06 novembre 2007

Li come Liedholm

Sapeva allenare con lo sguardo, con l’accento e con lo stile. Campione che inventava campioni.

Gre, No, Li, e poi Rivera, Ancelotti, Pruzzo, Capello, Baresi, Maldini, Conti e ora Totti. Era naturale, quasi automatico: la squadra saliva, quattro rimanevano indietro, quattro si fermavano al centro e due lì, che aspettavano davanti. Era la Roma, il Milan, la Fiorentina, il Varese, il Monza, il Verona, erano gli ottantacinque anni di Nils Liedholm, il maestro, morto ieri, con cui il Milan vinse lo scudetto della Stella: il decimo, quello con il rosso del diavolo e quello con gli occhi del Barone. Era la maglietta giallo, rosso e Barilla di Bruno Conti, quella della Roma del 1983, del primo anno dopo il Mondiale spagnolo e dell’anno della Coppa Campioni all’Olimpico persa sul dischetto con i diavoli del Liverpool; quella Roma con cui Liedholm vinse lo scudetto e che l’allenatore svedese avrebbe ritrovato nel 1996 con i vent’anni e i capelli corti di Francesco Totti. Era Nils Liedholm, era la zona disegnata senza lavagne, senza gessetti, senza uomo da seguire, era la rivoluzione con quel dribbling che non era mai un peccato, con il fantasista che doveva fare il quarto in difesa e che Liedholm invece no, prima della partita lo fermava, lo prendeva e gli diceva sì, tu giochi al centro, giochi un po’ più avanti. E lo faceva con Di Bartolomei (alla Roma) e lo avrebbe fatto, oggi, anche con Andrea Pirlo, al Milan. “Lo guardavi e tremavi. Poi però sorrideva – dice Roberto Pruzzo, bomber della Roma di Liedholm dal 1980 al 1984 –. Ero io che la sera lo riaccompagnavo a casa in macchina: e lui era sincero, ti difendeva sempre, aveva un grande ascendente sulla stampa, si divertiva molto con quel suo accento che sembrava sempre così poco italiano. Era il suo stile, aveva cambiato il calcio con la qualità e senza catenacci. Era anglosassone, scopriva i talenti. Scoprì Falcao, scoprì Cerezo, e ne scoprì tanti, scoprì anche me; ed era bello, perché allenava semplicemente con lo sguardo”.

“Non lo vedevi ma lo sentivi”.

Diceva così, diceva ancora forza Roma, forza Milan il “Li” del Gre-No-Li; era arrivato in Italia dalla Svezia, era arrivato al Milan con Gunnar Gren, Gunnar Nordahl, erano loro i Tre; tre come gli olandesi Gullit, Van Basten e Rijkaard, tre come quei capitani del Milan passati accanto al Barone Nils: quindi Rivera, Baresi e Paolo Maldini. Sembrava qualcosa di più però, Nils. “Era impressionante. Lo guardavi e aveva qualcosa di più. Era il grande capitano del Milan, era il fenomeno con quella fascia grande grande, era il campione che inventava campioni, era quello che tu guardavi e lui non parlava, ma ti dava sicurezza; non lo vedevi ma lo sentivi. E tu crescevi, e lui ti spiegava. Dolce, non duro. Sembrava un vescovo. Allenava, insegnava. Nils giocava con noi, scendeva in campo con i giocatori: si allenava, tirava in porta, poi esultava. Eravamo il Milan, eravamo una squadra: allenatore e giocatore. Tutti insieme. Era così anche a Firenze. E lui non era come qualcun altro oggi: non era uno che metteva un terzino a centrocampo, o un’ala in difesa. Lui conosceva i ruoli, e li rispettava. Al massimo li inventava, i ruoli. Perché il libero vero è quello che fu fatto da Liedholm: ed è vero, con lui c’era anche molta libertà: se c’era un dribbling si sorrideva, non ci si arrabbiava. E poi mai un errore, mai un problema, mai uno scandalo, lui. Era la zona, quella di Nils, ma sembrava la rivoluzione”, dice al Foglio Nevio Scala, scoperto a Milanello nel maggio del 1963 proprio da Liedholm e suo grande allievo in quegli indimenticabili sei anni passati da Scala come allenatore del Parma. Il vescovo. Il maestro. Entrava così, con il pallone sotto braccio, con i capelli tirati indietro, con la testa alta, gli occhi giù in basso, le gambe lunghe, il sorriso, la maglia col collo a V. Funzionava così, in campo con Nils. “Sapevamo come muoverci, ma dovevamo decidere noi in campo. Perché noi eravamo diventati professionisti per scelta, non per obbligo. E Nils voleva i piedi buoni, i passaggi, le marcature non fisse, il possesso palla. Ma soprattutto, in campo, voleva allenatori”, scrive Gianni Rivera nell’introduzione del libro “Nils Liedholm e la memoria lieve del calcio”. Perché Liedholm ha attraversato la prima e la seconda repubblica del pallone rimanendo sempre l’allenatore più antico: quello che ha inventato un calcio quasi impossibile, con quindici tocchi a centrocampo, con i passaggi fitti fittti e con un calcio con cui – da allenatore – ha vinto in fondo solo uno scudetto a Milano e uno a Roma. Ma è questo il calcio poi ereditato da Arrigo Sacchi, da Capello, da Ancelotti. Il calcio veloce, quasi impossibile di Zeman, il calcio con la squadra che saliva, i quattro indietro, i quattro al centro e quei due lì davanti e con quella rivoluzione così antica che anche ora che è scomparso, Nils continuerà a inventare il pallone del futuro, ancora per un po’.

