04 aprile 2010

La Lega che vorrebbero che fosse

Ernesto Galli della Loggia, lo sfortunato commentatore del Curierun che qualche giorno prima delle elezioni ha preconizzato la disfatta elettorale del Pdl alle regionali perché afflitto da berlusconismo fatiscente e plasticità innata, oggi cerca di dare una lezione ideologico-programmatica alla Lega. Poiché questo partito ha vinto il test elettorale è bene, questo il suo ragionamento, trasferirlo dalla riserva indiana degli zotici paesani al proscenio dei movimenti che possono meglio interpretare le aspirazioni del mondo borghese di perpetrare il suo dominio sulla politica in Italia.
La Lega, dice il nostro Ernestino, sa interpretare la contemporaneità perché è fatta da uomini della stessa pasta del suo elettorato: pragmatici, lavoratori, perseveranti nel perseguire le poche idee che hanno in zucca. Federalismo, buon governo, legalità pubblica e privata.
Ma il federalismo è una chimera perché la gente è delusa dal regionalismo (sic! non vota Pd quindi il giocattolino non piace più) e perché adottarlo significherebbe mettere in angosce le regioni del sud, che infatti dovrebbero cominciare a fare i conti con il senso di responsabilità ed accantonare il clientelismo.
Meglio dunque dedicarsi allo riforma dello stato come eccellentemente fa Maroni ed abbandonare le ubbie federaliste.
L'articolo di Galli della Loggia è sintomatico di come il mondo alto-borghese che il Corriere della Sera fedelmente rappresenta da sempre continui non solo a non capire il fenomeno Lega ma nemmeno si sforzi di accettarlo. Da 25 anni lo considera una fastidiosa parentesi, esattamente come inquadra Berlusconi che non è della stessa pasta, è attaccabilissimo ma è purtroppo un fenomeno di consenso elettorale.
Il federalismo è visto come una mostruosità che potrebbe sconvolgere i poteri economici sul territorio e nel paese, e la subordinazione della politica agli stessi.
Meglio fargli fare, da bravi soldatini, la guerra alla malavita ed a compito finito, perché hanno le palle e potrebbero farcela in modo egregio, metterli in un'altra riserva, quella dei Cincinnati.
Mai che l'illustre docente ci racconti come e perché in Italia la borghesia, sempre quella alta, giusto per intenderci, non abbia saputo mai fare una grande creativa politica nazionale ed abbia sostanzialmente fallito tutte le occasioni storiche che le si sono presentate per cambiare l'Italia(solo per fare un esempio la ricostruzione post bellica ed ancora proprio quella riforma regionalistica oggi snobbata) delegando di volta in volta la sua rappresentanza ad obbedienti commis: democrazia cristiana, sinistra post comunista, sino ai piccoli manovratori quali oggi sono Casini e Fini.

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