Le Forze Oscure della Correttezza Ideologica in Agguato devono essersi date convegno di questi tempi, e fischia un forte vento di restaurazione. Andiamo a vele spiegate verso l'introduzione dell'eutanasia in Italia, una sentenza dopo l'altra, e in nome della libertà individuale per la morte che presto sarà certificata da un lugubre testamento. La pillola Ru486 farà calare il sipario su ogni possibile tentativo di combattere l'aborto e difendere la vita prenatale salvando l'autonomia e la salute delle donne. L'islam europeo militante si è affacciato sui sagrati del Duomo di Milano e della Cattedrale di San Petronio di Bologna con tutta la forza della sua nozione dura, combattente, della fede coranica, e con tutto il prestigio derivante da una mancata, visibile risposta. Vivace si muove l'attacco verso un Papa che ha sfidato il monopolio dei razionalisti sulla ragione e dei fideisti sulla fede. Poggiando su potenti gaffe curiali, e sull'evidente incompetenza di chi consiglia il Papa in affari decisivi come il rapporto con gli ebrei, il ritratto di Benedetto XVI viene ridipinto a tinte fosche nel palcoscenico mondiale. L'obiettivo è distruggere la connessione tra ellenismo, giudaismo e cristianesimo ristabilita con sottigliezza teologica e pastorale dal successore di Giovanni Paolo II. E infrangere la sua pretesa di definire un nuovo illuminismo cristiano basato sulla convivenza concorde di ragione e fede. Dalla bioetica alla convivenza multiculturale, dal dialogo con gli ebrei, che dopo il Concilio Vaticano II è fondativo della fede cristiana, alla riflessione sui temini nuovi della laicità, su tutto l'orizzonte infuria la libecciata progressista.
Editoriale de Il Foglio, del 27 gennaio 2009
27 gennaio 2009
19 gennaio 2009
Lasciamo stare i figli
Lo schema del calciatore mercenario è riuscito male, ma stavolta ha fallito anche quello del Galliani cattivo. Tutto il mondo ha capito che Silvio Berlusconi ha dato l'ok alla vendita di Kakà, per tanti soldi (da un minimo di 108 milioni di euro ad un massimo di 150, si è sentito di tutto ben prima della smentita tattica del proprietario del City: a nessuno piace passare per un ricco coglione, mediaticamente di peggio c'è solo il coglione povero) e possibilmente non ad una diretta concorrente: il Real Madrid ambìto dal giocatore saprebbe di smobilitazione. Galliani è lo stesso Galliani che nell'estate 2001 con un bilancio quasi in pareggio ebbe il permesso di buttare 80 miliardi di lire nel piatto di Cecchi Gori per avere Rui Costa, spende più o meno bene i soldi che può permettersi di spendere. E a dirla tutta, anche Marina e Pier Silvio, i figli maggiori del proprietario del Milan, senza il padre semplicemente non esisterebbero né come imprenditori né come dirigenti: sono impiegati, con influenza sulla gestione ma non sulle strategie di fondo. Insomma, anche gli "ordini" dei figli sembrano una colossale invenzione.
Le ragioni di questa svolta, al di là di dove giocherà Kakà settimana prossima (abbiamo scommesso, nel vero senso dell'espressione, sul Milan), risiedono solo nella testa di Berlusconi: annuncio di smobilitazione, sensazione personale che Kakà sia in declino, cattivi consiglieri, tardivi progetti di autofinanziamento (va detto che calcolando il lordo dei quattro anni e mezzo residui di Kakà, fra incasso e mancati esborsi il Milan avrebbe un beneficio diretto di circa 200 milioni: in pratica il fatturato di un anno) o la solita voce del futuro "leghista": quel "Milan dei lombardi", più volte vagheggiato nelle cene del lunedì ad Arcore, ma che si scontra con contratti pubblicitari pluriennali e soprattutto già firmati con aziende dall'orizzonte che va oltre Segrate ed Arluno. Galliani e l'amico Bronzetti sono colpevoli di tante cose, ma non della presunta vendita di Kakà.
di Stefano Olivari, su Indiscreto
Io non so come finirà. Con la faccia di tolla che lo contraddistingue, capace che il presidente onorario si rimangi la decisione di vendere dicendo che la colpa è della disinformazione.
Più probabile che venda come primo atto dello smantellamento societario, per riportare le spese di gestione ad un livello che sia attrattivo per un futuro acquirente. Non dimentichiamo che oltre a Ricardo se ne vanno per fine carriera Maldini, Dida, Favalli e Seedorf emigra in Premier. Tutti insieme fanno 60 milioni di ingaggi in meno.
Sotto un profilo imprenditoriale sono mosse giuste. Ma il calcio è amore e passione, come il nano di Arcore ha raccontato per vent'anni. Ma anche per lui, così per me, l'amòr el ghe pù, come cantava Jannacci. Io con una ferita nel cuore, lui con spirito puramente mercantilistico.
D'altra parte, dice Pier Silvio, il "prodotto-calcio" non tira più...
Vuoi mettere lo Zelig nei locali dell'Arcigay?
Le ragioni di questa svolta, al di là di dove giocherà Kakà settimana prossima (abbiamo scommesso, nel vero senso dell'espressione, sul Milan), risiedono solo nella testa di Berlusconi: annuncio di smobilitazione, sensazione personale che Kakà sia in declino, cattivi consiglieri, tardivi progetti di autofinanziamento (va detto che calcolando il lordo dei quattro anni e mezzo residui di Kakà, fra incasso e mancati esborsi il Milan avrebbe un beneficio diretto di circa 200 milioni: in pratica il fatturato di un anno) o la solita voce del futuro "leghista": quel "Milan dei lombardi", più volte vagheggiato nelle cene del lunedì ad Arcore, ma che si scontra con contratti pubblicitari pluriennali e soprattutto già firmati con aziende dall'orizzonte che va oltre Segrate ed Arluno. Galliani e l'amico Bronzetti sono colpevoli di tante cose, ma non della presunta vendita di Kakà.
di Stefano Olivari, su Indiscreto
Io non so come finirà. Con la faccia di tolla che lo contraddistingue, capace che il presidente onorario si rimangi la decisione di vendere dicendo che la colpa è della disinformazione.
Più probabile che venda come primo atto dello smantellamento societario, per riportare le spese di gestione ad un livello che sia attrattivo per un futuro acquirente. Non dimentichiamo che oltre a Ricardo se ne vanno per fine carriera Maldini, Dida, Favalli e Seedorf emigra in Premier. Tutti insieme fanno 60 milioni di ingaggi in meno.
Sotto un profilo imprenditoriale sono mosse giuste. Ma il calcio è amore e passione, come il nano di Arcore ha raccontato per vent'anni. Ma anche per lui, così per me, l'amòr el ghe pù, come cantava Jannacci. Io con una ferita nel cuore, lui con spirito puramente mercantilistico.
D'altra parte, dice Pier Silvio, il "prodotto-calcio" non tira più...
Vuoi mettere lo Zelig nei locali dell'Arcigay?
16 gennaio 2009
Su Letizia anche il fuoco amico
Donna Letizia è preoccupata ed ha bisogno di soldi per il suo Expo. È un p0' come un tamagochi, la sindachessa: fa l'indipendente, nel senso che cammina da sola e si lascia andare a parole ed appelli in libertà, ma come il pulcino virtuale che ha costretto milioni di uomini a fargli le coccole e dargli la pappa, così la Moratti ogni tanto smette di inneggiare all'efficienza del nord e della sua Milano e batte cassa a Roma. L'ultima volta, ai primi di dicembre, ha chiesto 2,3 miliardi. Lamenta, donna Letizia, gravi ritardi e spiega che quei soldi le servono per nove grandi opere. Grandi ed indispendabili: senza, il suo Expo, sarebbe un flop.
