21 settembre 2009

La Londra musulmana

Week-end a Londra. Per vedere calcio su un campo della Premier League. Per noi orfani della Serie A delle 7 sorelle, ormai appiattita sul calcio muscolare e senza fantasia dell'Inter, Londra o Liverpool restano un'attrazione non solo calcistica ma anche turistico-culinaria.
Questa volta si vola per West Ham - Liverpool. Anche per la curiosità di vedere Diamanti calato nel calcio inglese e constatare come se la cava Zola, che lo scorso anno sfiorò la Uefa subentrando in panchina a metà campionato.
Detto della partita, che ha confermato l'eterna regola che in Premier chi ha più classe vince quasi sempre, anche se in extremis come il Liverpool sabato, vale la pena di raccontare la mia piccola avventura pre-partita.
Per lavori sulla linea metropolitana ci ritroviamo, io e mio figlio, scaricati a Whitechapel, East London, limite estremo della cosidetta Zona 1, a trenta minuti dallo stadio del West Ham.
Usciamo dalla stazione alla ricerca di un taxi e ci ritroviamo immersi in un'atmosfera allucinante. Scivolati indietro di cent'anni, in una città arabo-africana, sudicia, pullulante di un'umanità vestita nelle più diverse foggie del quarto mondo, femmine in burqa, velate, torme di bambini, bancarelle che espongono miserevoli articoli, negozi puzzolenti che vendono alimenti sconosciuti.
La prima preoccupazione è perdersi, la seconda è come farsi capire nella ricerca del taxi. Dopo tre tentativi andati a vuoto, mio figlio si butta sugli asiatici, che nella scala dell'evoluzione consumistica stanno un gradino sopra, e finalmente stabiliamo che qui i taxi sono macchine private e che il nostro uomo è un pakistano, che per una ragionevole cifra ci acccompagnerà alla meta.
Intanto è l'ora della preghiera e l'atmosfera viene invasa dalle nenie del muezzin, che invita al culto fra la sovrana indifferenza (la stessa colta al Cairo, per la verità) dell'umanità nera impegnata nella movida del sabato sera.
Vista la partita, alla sera torniamo nella quiete elegante del quartiere di Belgrave, ove si trova il nostro albergo.
Domenica la dedicheremo alla visita della Londra imperiale, sontuosa, pulita, fatta di stupendi parchi, quartieri eleganti e silenziosi, scorreremo fra i monumenti della storia ove tutta la popolazione multietnica del mondo si ritrova a giocare al turista. Ma la sensazione che questa Londra centrale sia in fondo un ghetto per bianchi ricchi è forte, mentre all'intorno milioni di diseredati circondano la cittadella in attesa di conquistarla, deturparla, ridurla ad immondizia, abbattere gli antichi palazzi e costruire moschee e minareti.
Presto, molto presto.

1 commento:

TheSteve ha detto...

Osservando l'immagine satellitare dell'Inghilterra sulle mappe di Google è macroscopica, e lascia esterrefatti, la macchia grigia dell'area urbana londinese che interrompe il verde continuo del sud-est. Lo zoom progressivo sull'area svela un intreccio infinito di linee d'asfalto, che forma un poligono gigantesco di circa sessanta chilometri per cinquanta! Per dire che Londra non è una città ma è un concetto più ampio e stratificato. Uno strato di Londra è sicuramente il luna-park dei turisti, che corrisponde a quell'itinerario di palazzi imperiali e parchi e monumenti e negozi e fermate della metro che, da quando io ne ho esperienza diretta (fine anni Ottanta), mi pare sempre uguale a se stesso: ovvero ugualmente elettrizzante, magnetico ed impersonale. Tutto intorno ai confini della Zona 1 si estende la città di Londra forse più autentica, quella che ogni mattina si alza presto e si mette in movimento, lavora e rientra alle cinque, ma prima passa dal pub del quartiere per una pinta. Dal centro ai confini della Zona 1 sono mediamente dieci-dodici chilometri: il raggio di una città di dimensioni europee. Oltre inizia quello strato di Londra che forse non è più città ma è tutto il resto: l'ammasso di etnie proliferate fuori da ogni ragionevole controllo, la collezione di lingue e di colori e di odori e di sapori che di british ha ora mai solo i nomi delle fermate della metro. La sensazione di straniamento è analoga a quella che si prova a passeggiare per i vicoli di Gibilterra, per chi ci è stato. Sabato pomeriggio, non ho potuto fare a meno di pensare agli attentati del 2005. Amaramente, fa sorridere che gli Inglesi possano essere rimasti sorpresi di avere nutrito in seno quelle serpi di kamikaze. La realtà gira sempre intorno ai numeri: l'integrazione multietnica è un equilibrio fragile ma stabile fin tanto che la distribuzione fra locali ed immigrati è ragionevolmente proporzionata. Oltre quella proporzione diventa un'utopia suicida. Una bomba destinata ad esplodere, presto o tardi.