"Lavorerai con Maurizio Mosca... Contento?"
L'annuncio era del direttore di produzione della rete per la quale lavoravo allora, Antenna Tre Lombardia. Ero arrivato a Milano da poco tempo e mi avevano affidato la conduzione di alcune trasmissioni in diretta oltre alle telecronache di Inter e Milan. Essendo stato a un passo dal lasciare questo mestiere per fare altre cose, pensavo che la stagione in arrivo potesse essere decisiva per il mio avvenire. E ci tenevo a fare le cose per bene.
Dunque non ero contento per niente: anzi... avevo reagito con un certo fastidio all'idea di dover condividere lo studio con quel personaggio così bizzarro e fuori dalle righe. Poi conobbi Maurizio: e tutto cambiò in pochi minuti. Lo andai a trovare nel suo nuovo ufficio a Legnano, nella sede della televisione, prendemmo un caffè e chiacchierammo a lungo. Andai a trovarlo il giorno dopo, e quello dopo, e quello dopo ancora. Alla domenica eravamo in onda insieme per una diretta di cinque ore; poi, dopo un'ora di pausa, c'erano altre tre ore e mezza di diretta per il posticipo. Antenna Tredici, la trasmissione che conducevamo ogni volta che c'era campionato, sabato pomeriggio e sera, così come la domenica, era così: una maratona. Che lui affrontava con il sorriso sulle labbra e il gusto di tenerti sempre sulla corda, costringendoti all'imprevedibile, alla battuta che ti avrebbe spiazzato e messo anche in difficoltà.
Io in quella trasmissione non facevo nulla: a parte mettere il mio faccione in video e dare una continuità all'enorme quantità di contenuti che lui partoriva. Arrivavo in ufficio in moto con il mio bel vestitino stropicciato, andavamo a prendere un caffè e al ritorno nello stanzone arredato da centinaia di giornali accatastati in un ordine che solo lui riusciva a comprendere, mi illustrava i temi della trasmissione. Tutto ordinatamente scritto su un foglio vergato di pennarello nero punta grande con una bella grafia, molto chiara e pastorale: "Allora, sono sedici blocchi, apriamo con Vieri e poi parliamo dell'Inter che Moratti è incazzato come una biscia. E poi vediamo..."
Era proprio quel vediamo che mi preoccupava sempre moltissimo. Ma tant'è ci si trovava bene insieme: ed evidentemente se ne accorsero perché dopo un po' di tempo mi chiesero di condurre anche un'altra trasmissione con lui, Azzurro-Italia. Era uno dei programmi 'griffati' della rete, una trasmissione storica: lui era il castigamatti, io un vigile urbano incaricato di organizzare il traffico tra lui e gli opinionisti. Avevamo (fino a quando non trovavano la panchina di una squadra da rimettere in sesto) Franco Scoglio, Nedo Sonetti e tanti personaggi interessanti e molto diversi tra loro: Aldo Serena, Enzo Gambaro, José Altafini. Mosca li ha iniziati tutti: e avviati a una professione che in Italia non è semplice. A volte è sotto stimata anche per colpa di chi l'ha interpretata. Gli appuntamenti cominciarono a diventare parecchi, e si stava insieme anche per giornate intere: in onda e fuori.
"Adesso condurrai insieme a Maurizio Mosca 'Di qua o di là'. Contento?"
Anche no... Per quelli che non la ricordano, e i tantissimi che non l'hanno mai vista, 'Di qua o di là' era una trasmissione creata proprio da Maurizio nel corso della quale, divisi da due gradinate, i tifosi di tante squadre diverse cambiavano opinione a seconda dell'argomento trattato saltando da uno schieramento all'altro. Esempio: "Baggio deve giocare in Nazionale ai Mondiali"? Chi diceva sì stava di qua e chi diceva no andava di là. E si iniziava a discutere: e sorprendentemente in gradinata di trovavi interisti a braccetto con juventini e milanisti in pieno accordo con gli uni e con gli altri.
La trasmissione era divertente e surreale: difficilissima da condurre. Maurizio decideva tutto: gli argomenti, il modo di presentarli, i tempi delle discussioni. A me restava solo prendere la scaletta, mettere ordine, condurre e divertirmi. Iniziai quella trasmissione perché, secondo me, pochi avrebbero voluto farla: aveva poco di sportivo e molto di intrattenimento e tenere a bada un centinaio di tifosi non era una cosa semplice. Il rischio era quello di sputtanarsi anche un po'.
Tenere a bada Maurizio a volte era il rischio peggiore. Per cui, contento non ero: ma in poche settimane quella trasmissione diventò un bambino da coccolare. L'abbiamo condotta insieme per oltre due anni fino a quando le nostre strade si divisero, professionalmente parlando. Quella trasmissione mi ha lasciato ricordi indelebili: non mi sono mai divertito tanto in vita mia. C'erano momenti in cui mi dovevo nascondere dietro la scenografia per poter ridere liberamente e rientravo in onda con le lacrime agli occhi.
Oggi quella trasmissione mi ha lasciato tante cose belle: i ricordi, alcune foto, e l'amico più caro che ho, e che ho conosciuto proprio lì, in quello studio. Maurizio aveva l'abitudine di chiamare tutti i tifosi con un nomignolo e lui, che in realtà si chiama Stefano, era Batistuta a causa di una vaghissima somiglianza con l'attaccante argentino. Con Bati, c'erano Prodi e Oliver, Il Secco e Ciccio, Grugno e Gringo, Codino e Codazzo e tanti altri che ricordo solo vagamente. Opinionisti nati dal nulla che all'epoca erano vere e proprie celebrità, riconosciute e degne di richieste di autografo. L'unico pirla lì in mezzo era il conduttore: inutilmente teso nel dare una logica a una cosa che di logica non ne doveva avere, perché il bello del programma era proprio la sua illogicità.