Ora va tutto bene - cioè tutto male - ma a parte che non siamo ancora nel 2009 e non so a voi ma a me l'Expo del 2015 li ha belli che rotti da tempo, ci sono almeno due considerazioni da fare sulle contraddizioni per così dire umorali del primo cittadino milanese: la prima è che più che un appello, ogni volta che parla sembra un aut-aut ("Paolo Glisenti amministratore o la società non parte"; "O arrivano i soldi o non arriva manco l'Expo") e la seconda è che bisognerebbe intendersi sul valore del termine "suo". Che già in grammatica è piuttosto ambiguo (può essere pronome possessivo o aggettivo determinativo) ma con di mezzo la Moratti si salvi chi può. Tre cose sente - e dice - sue più di tutte: la prima è appunto l'Expo, la seconda Milano. Bene, cioè male, perché punto uno se l'Expo è effettivamente suo ed ad amministrarlo c'è effettivamente il suo braccio destro, non è che i rincari ed i ritardi possono essere di Giulio Tremonti o di mio cugino e, punto due, Milano è sua quanto mia che ci vivo, o del Roberto Vecchioni di Luci a San Siro, con la differenza che Vecchioni a Milano è disposto a recedere "soldi e celebrità", mentre donna Letizia al massimo porterebbe nove opere, che per grandissime ed idispensabili che fossero, chissà quando sarebbero pronte (e con i soldi di chi).
Un po' come se Vecchioni, in cambio della 600 e della ragazza lasciasse alla sua Milano i soldi e la celebrità di Guccini o di Ligabue; che poi, diciamocelo francamente, tutto questo ardore ed ardire per il cartellino di Milano è un po' come litigare per quello del fratello scemo di Maradona. Sinceramente, con tutto l'affetto che provo per Milano, dire che fa pena è farle un complimento. Ci sono grandi, lunghissimi, bellissimi tram stilizzati che oltre a bloccare il traffico hanno il piccolo difetto di andare diritti in curva e fuori dei binari anche in rettilineo; le case hanno dei prezzi che quando i figli tornano tardi i genitori prima li sgridano, "questa casa non è un albergo", poi aggiungono "magari lo fosse", ci costerebbe di meno; e l'unico mercato a buon mercato è quello della cocaina, materia in cui abbiamo strappato i record di spaccio e consumo perfino a Bogotà.
In compenso, come dicono a Napoli, teniamo l'Ecopass, cosa questa che Letizia Moratti può effettivamente rivendicare sua, ma che forse a ben vedere e pensare male dopo un inizio incoraggiante non ha dato i frutti sperati, al di là del fioccare multe che sembrano le frustate di Cleopatra agli schiavi egizi nel costruire le sue piramidi. Non ce ne voglia il sindaco: ma se le piramidi erano inutili al popolo, almeno sono sopravvissute a tutto; mentre l'Ecopass poco si manca abbia peggiorato traffico ed inquinamento.
A dispetto dei dati comunali e dell'Atm (azienda che ha appena scoperto e lanciato la bicicletta come nuovo mezzo pubblico) che parlano di un 20% in meno d'incidenti nel centro storico. Bella forza, basta non farcele entrare, le macchine. A questa stregua stia tranquilla, donna Letizia: basta non farlo e niente andrà storto. Neppure il suo Expo.
di Mino Bora, su Economy di Dicembre 2009
Ora va tutto bene - cioè tutto male - ma a parte che non siamo ancora nel 2009 e non so a voi ma a me l'Expo del 2015 li ha belli che rotti da tempo, ci sono almeno due considerazioni da fare sulle contraddizioni per così dire umorali del primo cittadino milanese: la prima è che più che un appello, ogni volta che parla sembra un aut-aut ("Paolo Glisenti amministratore o la società non parte"; "O arrivano i soldi o non arriva manco l'Expo") e la seconda è che bisognerebbe intendersi sul valore del termine "suo". Che già in grammatica è piuttosto ambiguo (può essere pronome possessivo o aggettivo determinativo) ma con di mezzo la Moratti si salvi chi può. Tre cose sente - e dice - sue più di tutte: la prima è appunto l'Expo, la seconda Milano. Bene, cioè male, perché punto uno se l'Expo è effettivamente suo ed ad amministrarlo c'è effettivamente il suo braccio destro, non è che i rincari ed i ritardi possono essere di Giulio Tremonti o di mio cugino e, punto due, Milano è sua quanto mia che ci vivo, o del Roberto Vecchioni di Luci a San Siro, con la differenza che Vecchioni a Milano è disposto a recedere "soldi e celebrità", mentre donna Letizia al massimo porterebbe nove opere, che per grandissime ed idispensabili che fossero, chissà quando sarebbero pronte (e con i soldi di chi).
Un po' come se Vecchioni, in cambio della 600 e della ragazza lasciasse alla sua Milano i soldi e la celebrità di Guccini o di Ligabue; che poi, diciamocelo francamente, tutto questo ardore ed ardire per il cartellino di Milano è un po' come litigare per quello del fratello scemo di Maradona. Sinceramente, con tutto l'affetto che provo per Milano, dire che fa pena è farle un complimento. Ci sono grandi, lunghissimi, bellissimi tram stilizzati che oltre a bloccare il traffico hanno il piccolo difetto di andare diritti in curva e fuori dei binari anche in rettilineo; le case hanno dei prezzi che quando i figli tornano tardi i genitori prima li sgridano, "questa casa non è un albergo", poi aggiungono "magari lo fosse", ci costerebbe di meno; e l'unico mercato a buon mercato è quello della cocaina, materia in cui abbiamo strappato i record di spaccio e consumo perfino a Bogotà.
In compenso, come dicono a Napoli, teniamo l'Ecopass, cosa questa che Letizia Moratti può effettivamente rivendicare sua, ma che forse a ben vedere e pensare male dopo un inizio incoraggiante non ha dato i frutti sperati, al di là del fioccare multe che sembrano le frustate di Cleopatra agli schiavi egizi nel costruire le sue piramidi. Non ce ne voglia il sindaco: ma se le piramidi erano inutili al popolo, almeno sono sopravvissute a tutto; mentre l'Ecopass poco si manca abbia peggiorato traffico ed inquinamento.
A dispetto dei dati comunali e dell'Atm (azienda che ha appena scoperto e lanciato la bicicletta come nuovo mezzo pubblico) che parlano di un 20% in meno d'incidenti nel centro storico. Bella forza, basta non farcele entrare, le macchine. A questa stregua stia tranquilla, donna Letizia: basta non farlo e niente andrà storto. Neppure il suo Expo.
di Mino Bora, su Economy di Dicembre 2009
15 gennaio 2009
Farsopoli
Christian Rocca, 41 anni, di Alcamo, è inviato speciale de "Il Foglio" e collabora con diverse testate italiane. Negli ultimi anni ha raccontato da New York la cultura americana e la risposta di Washington agli attacchi dell'11settembre. Nel 2003 ha scritto "Esportare l'America. La rivoluzione democratica dei neoconservatori"; nel 2005 ha pubblicato "Contro l'Onu. Il fallimento delle Nazioni Unite e la formidabile idea di un'alleanza tra le democrazie" (vincitore del Premio Capalbio 2005); nel 2006 è stata la volta di "Cambiare Regime", edito da Einaudi. La sua attività di blogger (http://www.camilloblog.it/) è volta a denunciare quelle che ritiene essere le distorsioni e le falsità della visione degli Stati Uniti proposta sistematicamente da giornali e media vari. Dalle colonne del suo blog non ha lesinato commenti su calciopoli, sulla Juve ed ha coniato, per gli interisti, il titolo di "indossatori di scudetti altrui". Fin dal primo giorno Christian Rocca è stato uno dei pochi giornalisti che ha cercato di spiegare le incongruenze e gli "strani" comportamenti dei mass media nei confronti di Moggi e della Juventus durante l'estate del 2006.
Abbiamo percorso un cammino parallelo con lui, spesso condividendo ogni virgola di quello che usciva dalla sua penna allo stesso tempo pungente e dissacrante. Leggere il suo Blog ci ha aiutato a superare momenti difficili e a trovare le motivazioni per continuare a combattere. È giunto il momento di ospitarlo sul nostro sito per una intervista senza peli sulla lingua. Un'intervista da Juventinovero.
Buongiorno Dr. Rocca, ci descrive in breve cosa rappresenta per Lei la Juventus?
Una squadra di calcio.
