distinguere quelle autentiche da quelle «paracule», quelle che davvero dicono dalle altre soltanto autopromozionali? Un outsider pensoso come Calopresti non rischia forse di gettare il suo sasso nello stesso stagno dove navigano - da anni - esternatori per hobby o per professione? Come per altri comparti della cultura di massa, e massificata, manca un vaglio che lasci filtrare solo le pepite, e scarichi altrove i detriti, la massa inerte delle parole insignificanti, dette tanto per dire, tanto per avere due minuti di popolarità sui teleschermi della sera o cinque righe nelle edicole dell'indomani. E in questa omissione di giudizio non si può certo dire che i media (quasi tutti) brillino per vigilanza, e soprattutto per sobrietà. Ci sono dichiaratori quotidiani (per esempio Gasparri, che esterna a mitraglia) che finiscono per avere lo stesso spazio, e dunque ahimè lo stesso peso, di filosofi originali e parchi, o di pensatori spiazzanti.Bisognerebbe inventare una critica delle esternazioni e delle dichiarazioni da giornale. Qualcuno che valuti e metta in guardia contro gli effettacci, i titoli facili, la parola rumorosa e vuota. Che ristabilisca una gerarchia delle parole, non tutte eguali come la ghiaia sonora che crepita ovunque. Magari che commini squalifiche (come il giudice sportivo) per chi prevarica o imbroglia o esagera, costringendolo a saltare almeno un turno: hai già dichiarato ieri, fatti da parte. Che misuri le competenze e denunci le incompetenze, perché l’universo mediatico pullula di pareri (a volte perfino richiesti: ed è quasi istigazione a delinquere...) che non hanno alcuna titolarità, non discendono da esperienze, da saperi, da pensieri, da emozioni vere (come quella di Calopresti), ma solo da un microfono aperto, e aperto quasi per chiunque passi nelle vicinanze.Perfino Celentano, che pure di esternazioni è un campione indiscusso (i giornali lo chiamano guru, speriamo che lui se la rida), rischia di ritrovarsi a imitare se stesso. Cominciò a sparare sul pianista quando la comunicazione aveva toni e volumi decisamente più soft. Un pioniere. Un inventore. Ora il frastuono del saloon è tale, che neanche ci si domanda più il significato, giusto o sbagliato, di quello che si dice. Il dopo Grillo & C. è un territorio dove la voce umana è diventata così esondante, e invadente, e strumentale, che cercare la misura delle parole potrebbe essere l'unico modo per farsi ascoltare davvero.

di G. Zucconi, sulla Stampa



Perfetto quadro della nostra contemporaneità burina, di cui Celentano è un analfabeta precursore.
Aggiungiamoci i vezzi da middle-class (assolutamente sì, assolutamente no), facciamo un bell'applauso ai funerali, il festival delle banalità nelle interviste al volo per strada, gli idoli televisivi dei grandi fratelli nell'isola, il dramma dell'ultima settimana del mese evocato sulle spiagge della Sardegna, lo stato deve fare lo stato con gli sfasciacarrozze degli stadi e, ultimo tic, speriamo che vinca Obama per salvare la democrazia.
Siamo o non siamo la culla della civiltà?

1 commento:

Anonimo ha detto...

Forse saremmo stati anche la culla della civiltà(nel Rinascimento?)oggi però ci avviciniamo a qualcosa di diverso ,forse siamo il centro della volgarità e dell'ignoranza ma anche della supponenza.-
Giacomo