Era il sogno di Maurizio, fare la tv della gente con la gente. In quel caso ci riuscì alla grande.
Alla sera, spesso, si usciva a cena insieme: e scoprivi il Mosca che la tv non avrebbe mai mostrato. Un intrattenitore brillante, grande esperto di calcio e grandissimo esperto di boxe. Un giornalista coi fiocchi, enormemente più preparato e professionale di quel personaggio bizzarro e sconclusionato che si era creato in televisione. Con il quale aveva in comune una sola cosa: l'incapacità di prendersi sul serio e di prendere tutto sul serio. Una sera, dopo la trasmissione, andiamo tutti a mangiare una pizza, tifosi compresi, e siamo più del previsto, almeno una trentina di persone: "Ok, dividiamo si fa alla romana". dice Oliver. "Io sono romano, e si fa a modo mio": e pagò per tutti. Un gesto che credetemi, da parte di uno che vive la tv da professionista e che in qualche modo è alimentato dal distacco catodico con la gente comune, non è da tutti. In tanti anni non l'ho mai visto fare da colleghi più 'piacioni' e molto più ricchi di lui.
Gli aneddoti sarebbero davvero troppi, e si finirebbe con il solito quadretto da libro Cuore che altri possono fare meglio di me. A lui procurerebbe un po' di nausea.
Di lui mi mancheranno le battute, i tormentoni, le rivelazioni (quelle che il pendolino non avrebbe mai detto) e le tante verità che Maurizio aveva e si teneva per sé. O al massimo rivelava davanti a un limoncello o a una di quelle orrende merendine al cioccolato che gli passavo sottobanco durante la trasmissione e che gli piacevano da morire. Come a me del resto...
Maurizio era molto, molto generoso; con attenzioni delicatissime: ed era pieno di difetti che lo rendevano anche più umano. Aveva improvvisi sbalzi di umore e imprevedibili e violentissimi sfoghi verbali che in onda potevano diventare molto problematici da controllare. Aveva un gusto per il divertimento unico nel suo genere: era convinto (secondo me anche un po' a torto) della buona buona fede e dell'onestà delle persone di sport. Ma soprattutto gli piaceva che la gente si divertisse, ridesse e magari che ragionasse anche attraverso una battuta, una spigolatura.
Se ce l'aveva con qualcuno lo diceva. E la cosa poteva accadere in studio, o durante un collegamento: se la discussione iniziava quasi certamente finiva in lite che, poteva rivivere ogni settimana, sempre più dura e astiosa. L'ho scritto altre volte: lavorare con lui, ma anche con il professor Scoglio, era un po' come cenare a un ristorante di lusso con una bomba a orologeria innescata sotto il tavolo. Maurizio aveva antipatie che potevano durare una vita, o finire in cinque secondi. Bastava mezza parola, in un senso o nell'altro. Una volta anche io e lui abbiamo discusso pesante: e ci siamo tenuti il muso a lungo. Ma alla fine a separarci non sono state le discussioni, ma le circostanze.
Mi sarebbe piaciuto poter proseguire l'esperienza di 'Di qua o di là': ma questo lavoro è così. E con la stessa rapidità con la quale mi portarono a lavorare con lui, l'occasione di condividere le mie giornate con Maurizio si dissolse portando me dietro una scrivania e lui davanti ad altre telecamere. Ci siamo sentiti pochissimo, e visti ancora meno da allora. Mi arrivavano i suoi saluti, e gli mandavo i miei. Bastava quello per sapere che ci si pensava, e che ci si voleva ancora bene.
Sapevo della sua sofferenza da tempo, e ogni domenica Guida al Campionato per me era l'occasione di constatare il suo stato di salute: "Finché è lì va tutto bene..." dicevo a mia moglie cercando di capire dalle inquadrature le sue condizioni, il suo umore. Ma lui, come sempre in onda non faceva trapelare nulla di quella che era la sua vita, il suo stato d'animo. Era capace di lavorare dodici-quattrodici ore al giorno senza interruzioni. E le tante preoccupazioni che aveva non trapelavano mai. E' stato capace di lavorare fino all'ultimo istante nonostante molta sofferenza, lunghissime cure, operazioni e terapie: perché questa sua dedizione era la cosa che lo definiva di più.
Di lui si possono dire un sacco di cose, a me ne interessa solo una. Perché è quella che ho sempre detto di lui a chi mi chiedeva 'come fosse lavorare con Mosca'.
Io so solo che con lui mi sono divertito un casino.
Ciao Maurizio, con te mi sono proprio divertito tanto.
Buon viaggio.
di Stefano Benzi, direttore di Eurosport
07 aprile 2010
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1 commento:
Ho avuto l'avventura di conoscere Mosca in un passaggio della sua carriera televisiva (quella menzionata nell'editoriale) che non guadagnerà di sicuro l'immortalità, ma che ha lasciato in tutti coloro che ne sono stati a vario titolo partecipi un ricordo dolce e leggero.
Stagione breve ma intensa di purissimo divertimento e - per quanto mi riguarda - di spensieratezza (nella primavera del 2000) mai più ritrovata.
Resta negli occhi il sorriso cordiale e un po' infantile, le buone maniere d'altri tempi, le battute fulminanti per il gusto della risata corale e fragorosa, l'inaspettata spontanea generosità ed il piacere quasi fisico di stare in mezzo alla gente.
Resta soprattutto un amico come Stefano Benzi, conosciuto proprio in quella occasione, che è oggi per me più che un amico il fratello maggiore che non ho.
Per tutto questo ti ringrazio di cuore e ti auguro buon viaggio, caro Maurizio.
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