In questi giorni molte persone, addette ai lavori ma anche semplici tifosi, stanno sorprendentemente cambiando atteggiamento nei confronti di Farsopoli e degli accadimenti dell’estate 2006. Come giudica questo cambiamento?
Mi spiace, non ci credo. Il bar dello sport non chiuderà mai.
Condivide il pensiero di Enzo Biagi che forse lo scandalo Calciopoli è servito per dare in pasto un mostro al popolo e per distrarre il popolino dal più grande scandalo degli ultimi anni, ovvero lo scandalo Telecom?
No, non lo condivido. Questo è complottismo e io non credo mai ai complotti. Altra cosa è, invece, l’innegabile intreccio societario tra la proprietà di una squadra di calcio di Milano e gli ex azionisti e dirigenti di Telecom. I nomi di Massimo Moratti, Tronchetti Provera, Carlo Buora e Guido Rossi sono o sono stati nella proprietà o nel consiglio di amministrazione di entrambe le società. E Rossi ha gestito la Federcalcio nei pochi mesi in cui la Juventus è stata punita e scippata di due scudetti vinti sul campo con merito. Si sa, inoltre, che la società di calcio ha chiesto a un alto dirigente di Telecom, accusato di essere a capo della struttura che conduceva indagini illegali e per questo in galera, di pedinare e quant’altro Moggi, un arbitro di Serie A, calciatori della stessa squadra e probabilmente anche altri dirigenti e tesserati federali. I fatti sono questi, ma non credo ai complotti.
Lei conosce molto bene gli Stati Uniti e la loro cultura, politica e non. Secondo Lei, un caso simile a Farsopoli sarebbe stato possibile negli USA? Cosa c'è di diverso rispetto all'Italia, soprattutto per quanto riguarda il mondo dei media e quello sportivo?
Nel 2007 la migliore squadra del torneo di football americano NFL, i New England Patriots, ha spiato illecitamente le tattiche d’attacco degli avversari. Un illecito sportivo. La NFL ha condannato l’allenatore a mezzo milione di dollari e i Patriots a 250 mila dollari di multa e alla rinuncia di una prima scelta universitaria l’anno successivo. Nessuno si è sognato però di contestare i risultati ottenuti sul campo. Anzi, ancora oggi, si ricorda il prodigioso record conquistato quell’anno dai Patriots di 18 vittorie su 18. I Patriots hanno perso solo in finale, al Superbowl, contro i Giants di New York, all’ultimo secondo. Ogni ordine professionale ha un suo codice etico e chi non lo rispetta subisce, giustamente, pesanti sanzioni; come è possibile che la quasi totalità dei giornalisti continui a dare un'informazione distorta senza che nessuno di essi subisca il benchè minimo provvedimento? Come è possibile che a tutt'oggi ci siano giornalisti che vanno in televisione, ad esempio, a riproporre la favola di Paparesta chiuso nello spogliatoio?
Nessun giornalista si sente in dovere di difendere la professionalità della propria categoria?
Sono contrario agli ordini professionali e in particolare a quello dei giornalisti. L’Italia è l’unico paese occidentale che ha un ordine dei giornalisti, un lascito del fascismo. Nel resto del mondo sanno che non ha alcun senso, perché a nessuno può essere negato il diritto di scrivere su un giornale. Anni fa ho anche raccolto le firme per un referendum, purtroppo la gente non è andata a votare. Ed è la stessa gente che o si lamenta o continua a comprare quei giornali, invece di altri.
Ritiene come noi "macabramente comica" una sentenza, nel paese dei mille morti sul lavoro all'anno e del lavoro nero, dove un uomo è stato condannato per aver "minacciato di sbattere in tribuna" un calciatore miliardario che non accettava il cambio di società (con relativo aumento di stipendio)?
Comica, sì.
Naturalmente è passata l’idea che Moggi sia stato condannato a una pena leggera, malgrado fosse il capo della cupola. È credibile che un ex ferroviere avesse più potere, nel calcio, di chi ha grandi gruppi di potere alle spalle, di chi maneggia il petrolio, le centrali Telecom, le televisioni con annessi diritti tv?
Moggi aveva il grande potere del nome Juventus alle spalle e certamente si sapeva muovere sul mercato, la sua arma a disposizione contro i soldi a palate e i bilanci un po’ così degli avversari. Quando la proprietà della Juventus l’ha scaricato, e non si è mai capito bene perché, i giornali amici si sono scatenati. I più duri sono stati la Gazzetta, il Corriere della Sera e la Stampa, nei cui consigli di amministrazione c’è almeno un rappresentante della famiglia Agnelli.
Non ritiene che oltre ad una modifica della legge sulle intercettazioni sia ancora più necessaria una miglior specificazione da parte del legislatore del reato di "associazione a delinquere", visto che in realtà, la grande lezione del processo GEA è che i magistrati utilizzano questa fattispecie di reato in casi in cui non vi è neanche il fumus dell'associazione, con l'unico intento di ottenere da parte del Gip l'autorizzazione ad intercettare?
Le leggi sono buone o comunque perfettibili, ma è tutto inutile se non si cambia radicalmente la struttura della magistratura. In Italia i magistrati non rispondono a nessuno, né al popolo come in America, né al governo o al Parlamento come in Francia o in Inghilterra e per i reati federali anche negli Stati Uniti. Da dieci anni in Italia governano i magistrati, dalla politica alle banche, dalle vallette televisive al calcio. Fanno e disfano governi nazionali e giunte locali, interferiscono sull’esercizio del potere legislativo e sovvertono le decisioni sovrane degli elettori. A Napoli, poi, si occupano dell’associazione a delinquere di Moggi. All’immondizia e alla camorra ci deve pensare il cinema, con Gomorra.
Il presidente Cossiga ha espresso il timore che si facciano comunque delle intercettazioni e solo successivamente viene regolarizzata la loro richiesta; quasi la magistratura dicesse "intercettiamo tutti, vediamo chi resta nella rete". Se questo fosse provato cosa direbbe uno spirito "libertario" come Lei?
Non è provata la falsificazione della richiesta, ma è provato che un’indagine parte da un’ipotesi di reato e poi per effetto delle intercettazioni si continua a procedere su altro. Vi siete mai chiesti come mai ci sono piccole procure di provincia che improvvisamente indagano sull’ex famiglia reale in Svizzera o sul vescovo di una città spagnola o anche solo sui dirigenti RAI? Ripeto, va riformata la magistratura in modo radicale.
Ritiene utile la separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante? Se si, anche Lei, come noi, per caso ha avuto l'impressione, che il magistrato giudicante ha avuto paura di assolvere Moggi per timore di screditare il proprio presidente della ANM, che era il PM del processo?
La ritengo utile, ma insufficiente. Non basta. I magistrati inquirenti devono rispondere a qualcuno, non possono essere irresponsabili per le loro azioni. Abbiamo visto spesso i magistrati ricorrere alla formula "Non poteva non sapere" per incriminare altri potenti.
Tronchetti, secondo Lei, poteva ignorare cosa facevano i Tavaroli-boys in Telecom? Perché in questo caso non sono ricorsi a quella formulazione?
Il principio del "non poteva non sapere", sul piano penale, secondo me è incostituzionale, perché la responsabilità penale è strettamente personale. Nel diritto societario è diverso, ma non conosco gli atti di quel processo, quindi non posso esprimermi. Sennò farei come quelli che parlano della Juventus senza aver letto la sentenza di condanna che dice chiaramente che non c’è stata alcuna partita truccata e che la Juventus non ha commesso alcun illecito sportivo ex articolo 6 del codice FIGC.
Lei è sempre molto critico, come noi del resto, con il presidente Cobolli. Se questi dirigenti trovassero il coraggio di chiedere la revisione dei processi sportivi cambierebbe giudizio?
No. Mi piacerebbe che lo facessero e glielo riconoscerei, ma questo non cancella che cosa hanno fatto in quella primavera-estate. Senza dimenticare la cessione di Ibrahimovic agli indossatori di scudetti altrui, senza la quale a Milano sarebbero rimasti soltanto con lo scudetto a tavolino o a tavaroli.
Secondo Lei uno scudetto non difeso ed indirizzato, insieme ad Ibrahimovic, all'Inter sono il prezzo di qualcosa? Di un patto tra la proprietà della Juve e Moratti-Tronchetti?
