26 ottobre 2007

Non ci credo ancora, ma forse se ne vanno

Esigo, voce del verbo perdere: declinazione di una conferenza stampa di un premier aggrappato all’uscio.

Esigo, voce del verbo perdere. Anzi aver già perduto. C’era la profonda verità dell’epilogo nel lessico e nel volto sfinito di Prodi, mentre davanti ai microfoni esigeva, appunto, rispetto da una maggioranza che non lo regge più. In bocca a un premier nelle condizioni prodiane, esigere è una forma verbale che perde autonomia e tracima nello smarrimento. Come dire lei non sa chi sono io, come dire lei mi deve rendere conto, come promettere che ti aspetto fuori. Di regola, se non si tratta di tasse, l’esattore certifica la propria sconfitta e il rifiuto di ammetterla. Si esige la spiegazione dall’adultero, si esige la risposta a una domanda retorica. Con questo suo cedimento solitario alla rabbia indotta dalla durezza della realtà, Prodi entra una volta in più nella galleria troppo italiana in cui soggiornano quelli che non ci vogliono stare. E’ un moto scontato con una screziatura tenera, perché oggi Prodi ha il caratteristico torto del perdente ma pure delle ragioni. Ha stampato la propria faccia su un prodotto politico a scadenza ravvicinata. Ma quelli che glielo avevano fornito, i contraenti della cooperativa chiamata Unione, un contratto con lui l’avevano firmato. Generico, verboso, paralogico e incapacitante. Però il programma c’era, è stato rimpannucciato una seconda volta dopo la sfiducia del febbraio scorso. Poi è finita che nel centrosinistra ognuno s’è preso una parte di verità per smerciarla appena possibile al proprio elettore. Il Pd ha raccolto il meglio che poteva e ha già eletto il dopo Prodi senza esigere nulla.


da Il Foglio di oggi

1 commento:

Anonimo ha detto...

Si vede che il proverbiale fattore c..o non l'aiuta più;per colmo di sfiga é venuta anche la sentenza della Cassaziuone sulla vicenda SME che assolve definitivamente Berlusconi.-
Giacomo