di Claudio Cerasa, su Il Foglio di oggi

Avremmo voluto che non morisse mai, magari acciaccato nella sua bella casa di Cuccaro, ma vivo a dispensare barlumi di saggezza ed ironia. Il vecchio caro Lidas è stato uno dei maestri del calcio Italiano, giocatore tatticamente fondamentale sia da mezzala del Grenoli che mediano di spinta all'arrivo del Pepe Schiaffino. Ho ancora negli occhi giovincelli, in un settembre del '54 , all'avvio di campionato, un Milan-Triestina 4 a 0 con l'esordio dell'ufo uruguagio ed il Barone per la prima volta mediano, un giovanotto arrivato da Trieste, Cesarino Maldini, un argentino cedutoci dalla Juve, Ricagni, genialoide goleador. Calcio paradisiaco, geometrie disegnate con il compasso, naturalmente campioni d'Italia a fine anno. Presidente Andrea Rizzoli, allenatore Testina Puricelli. Anni di godimento degli occhi e della mente, con il Barone a predicare calcio razionale, puntuale, elegante, sempre a testa alta a ricevere palla dai compagni come una cassaforte e redistribuirla per le volate vincenti. Smise oltre i 40, sempre in maglia rossonera. Poi fece di mestiere quello che la natura gli aveva dato in dote naturale: il maestro-allenatore. Inventò la zona all'italiana. Gran possesso di palla, tecnica sopraffina, difesa impenetrabile, estro in attacco. Spezzò il pane della scienza nella sua Milano, a Verona, Firenze e soprattutto a Roma con il suo Aladino Falcao e con quel genio sulla fascia che di nome faceva Bruno Conti. Tornò a Milano per vincere la stella e poi, ormai vecchio, nel primo Milan berlusconiano, ove si trovò ad operare con le scelte di mercato italiane del Cavaliere, invero mediocri. Finì con un grave gesto di intimidazione, una bomba carta contro la sua panchina lanciata dal parterre, dopo una sconfitta interna con l'Avellino. Esonerato dal Berlusca e sostituito da un giovanotto con i denti aguzzi: Capello. Una brutta pagina finale per una gloria milanista che non cancella lustri di ammirazione, rispetto, godimento per gli occhi e per la mente, innovazione tattica, capacità di insegnamento a decine di giovani che hanno calcato con profitto i campi della Serie A.

Grazie Lidas, incomparabile maestro di vita.
E che le zolle ti siano lievi.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

La vita purtroppo è questa. Il tempo passa e gli amici (Nils non lo era dei soli milanisti)se ne vanno.

Forse, in paradiso, c'era bisogno d'un nuovo allenatore, uno che sapesse ben disporre i Santi a zona. Ecco che allora,...prima il Padreeterno si gratta la pelata poi dice: Idea! E fa la Sua scelta.

Questa sera, rivedendomi fanciullo milanista, appena spenta la luce, dirò una piccola preghiera, poi mi abbandonerò al sonno.

Cia Nils.

banzai43

Anonimo ha detto...

Non sono mai stato e non sono milanista;Nils però era di un altro calcio e il mondo che gli girava attorno era diverso.-
Non era il calcio gridato e vuoto di oggi per cui una normale performance tecnica di un buon giocatore diventa subito una preziosità da meraviglia.-
Ronaldo,a mia memoria,ha giocato solo un anno nell'Inter di calcio ottimo ,per il resto é vissuto di rendita prima in Spagna ed ora nel ritorno in Italia;sicuramente avranno pesato i guai fisici cui é andato incontro ma la definizione di fenomeno mi é sembrata esagerata.-
Effettivamente la figura di Nils é destinata ad entrare nella storia del calcio inteso come spettacolo,come ricercatezza tecnica,come sagacia tattica, come correttezza etica e professionale.-
Onore al merito.-
Giacomo