Di nuovo, non credo ai complotti. Di certo c’è che in quei mesi gli unici a sostenere Guido Rossi, oltre alla seconda squadra di Milano, è stata la prima squadra di Torino.
Come reputa le dichiarazioni di Cobolli Gigli subito dopo la sentenza Gea?
Quando leggo dichiarazioni di Cobolli passo oltre, anche perché so che da un momento all’altro potrebbe sostenere il contrario.
Come reputa le dichiarazioni di Abete riguardo l'ipotesi di restituzione degli scudetti alla Juve?
Mi spiace, non le conosco.
Come reputa le dichiarazioni di Massimo Moratti in seguito alla sentenza Gea ed alla ventilata ipotesi di restituzione dello scudetto di cartone alla Juve?
Moratti ha parlato? Non so, ho visto sul Corriere che ha scattato fotografie poetiche agli immigrati che spalavano la neve di Milano. Quello che ha fatto lui per gli extracomunitari, non l’ha fatto nessuno. Basta vedere Recoba.
Proprietà Juve, proprietà Inter, ambienti della politica romana vicina a Confindustria e di fede giallorossa. Secondo Lei chi avrebbe avuto più interesse a eliminare Moggi e Giraudo?
La Juve, probabilmente. Moggi e Giraudo ormai agivano da proprietari di fatto, dopo la morte di Umberto Agnelli. Gli indossatori di scudetti altrui non credo, visto che hanno cercato di assumere Moggi.
Secondo Lei quale è stato il motivo per cui illustri avvocati, giuristi e magistrati come Guido Rossi, Ruperto, Borrelli, si sono prestati a gestire processi palesemente irregolari come quelli dell’estate del 2006?
Guido Rossi è come Wolf, il personaggio di Pulp Fiction, uno che risolve problemi. È un grande professionista, sa fare il suo mestiere come nessuno. Borrelli era in pensione, gli mancavano le luci della ribalta dei bei tempi di Mani Pulite e del “rito ambrosiano”.
Il mantra degli inquisitori di Calciopoli: "La Giustizia Sportiva è diversa dalla Giustizia Ordinaria". Alla fine, siamo sicuri, rimarrà loro solo questo argomento. O forse neanche quello?
Sono due cose diverse, è vero. Ma, insisto, le sentenze della giustizia sportiva dimostrano che Moggi non ha alterato alcuna partita. Ci sono stati comportamenti sportivamente sleali, ex articolo 1 del codice, che certamente facevano anche gli altri, ma che era giusto punire. Ma per nessuno di questi comportamenti era prevista la retrocessione e la revoca degli scudetti. L’ha detto allora anche Piero Sandulli, l’autore della sentenza di condanna: “Non ci sono illeciti, il campionato non è stato falsato, era tutto regolare, l’unico dubbio riguarda la partita Lecce-Parma”. E qualche giorno fa ha ribadito il concetto, specificando che l’illecito per cui è stata condannata la Juventus “non esisteva, era una falla del sistema giuridico, è stato da noi introdotto”. I giudici non devono introdurre niente, devono valutare i fatti e applicare le leggi. Non è stato così.
Nel caso in cui anche a Napoli cadano le accuse di associazione a delinquere cosa dovrebbe fare la Juventus che è anche una S.p.A quotata in borsa?
Dovrebbe fare quello che non ha fatto quando sono state lanciate le accuse: difendersi.
Quelle dimissioni da tifoso Juventino (date in "C'era una volta la Juventus" del 15 agosto 2006), le hai poi ritirate?
Guardo sempre le partite, ovviamente. Ma con lo spirito di un tifoso della Fiorentina o della Lazio. Mi diverto, ma non mi illudo, perché so che non siamo i più forti. In questo senso dico che “la Juventus non c’è più”.
Ipotesi: La Juventus tra 4 mesi vince la Champions League. Sarebbe sufficiente secondo Lei a questa proprietà e a questa dirigenza per mondarsi definitivamente dal peccato originale dell’agosto 2006?
No. E non credo che accadrà: Ibra è più forte. Però non sarebbe affatto male se i vecchietti e i ragazzini della vecchia squadra distrutta da calciopoli portassero a casa la Champions, dopo il Mondiale del 2006.
Probabilmente, qualche volta Le sarà capitato di leggere il sito ju29ro.com o il blog collegato: cosa ne pensa del nostro lavoro? L'ha trovato utile?
Ci trovo molte notizie e spunti. Bravi, continuate così. E spero che il prossimo anno possiate cambiare nome.
dal blog Camillo, di Christian Rocca
Abbiamo percorso un cammino parallelo con lui, spesso condividendo ogni virgola di quello che usciva dalla sua penna allo stesso tempo pungente e dissacrante. Leggere il suo Blog ci ha aiutato a superare momenti difficili e a trovare le motivazioni per continuare a combattere. È giunto il momento di ospitarlo sul nostro sito per una intervista senza peli sulla lingua. Un'intervista da Juventinovero.
Buongiorno Dr. Rocca, ci descrive in breve cosa rappresenta per Lei la Juventus?
Una squadra di calcio.
In questi giorni molte persone, addette ai lavori ma anche semplici tifosi, stanno sorprendentemente cambiando atteggiamento nei confronti di Farsopoli e degli accadimenti dell’estate 2006. Come giudica questo cambiamento?
Mi spiace, non ci credo. Il bar dello sport non chiuderà mai.
Condivide il pensiero di Enzo Biagi che forse lo scandalo Calciopoli è servito per dare in pasto un mostro al popolo e per distrarre il popolino dal più grande scandalo degli ultimi anni, ovvero lo scandalo Telecom?
No, non lo condivido. Questo è complottismo e io non credo mai ai complotti. Altra cosa è, invece, l’innegabile intreccio societario tra la proprietà di una squadra di calcio di Milano e gli ex azionisti e dirigenti di Telecom. I nomi di Massimo Moratti, Tronchetti Provera, Carlo Buora e Guido Rossi sono o sono stati nella proprietà o nel consiglio di amministrazione di entrambe le società. E Rossi ha gestito la Federcalcio nei pochi mesi in cui la Juventus è stata punita e scippata di due scudetti vinti sul campo con merito. Si sa, inoltre, che la società di calcio ha chiesto a un alto dirigente di Telecom, accusato di essere a capo della struttura che conduceva indagini illegali e per questo in galera, di pedinare e quant’altro Moggi, un arbitro di Serie A, calciatori della stessa squadra e probabilmente anche altri dirigenti e tesserati federali. I fatti sono questi, ma non credo ai complotti.
Lei conosce molto bene gli Stati Uniti e la loro cultura, politica e non. Secondo Lei, un caso simile a Farsopoli sarebbe stato possibile negli USA? Cosa c'è di diverso rispetto all'Italia, soprattutto per quanto riguarda il mondo dei media e quello sportivo?
Nel 2007 la migliore squadra del torneo di football americano NFL, i New England Patriots, ha spiato illecitamente le tattiche d’attacco degli avversari. Un illecito sportivo. La NFL ha condannato l’allenatore a mezzo milione di dollari e i Patriots a 250 mila dollari di multa e alla rinuncia di una prima scelta universitaria l’anno successivo. Nessuno si è sognato però di contestare i risultati ottenuti sul campo. Anzi, ancora oggi, si ricorda il prodigioso record conquistato quell’anno dai Patriots di 18 vittorie su 18. I Patriots hanno perso solo in finale, al Superbowl, contro i Giants di New York, all’ultimo secondo. Ogni ordine professionale ha un suo codice etico e chi non lo rispetta subisce, giustamente, pesanti sanzioni; come è possibile che la quasi totalità dei giornalisti continui a dare un'informazione distorta senza che nessuno di essi subisca il benchè minimo provvedimento? Come è possibile che a tutt'oggi ci siano giornalisti che vanno in televisione, ad esempio, a riproporre la favola di Paparesta chiuso nello spogliatoio?
Nessun giornalista si sente in dovere di difendere la professionalità della propria categoria?
