30 aprile 2009

I ragazzi ed i silenzi degli adulti

Della politica, di ogni suo minimo sussulto, controversia o screzio, si discute per giorni, si ragiona, si polemizza. Dei giovani e giovanissimi, dei loro problemi, dei loro allarmi, della loro violenza, dei terrificanti crimini che riescono a commettere quando ancora, almeno in teoria, devono rispettare l’orario di rientro dettato dai genitori, dopo un momentaneo commento incredulo e sbigottito, si tende, invece, a tacere. E così gli accoltellamenti, le rapine, le aggressioni, gli stupri di gruppo, gli assassini per opera di adolescenti o poco più transitano veloci, giorno dopo giorno, negli spazi delle cronache nere senza che ci prendiamo la briga di riflettere davvero su cosa sta succedendo nella nostra società. Di loro, dei ragazzi, quando li arrestano, si coglie per lo più la freddezza e l’indifferenza, non solo per le vittime ma anche per i propri cari e il proprio destino, quasi che qualsiasi cosa — compreso il carcere — fosse preferibile all’insopportabile noia che li affligge. E sembra specchiarsi, quest’indifferenza, nel loro abbigliamento, sempre uguale, jeans, scarpe sportive e felpa, del tutto indifferente a diversi luoghi e occasioni: casa, scuola, lavoro, pub, sport oppure discoteca.
Vanno e rubano, vanno e accoltellano, vanno e dan fuoco a un barbone, vanno e uccidono un compagno di scorribande, quasi sempre in gruppo, per farsi forza, naturalmente, perché da soli forse non oserebbero; e noi ce la sbrighiamo parlando di «fenomeno delle baby gang», come se il termine straniero minimizzasse la tragicità dei fatti. Ma da dove vengono e chi sono questi alieni crudeli e indifferenti? Da case normali per lo più; anche dal degrado, dalla miseria e dall’emarginazione, ma altrettanto, da case belle, quartieri buoni e famiglie per bene. Potrebbero essere figli di tutti noi, incappati per insicurezza, per solitudine, per noia nell’amico più forte, nel gruppo sbagliato; e si sa che il gruppo ormai conta più della famiglia, per il semplice fatto che la famiglia, nonostante il gran parlare che se ne fa, è oggi più debole che mai. Oltre a essere spesso dimezzata, per cui i ragazzi sono privi della costante ed equilibrante presenza di entrambi i genitori, non è più come un tempo affiancata e sostenuta nel suo magistero dagli insegnanti e da altre figure di educatori come, per esempio, i parroci, per ragioni che a volte risalgono paradossalmente proprio alla famiglia.
Se, infatti, padri e madri — come spesso succede — prendono sistematicamente le parti dei figli contro maestri e professori, è difficile che si crei quell’alleanza di intenti preziosa per l’educazione. E rinunciare a qualsiasi forma di istruzione religiosa è, ovviamente, una scelta rispettabilissima che però priva la famiglia di un supporto non indifferente. Moltissimi sono naturalmente i padri e le madri forti abbastanza per farcela da soli a insegnare ai figli cos’è bene e cos’è male, ma molti sono anche quelli che, invece, non ce la fanno. Ma c’è dell’altro, ed è la profondissima infelicità dei giovani. Perché è certo che sono infelici, lo gridano dietro i loro indecifrabili silenzi, che non sempre riflettono soltanto il comodo, rilassante oppure stanco silenzio degli adulti. È un’infelicità chiusa e senza desideri, peraltro, secondo il geniale titolo del romanzo di Peter Handke, perché non può esserci desiderio dove non c’è speranza.
Ecco, quel che atterra i nostri figli, quel che toglie loro qualsiasi energia positiva, quel che li rende tetri e annoiati e, dunque, disponibili alle trasgressioni più atroci, è la mancanza di speranze condivise. Speranze che molto prima di essere di natura economica sono di natura ideale, nutrimento e carburante indispensabile per i giovani. Anche per noi adulti, ovviamente, perché l’uomo non può vivere senza aspettarsi per domani una sia pur minuscola luce, ma in modo molto meno assoluto e radicale, perché abbiamo ormai imparato bene a difenderci dal vuoto. Speranze — condivise — che una volta riguardavano la politica, per esempio, oppure la religione o la cultura e che adesso, mediamente, s’innalzano fino ai successi della squadra di calcio del cuore o al sogno di finire in tv oppure alla conquista di un certo tipo di abbigliamento firmato e uniforme. Poveri ragazzi, viene da dire, però è questo il piatto che abbiamo preparato per loro, gli esempi che abbiamo fornito, i modelli che abbiamo fabbricato. Ed è un serpente che si morde la coda perché se famiglia, scuola e istituzioni varie oggi si rivelano così deboli, così inascoltate e incapaci di educare è anche perché per prime sembrano aver smarrito nel tempo le ragioni forti del loro essere. I maestri, insomma, i tanto invocati maestri grandemente scarseggiano perché non credono più al loro magistero.

Isabella Bossi Fedigrotti, sul Corriere del 30 aprile 2009



Un interessante articolo che mi segnala l'amico Giacomo e che reputo importante riprodurre.
Dinanzi alla dilagante delinquenza minorile vien voglia di reagire dicendo che quelle sono le mele marce e che la grande maggioranza cresce sana e senza devianze. Subito dopo bisogna però ammettere che l'assenza di ideali è un male comune ai figli ed ai padri, egualmente cresciuti nel nichilismo post sessantottino. Stringe il cuore vedere un paese che va inconsapevolmente verso la deriva, stretto fra i falsi ideali di una televisione corruttrice ed i pessimi esempi di una politica senza valori.
La religione può salvarci?
Ne sono profondamente convinto, se saprà tornare al messaggio evangelico e spogliarsi della modernità che spesso si riflette non solo nei riti ma anche nell'ideologia.
L'alternativa è un mondo di disperati individualisti il cui unico collante è il consumismo degenerato. Un futuro di alcool, droga e nevrosi sarebbe già la catastrofe.

1 commento:

banzai43 ha detto...

E' certamente una società con problemi. Come spesso è accaduto in passato ed accadrà in futuro.
L'insegnamento al rispetto, alla rettitudine, al culto del lavoro, alla capacità d'ascolto, al porsi obiettivi importanti a ... Queste voci, più della religione, a mio parre, potrebbero arare gli animi in attesa di semi germinanti.
Ma non c'è solo male, non è tutto da gettare. Quanti i giovani operosi, quanti quelli attivi nel volontariato, quanti quelli sorridenti, quelli con voci fuori dal coro, quanti quelli che (faticosamente) cercano di farsi strada, di fare carriera, e trovano dinosauri impietosamente e violentemente abbarbicati a difesa del proprio inutile trespolo? Scaldapanche, insomma, senza più voglia ne idee.
Sicuri che l'attuale generazione dei padri non più giovanissimi sia monda da colpe, da responsabilita? Che i capi abbiano sempre avuto ragione nel reprimere le idee portate dalla gioventù ai quale veniva e viene ancor detto: "Vedrai, quando avrai la mia età penserai diversamente". Così il mondo stagna, si ferma, arretra. E fallisce.

Il mondo dei giovani, forse di tutti i giovani, attende un gran numero di Obama capaci di dare speranze, riempire i cuori, far spuntare una lacrima. E non è escluso che ad attendere uomini così, uomini una volta tanto un poco diversi, capaci di non deludere, di unire anziché dividere, vi sia anche qualche anziano, anziano come me ed anch'esso in attesa.

Ad majora.

banzai43