Sono contrario agli ordini professionali e in particolare a quello dei giornalisti. L’Italia è l’unico paese occidentale che ha un ordine dei giornalisti, un lascito del fascismo. Nel resto del mondo sanno che non ha alcun senso, perché a nessuno può essere negato il diritto di scrivere su un giornale. Anni fa ho anche raccolto le firme per un referendum, purtroppo la gente non è andata a votare. Ed è la stessa gente che o si lamenta o continua a comprare quei giornali, invece di altri.
Ritiene come noi "macabramente comica" una sentenza, nel paese dei mille morti sul lavoro all'anno e del lavoro nero, dove un uomo è stato condannato per aver "minacciato di sbattere in tribuna" un calciatore miliardario che non accettava il cambio di società (con relativo aumento di stipendio)?
Comica, sì.
Naturalmente è passata l’idea che Moggi sia stato condannato a una pena leggera, malgrado fosse il capo della cupola. È credibile che un ex ferroviere avesse più potere, nel calcio, di chi ha grandi gruppi di potere alle spalle, di chi maneggia il petrolio, le centrali Telecom, le televisioni con annessi diritti tv?
Moggi aveva il grande potere del nome Juventus alle spalle e certamente si sapeva muovere sul mercato, la sua arma a disposizione contro i soldi a palate e i bilanci un po’ così degli avversari. Quando la proprietà della Juventus l’ha scaricato, e non si è mai capito bene perché, i giornali amici si sono scatenati. I più duri sono stati la Gazzetta, il Corriere della Sera e la Stampa, nei cui consigli di amministrazione c’è almeno un rappresentante della famiglia Agnelli.
Non ritiene che oltre ad una modifica della legge sulle intercettazioni sia ancora più necessaria una miglior specificazione da parte del legislatore del reato di "associazione a delinquere", visto che in realtà, la grande lezione del processo GEA è che i magistrati utilizzano questa fattispecie di reato in casi in cui non vi è neanche il fumus dell'associazione, con l'unico intento di ottenere da parte del Gip l'autorizzazione ad intercettare?
Le leggi sono buone o comunque perfettibili, ma è tutto inutile se non si cambia radicalmente la struttura della magistratura. In Italia i magistrati non rispondono a nessuno, né al popolo come in America, né al governo o al Parlamento come in Francia o in Inghilterra e per i reati federali anche negli Stati Uniti. Da dieci anni in Italia governano i magistrati, dalla politica alle banche, dalle vallette televisive al calcio. Fanno e disfano governi nazionali e giunte locali, interferiscono sull’esercizio del potere legislativo e sovvertono le decisioni sovrane degli elettori. A Napoli, poi, si occupano dell’associazione a delinquere di Moggi. All’immondizia e alla camorra ci deve pensare il cinema, con Gomorra.
Il presidente Cossiga ha espresso il timore che si facciano comunque delle intercettazioni e solo successivamente viene regolarizzata la loro richiesta; quasi la magistratura dicesse "intercettiamo tutti, vediamo chi resta nella rete". Se questo fosse provato cosa direbbe uno spirito "libertario" come Lei?
Non è provata la falsificazione della richiesta, ma è provato che un’indagine parte da un’ipotesi di reato e poi per effetto delle intercettazioni si continua a procedere su altro. Vi siete mai chiesti come mai ci sono piccole procure di provincia che improvvisamente indagano sull’ex famiglia reale in Svizzera o sul vescovo di una città spagnola o anche solo sui dirigenti RAI? Ripeto, va riformata la magistratura in modo radicale.
Ritiene utile la separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante? Se si, anche Lei, come noi, per caso ha avuto l'impressione, che il magistrato giudicante ha avuto paura di assolvere Moggi per timore di screditare il proprio presidente della ANM, che era il PM del processo?
La ritengo utile, ma insufficiente. Non basta. I magistrati inquirenti devono rispondere a qualcuno, non possono essere irresponsabili per le loro azioni. Abbiamo visto spesso i magistrati ricorrere alla formula "Non poteva non sapere" per incriminare altri potenti.
Tronchetti, secondo Lei, poteva ignorare cosa facevano i Tavaroli-boys in Telecom? Perché in questo caso non sono ricorsi a quella formulazione?
Il principio del "non poteva non sapere", sul piano penale, secondo me è incostituzionale, perché la responsabilità penale è strettamente personale. Nel diritto societario è diverso, ma non conosco gli atti di quel processo, quindi non posso esprimermi. Sennò farei come quelli che parlano della Juventus senza aver letto la sentenza di condanna che dice chiaramente che non c’è stata alcuna partita truccata e che la Juventus non ha commesso alcun illecito sportivo ex articolo 6 del codice FIGC.
Lei è sempre molto critico, come noi del resto, con il presidente Cobolli. Se questi dirigenti trovassero il coraggio di chiedere la revisione dei processi sportivi cambierebbe giudizio?
No. Mi piacerebbe che lo facessero e glielo riconoscerei, ma questo non cancella che cosa hanno fatto in quella primavera-estate. Senza dimenticare la cessione di Ibrahimovic agli indossatori di scudetti altrui, senza la quale a Milano sarebbero rimasti soltanto con lo scudetto a tavolino o a tavaroli.
Secondo Lei uno scudetto non difeso ed indirizzato, insieme ad Ibrahimovic, all'Inter sono il prezzo di qualcosa? Di un patto tra la proprietà della Juve e Moratti-Tronchetti?
Di nuovo, non credo ai complotti. Di certo c’è che in quei mesi gli unici a sostenere Guido Rossi, oltre alla seconda squadra di Milano, è stata la prima squadra di Torino.
Come reputa le dichiarazioni di Cobolli Gigli subito dopo la sentenza Gea?
Quando leggo dichiarazioni di Cobolli passo oltre, anche perché so che da un momento all’altro potrebbe sostenere il contrario.
Come reputa le dichiarazioni di Abete riguardo l'ipotesi di restituzione degli scudetti alla Juve?
Mi spiace, non le conosco.
Come reputa le dichiarazioni di Massimo Moratti in seguito alla sentenza Gea ed alla ventilata ipotesi di restituzione dello scudetto di cartone alla Juve?
Moratti ha parlato? Non so, ho visto sul Corriere che ha scattato fotografie poetiche agli immigrati che spalavano la neve di Milano. Quello che ha fatto lui per gli extracomunitari, non l’ha fatto nessuno. Basta vedere Recoba.
Proprietà Juve, proprietà Inter, ambienti della politica romana vicina a Confindustria e di fede giallorossa. Secondo Lei chi avrebbe avuto più interesse a eliminare Moggi e Giraudo?
La Juve, probabilmente. Moggi e Giraudo ormai agivano da proprietari di fatto, dopo la morte di Umberto Agnelli. Gli indossatori di scudetti altrui non credo, visto che hanno cercato di assumere Moggi.
Secondo Lei quale è stato il motivo per cui illustri avvocati, giuristi e magistrati come Guido Rossi, Ruperto, Borrelli, si sono prestati a gestire processi palesemente irregolari come quelli dell’estate del 2006?
Guido Rossi è come Wolf, il personaggio di Pulp Fiction, uno che risolve problemi. È un grande professionista, sa fare il suo mestiere come nessuno. Borrelli era in pensione, gli mancavano le luci della ribalta dei bei tempi di Mani Pulite e del “rito ambrosiano”.
Il mantra degli inquisitori di Calciopoli: "La Giustizia Sportiva è diversa dalla Giustizia Ordinaria". Alla fine, siamo sicuri, rimarrà loro solo questo argomento. O forse neanche quello?
Sono due cose diverse, è vero. Ma, insisto, le sentenze della giustizia sportiva dimostrano che Moggi non ha alterato alcuna partita. Ci sono stati comportamenti sportivamente sleali, ex articolo 1 del codice, che certamente facevano anche gli altri, ma che era giusto punire. Ma per nessuno di questi comportamenti era prevista la retrocessione e la revoca degli scudetti. L’ha detto allora anche Piero Sandulli, l’autore della sentenza di condanna: “Non ci sono illeciti, il campionato non è stato falsato, era tutto regolare, l’unico dubbio riguarda la partita Lecce-Parma”. E qualche giorno fa ha ribadito il concetto, specificando che l’illecito per cui è stata condannata la Juventus “non esisteva, era una falla del sistema giuridico, è stato da noi introdotto”. I giudici non devono introdurre niente, devono valutare i fatti e applicare le leggi. Non è stato così.
Nel caso in cui anche a Napoli cadano le accuse di associazione a delinquere cosa dovrebbe fare la Juventus che è anche una S.p.A quotata in borsa?
Dovrebbe fare quello che non ha fatto quando sono state lanciate le accuse: difendersi.
Quelle dimissioni da tifoso Juventino (date in "C'era una volta la Juventus" del 15 agosto 2006), le hai poi ritirate?
Guardo sempre le partite, ovviamente. Ma con lo spirito di un tifoso della Fiorentina o della Lazio. Mi diverto, ma non mi illudo, perché so che non siamo i più forti. In questo senso dico che “la Juventus non c’è più”.
Ipotesi: La Juventus tra 4 mesi vince la Champions League. Sarebbe sufficiente secondo Lei a questa proprietà e a questa dirigenza per mondarsi definitivamente dal peccato originale dell’agosto 2006?
No. E non credo che accadrà: Ibra è più forte. Però non sarebbe affatto male se i vecchietti e i ragazzini della vecchia squadra distrutta da calciopoli portassero a casa la Champions, dopo il Mondiale del 2006.
Probabilmente, qualche volta Le sarà capitato di leggere il sito ju29ro.com o il blog collegato: cosa ne pensa del nostro lavoro? L'ha trovato utile?
Ci trovo molte notizie e spunti. Bravi, continuate così. E spero che il prossimo anno possiate cambiare nome.
dal blog Camillo, di Christian Rocca
Letizia, prepara il sale
Le previsioni meteo per la prossima settimana parlano di possibili nevicate in Padania.
Non sono un fanatico della materia ,ma quel "nevicate" mi ha messo il prurito addosso.
Considerata la disastrosa inadeguatezza con cui sono state affrontate le precipitazioni dell'Epifania, è lecito chiedersi cosa riuscirà a combinare la Moratti stavolta.
Per informazione, mentre la città della casta è stata ripulita, qui in periferia si naviga fra cumuli di neve marcia e ghiacciata.
Con noi il destino è cinico e baro.
Sarebbe bastato un giorno di foen e saremmo ripuliti, ed invece queste previsioni ci fanno capire che la natura l'avrà vinta sino all'arrivo della primavera.
Ma almeno la Letizia si ricorderà, fra un Linate e una Malpensa, di comprare il sale?
Non sono un fanatico della materia ,ma quel "nevicate" mi ha messo il prurito addosso.
Considerata la disastrosa inadeguatezza con cui sono state affrontate le precipitazioni dell'Epifania, è lecito chiedersi cosa riuscirà a combinare la Moratti stavolta.
Per informazione, mentre la città della casta è stata ripulita, qui in periferia si naviga fra cumuli di neve marcia e ghiacciata.
Con noi il destino è cinico e baro.
Sarebbe bastato un giorno di foen e saremmo ripuliti, ed invece queste previsioni ci fanno capire che la natura l'avrà vinta sino all'arrivo della primavera.
Ma almeno la Letizia si ricorderà, fra un Linate e una Malpensa, di comprare il sale?
09 gennaio 2009
Un altro di quelli di cui si è perso lo stampino
È esagerato definire Beppe Chiappella una leggenda del calcio? No, dal momento che è uno di quei rari personaggi che prima in campo e poi in panchina hanno riempito l'immaginario dei calciofili di due generazioni. Milanese di San Donato, classe 1924, con gavetta giovanile in C nel Redaelli (1942-43) e nella Stradellina (1945-46). Nel 1946 il salto in B nel Pisa, e nel 1949 l'approdo in maglia viola, di cui diventa una istituzione. È l'inizio del grande amore tra Beppe e Firenze. Gioca a Firenze fino al 15 maggio 1960: 329 partite, 5 gol, e uno scudetto storico nel 1956. Non vestirà nessun'altra maglia. Nazionale 17 volte. Poi la carriera da allenatore: Fiorentina (1964-67), Napoli (1968-73), Cagliari (1973-75), Inter (1975-77), ancora Fiorentina (1977-78) e Hellas Verona (1978-79). Beppe Chiappella ha risposto con grande disponibilità al fuoco di fila delle nostre domande. Lo ringraziamo di cuore.
C'è un sogno calcistico che non è riuscito a realizzare?
Beppe Chiappella: Principalmente tre. Ai tempi in cui giocavo nella Fiorentina, non avere disputato la finale di Coppa dei Campioni contro il Real Madrid. Mi ero infortunato due giorni prima. Poi il non avere avuto la chance di allenare la Nazionale. Infine, non essere il detentore del record di presenze in maglia viola. Mi superò Antognoni, anche se il suo computo comprendeva anche spezzoni di partita, mentre il mio le presenze di 90 minuti.
E quello che invece ha realizzato?
B.C.: Giocare in Nazionale, anche se non sono riuscito a giocare un mondiale: dopo le qualificazioni fu chiamato il blocco dell'Inter, e non chi portò gli azzurri alla fase finale.
Davanti a quale giocatore ha provato l'emozione più forte?
B.C.: Davanti a Pelè, quando giocai in Italia-Brasile a S.Siro. Vincemmo 3 a 0, ma la sua classe illuminò lo stadio per tutta la partita.
A parte l' Inter, quale squadra le è rimasta nel cuore?
B.C.: La Fiorentina. Ho giocato e allenato per talmente tanti anni a Firenze da ritenerla tuttora la mia seconda casa.
Come si può capire se un ragazzino può diventare un buon calciatore?
B.C.: Dall' intelligenza tattica e dalla tecnica di base. Ma se durante la crescita queste doti non si sviluppano, il ragazzino tenderà a perdersi.
Qual è il fondamentale più importante nel calcio?
B.C.: Il passaggio. Senza la padronanza del passaggio diventa impossibile costruire il gioco. Un giocatore che non ha questo fondamentale non potrà mai arrivare a certi livelli.
Da allenatore, cosa mancò alla sua Inter per vincere?
B.C.: Era un gruppo difficile da gestire, dove mancava l'amalgama. Nei momenti di difficoltà, questo fattore si è fatto sentire.
Lei fu uno dei primi allenatori a guidare l'Inter dopo la fine del grande ciclo: quali difficoltà trovò?
B.C.: Trovai un ambiente in parte già sazio di vittorie, e giocatori arrivati dopo, che facevano fatica a integrarsi col resto del gruppo. In qualsiasi squadra, dopo un ciclo, è difficile ripetersi subito. Io presi la squadra in un momento di transizione. Mancava la consapevolezza nei propri mezzi e la mentalità vincente che si perse dopo gli anni della Grande Inter.
Nella sua prima estate in nerazzurro (1975) arrivò Giacomo Libera dal Varese, con grandi aspettative. Perchè fallì?
B.C.: Era un ottimo giocatore, ma il passaggio dal Varese all'Inter fu per lui uno stacco difficile da superare. Le pressioni a Milano erano e sono enormi, e dopo le prime critiche lui non riuscì a giocare - specialmente a S.Siro - con la tranquillità necessaria per riuscire a mostrare il suo valore.
La sua seconda stagione in nerazzurro fu la più amara: Mazzola a fine carriera, la Coppa Italia persa in finale col Milan. Si aspettava di più?
B.C.: Sì. Mi aspettavo di vincere la Coppa Italia, perché pensavo di potere battere il Milan in finale. Ma comunque fu una stagione positiva, perché l'Inter chiuse per la seconda volta al quarto posto, dopo un bienno in cui era andata peggio.
In che modo le fu comunicato che non sarebbe più stato l' allenatore dell'Inter ?
B.C.: Sapevo già che se non avessi vinto la Coppa Italia sarei stato allontanato.
Col senno di poi, avrebbe fatto scelte diverse in quei due anni?
B.C.: Non mi pento mai delle scelte fatte, perché tutte erano dettate da una logica societaria.
Chi è stato il più grande giocatore della storia dell'Inter?
B.C.: Giuseppe Meazza. Un bomber con la sua classe è difficile vederlo anche oggi.
Qual è stato il momento più emozionante della sua carriera?
B.C.: Quando in occasione dell'amichevole tra Egitto e Italia a Il Cairo venne convocato il blocco della Fiorentina, della quale facevo parte. Fu la mia prima convocazione in Nazionale.
Come valuta nel complesso la sua carriera di allenatore?
B.C.: Piena di soddisfazioni, dettate dal fatto di avere conosciuto piazze come Napoli e Cagliari, Firenze e Milano, Verona e Pisa. Un'esperienza stupenda, avendo avuto la possibilità di allenare grandi squadre e riuscendo a sperimentare le differenze del tifo, da nord a sud, sempre con la consapevolezza di lavorare per tentare di rendere felici tanti tifosi. Il loro calore è sempre stato uno stimolo per il mio lavoro.
Meglio il calcio di adesso o quello degli anni settanta?
B.C.: Quello degli anni settanta era un calcio più lento, che prediligeva la tecnica di base. Ora, con i ritmi altissimi che ci sono, la forza fisica è diventata la base del gioco.
Il ricordo più bello e quello più brutto del Chiappella giocatore.
B.C.: Il più brutto è la finale di Coppa Campioni persa dalla Fiorentina a Madrid, dove non potei giocare: da fuori fu una sofferenza vedere i miei compagni in difficoltà e non potergli dare una mano. Il più bello è lo scudetto dei record nella stagione 1955-56, dove solo all'ultima giornata a Genova perdemmo l'imbattibilità.
Le piace il calcio televisivo o le dà la nausea?
B.C.: Sinceramente non mi piace. Troppe partite trasmesse in TV annoiano lo spettatore e allontanano la gente dagli stadi. Preferirei stadi più pieni e meno partite alla televisione.
Se non avesse sfondato nel calcio, quale mestiere avrebbe fatto?
B.C.: L' incisore d'argento. Nel periodo in cui giocavo a Stradella, avevo iniziato a fare questo lavoro a 14 anni, presso un orefice a Milano.
Pensa di avere più dato o ricevuto dal calcio?
B.C.: Ho dato molto, ma ho ricevuto tantissimo. Perché certe emozioni che il calcio mi ha trasmesso sono impossibili da descrivere. Il fatto di essere da tanti anni lontano dagli stadi non ha fatto dimenticare ai tifosi le mie gesta. E tuttora mi fanno festa, ogni qual volta mi riconoscono.
(Un ringraziamento a Andrea e Alessandro Polenghi, 4-4-2 Pub Milano)
da La Settimana Sportiva
C'è un sogno calcistico che non è riuscito a realizzare?
Beppe Chiappella: Principalmente tre. Ai tempi in cui giocavo nella Fiorentina, non avere disputato la finale di Coppa dei Campioni contro il Real Madrid. Mi ero infortunato due giorni prima. Poi il non avere avuto la chance di allenare la Nazionale. Infine, non essere il detentore del record di presenze in maglia viola. Mi superò Antognoni, anche se il suo computo comprendeva anche spezzoni di partita, mentre il mio le presenze di 90 minuti.
E quello che invece ha realizzato?
B.C.: Giocare in Nazionale, anche se non sono riuscito a giocare un mondiale: dopo le qualificazioni fu chiamato il blocco dell'Inter, e non chi portò gli azzurri alla fase finale.
Davanti a quale giocatore ha provato l'emozione più forte?
B.C.: Davanti a Pelè, quando giocai in Italia-Brasile a S.Siro. Vincemmo 3 a 0, ma la sua classe illuminò lo stadio per tutta la partita.
A parte l' Inter, quale squadra le è rimasta nel cuore?
B.C.: La Fiorentina. Ho giocato e allenato per talmente tanti anni a Firenze da ritenerla tuttora la mia seconda casa.
Come si può capire se un ragazzino può diventare un buon calciatore?
B.C.: Dall' intelligenza tattica e dalla tecnica di base. Ma se durante la crescita queste doti non si sviluppano, il ragazzino tenderà a perdersi.
Qual è il fondamentale più importante nel calcio?
B.C.: Il passaggio. Senza la padronanza del passaggio diventa impossibile costruire il gioco. Un giocatore che non ha questo fondamentale non potrà mai arrivare a certi livelli.
Da allenatore, cosa mancò alla sua Inter per vincere?
B.C.: Era un gruppo difficile da gestire, dove mancava l'amalgama. Nei momenti di difficoltà, questo fattore si è fatto sentire.
Lei fu uno dei primi allenatori a guidare l'Inter dopo la fine del grande ciclo: quali difficoltà trovò?
B.C.: Trovai un ambiente in parte già sazio di vittorie, e giocatori arrivati dopo, che facevano fatica a integrarsi col resto del gruppo. In qualsiasi squadra, dopo un ciclo, è difficile ripetersi subito. Io presi la squadra in un momento di transizione. Mancava la consapevolezza nei propri mezzi e la mentalità vincente che si perse dopo gli anni della Grande Inter.
Nella sua prima estate in nerazzurro (1975) arrivò Giacomo Libera dal Varese, con grandi aspettative. Perchè fallì?
B.C.: Era un ottimo giocatore, ma il passaggio dal Varese all'Inter fu per lui uno stacco difficile da superare. Le pressioni a Milano erano e sono enormi, e dopo le prime critiche lui non riuscì a giocare - specialmente a S.Siro - con la tranquillità necessaria per riuscire a mostrare il suo valore.
La sua seconda stagione in nerazzurro fu la più amara: Mazzola a fine carriera, la Coppa Italia persa in finale col Milan. Si aspettava di più?
B.C.: Sì. Mi aspettavo di vincere la Coppa Italia, perché pensavo di potere battere il Milan in finale. Ma comunque fu una stagione positiva, perché l'Inter chiuse per la seconda volta al quarto posto, dopo un bienno in cui era andata peggio.
In che modo le fu comunicato che non sarebbe più stato l' allenatore dell'Inter ?
B.C.: Sapevo già che se non avessi vinto la Coppa Italia sarei stato allontanato.
Col senno di poi, avrebbe fatto scelte diverse in quei due anni?
B.C.: Non mi pento mai delle scelte fatte, perché tutte erano dettate da una logica societaria.
Chi è stato il più grande giocatore della storia dell'Inter?
B.C.: Giuseppe Meazza. Un bomber con la sua classe è difficile vederlo anche oggi.
Qual è stato il momento più emozionante della sua carriera?
B.C.: Quando in occasione dell'amichevole tra Egitto e Italia a Il Cairo venne convocato il blocco della Fiorentina, della quale facevo parte. Fu la mia prima convocazione in Nazionale.
Come valuta nel complesso la sua carriera di allenatore?
B.C.: Piena di soddisfazioni, dettate dal fatto di avere conosciuto piazze come Napoli e Cagliari, Firenze e Milano, Verona e Pisa. Un'esperienza stupenda, avendo avuto la possibilità di allenare grandi squadre e riuscendo a sperimentare le differenze del tifo, da nord a sud, sempre con la consapevolezza di lavorare per tentare di rendere felici tanti tifosi. Il loro calore è sempre stato uno stimolo per il mio lavoro.
Meglio il calcio di adesso o quello degli anni settanta?
B.C.: Quello degli anni settanta era un calcio più lento, che prediligeva la tecnica di base. Ora, con i ritmi altissimi che ci sono, la forza fisica è diventata la base del gioco.
Il ricordo più bello e quello più brutto del Chiappella giocatore.
B.C.: Il più brutto è la finale di Coppa Campioni persa dalla Fiorentina a Madrid, dove non potei giocare: da fuori fu una sofferenza vedere i miei compagni in difficoltà e non potergli dare una mano. Il più bello è lo scudetto dei record nella stagione 1955-56, dove solo all'ultima giornata a Genova perdemmo l'imbattibilità.
Le piace il calcio televisivo o le dà la nausea?
B.C.: Sinceramente non mi piace. Troppe partite trasmesse in TV annoiano lo spettatore e allontanano la gente dagli stadi. Preferirei stadi più pieni e meno partite alla televisione.
Se non avesse sfondato nel calcio, quale mestiere avrebbe fatto?
B.C.: L' incisore d'argento. Nel periodo in cui giocavo a Stradella, avevo iniziato a fare questo lavoro a 14 anni, presso un orefice a Milano.
Pensa di avere più dato o ricevuto dal calcio?
B.C.: Ho dato molto, ma ho ricevuto tantissimo. Perché certe emozioni che il calcio mi ha trasmesso sono impossibili da descrivere. Il fatto di essere da tanti anni lontano dagli stadi non ha fatto dimenticare ai tifosi le mie gesta. E tuttora mi fanno festa, ogni qual volta mi riconoscono.
(Un ringraziamento a Andrea e Alessandro Polenghi, 4-4-2 Pub Milano)
da La Settimana Sportiva
Letizia rintronata
Milano ha retto benissimo il confronto con altre metropoli europee, e se guardiamo a Marsiglia si è comportata meglio” dice Letizia Moratti alla Repubblica (9 gennaio).
Milano meglio di Marsiglia? Ma perché la Moratti si fa preparare le sue dichiarazioni dai Monty Python.
L'Opinione, del 9 gennaio 2009
Lo ricordate il Pilli, con la bavetta alla bocca, che in diretta tv insultava due sindacalisti leghisti in una rimessa tramviaria?
Più dignitoso.
Milano meglio di Marsiglia? Ma perché la Moratti si fa preparare le sue dichiarazioni dai Monty Python.
L'Opinione, del 9 gennaio 2009
Lo ricordate il Pilli, con la bavetta alla bocca, che in diretta tv insultava due sindacalisti leghisti in una rimessa tramviaria?
Più dignitoso.
08 gennaio 2009
La Moratti peggio di Pillitteri
Invece della carezza meditterranea è arrivata una buona navicata. Trenta centimetri, non un metro come nell'86, quando le nefandezze architettoniche del Palasport crollarono al suolo come cartapesta.
Allora trascorremmo tre giorni da incubo, sotterrati dalla neve e dalla inadeguatezza della giunta Pillitteri.
Ma la giustificazione, seppure miserrima, fu che l'evento era veramente straordinario per le nostre latitudini.
Questa volta 30 cm. Duecento chilometri a nord di Milano, non in Lapponia, rimettono in sesto le città in una notte.
Qui, sotto il regno del clan Moratti, si è fatta la figura dei Cairoti che vedono la neve ogni mille anni. Niente spazzaneve, niente spalatori, niente sale perché l'efficiente amministrazione Expo 2015 si era dimenticata di acquistarlo. Se non mettavamo un po' di compassione alla Regione Friuli, oggi avremmo dovuto girare con i ramponi.
Il Sindaco ha naturalmente abbozzato scuse puerili, dopo essersi presentata alle 12 nel suo ufficio(dormito bene?), ha fatto un po' di disinformazione sulla frequenza nelle scuole, ed è poi tornata nei suoi appartamenti.
Nella classifica dei peggiori era primo l'inossidabile Pillitteri. Non più da ieri. La Letizia in due anni ha fatto tutto il peggio possibile.
Se Berlusconi non fosse ormai un brianzolo inurbato a Roma, provvederebbe d'autorità al Commissariamento del Comune che gli ha dato il potere politico.
Allora trascorremmo tre giorni da incubo, sotterrati dalla neve e dalla inadeguatezza della giunta Pillitteri.
Ma la giustificazione, seppure miserrima, fu che l'evento era veramente straordinario per le nostre latitudini.
Questa volta 30 cm. Duecento chilometri a nord di Milano, non in Lapponia, rimettono in sesto le città in una notte.
Qui, sotto il regno del clan Moratti, si è fatta la figura dei Cairoti che vedono la neve ogni mille anni. Niente spazzaneve, niente spalatori, niente sale perché l'efficiente amministrazione Expo 2015 si era dimenticata di acquistarlo. Se non mettavamo un po' di compassione alla Regione Friuli, oggi avremmo dovuto girare con i ramponi.
Il Sindaco ha naturalmente abbozzato scuse puerili, dopo essersi presentata alle 12 nel suo ufficio(dormito bene?), ha fatto un po' di disinformazione sulla frequenza nelle scuole, ed è poi tornata nei suoi appartamenti.
Nella classifica dei peggiori era primo l'inossidabile Pillitteri. Non più da ieri. La Letizia in due anni ha fatto tutto il peggio possibile.
Se Berlusconi non fosse ormai un brianzolo inurbato a Roma, provvederebbe d'autorità al Commissariamento del Comune che gli ha dato il potere politico.
05 gennaio 2009
Le bianche Tele
Oggi, forse il vero primo giorno del 2009 che si possa definire freddo, la natura ha dato di nuovo spettacolo: le gelate notturne e del mattino, imbiancandole di brina, hanno dato visibilità alle splendide architetture delle tele di ragno di cui normalmente non ci accorgiamo.
da Ali e Radici
Quello che ci fa sopportare il freddo polare di questi giorni è il miracolo meraviglioso della galaverna. Erano almeno dieci anni che non vedevo i portentosi ricami dei cristalli ghiacciati e la fiaba di un paesaggio fatto di alberi candidi e prati reticolati.
Tanto bello da sorseggiare con moderazione.
Adesso non sarebbe sgradito un sospiro meditterraneo di foen.
da Ali e Radici
Quello che ci fa sopportare il freddo polare di questi giorni è il miracolo meraviglioso della galaverna. Erano almeno dieci anni che non vedevo i portentosi ricami dei cristalli ghiacciati e la fiaba di un paesaggio fatto di alberi candidi e prati reticolati.
Tanto bello da sorseggiare con moderazione.
Adesso non sarebbe sgradito un sospiro meditterraneo di foen.
Leghista d'antan
Siamo nelle mani dei borghesi, dei burocratici, degli accademici, dei posapiano, dei piacciconi.
Non basta aprire le finestre, bisogna sfondare le porte.
Le riviste non bastano, ci vogliono le pedate.
Giovanni Papini
Discorso di Roma, 1913
Non basta aprire le finestre, bisogna sfondare le porte.
Le riviste non bastano, ci vogliono le pedate.
Giovanni Papini
Discorso di Roma, 1913
03 gennaio 2009
Ritorno alla base
Ricalato nelle nebbia gelida della pianura padana, il primo rimpianto dell'Egitto è il clima primaverile e la tintarella di Assuan sotto un sole cocente.
Tutto il resto è un intrico di sensazioni, di meraviglie ed anche di delusioni.
Nella mente restano scolpiti gli incredibili templi dell'Alto Nilo, imponenti, meravigliosi, imprese architettoniche che sembra improbabile siano solo il frutto dell'ingegneria di 5.000 anni fa.
Visitando Abu Simbel, salvato dalle acque della diga Nasser dagli italiani, o i templi gemelli di Luxor, mi sono tornate alla mente le teorie di Peter Kolosimo che, in libri letti in gioventù, proclamava la natura extra-terrestre dell'edilizia faraonica.
Parliamone.
Tanta audacia ingegneristica non può essere morta con le dinastie egizie. Forse è semplicemente finito il suggerimento scientifico. O almeno così mi piace credere.
In un villaggio nubiano, visitato per diletto turistico, ho appreso una grande lezione di civiltà.
In una scuola professionale, un gruppo di ragazzine si divideva un povero e modesto pasto. Polpette di fava. È stato sufficiente fermarsi ad osservare i loro disegni, perché molte di loro mi offrissero di condividere il loro cibo. L'intuito ha voluto che non rifiutassi, che non pensassi a norme igieniche spesso raccomandate, che cogliessi il dono di questa gratuita solidarietà.
Quelle mano tesa è stata una sconvolgente dimostrazione di fratellanza che solo gli ultimi della terra riescono ancora a coltivare nei loro cuori.
Ho trovato una chiesa cattolica, dei padri comboniani, a Luxor per la messa di Natale.
Non mi ha stupito il colore caldo del sole che inondava l'altare. Un'esperienza già vissuta sul Mar Rosso lo scorso anno.
Mi ha colpito la presenza di un buon numero di egiziani e la totale assenza dei turisti del mio gruppo.
La religione, qualunque essa sia, per noi Italiani è un'esteriorità di gesti superficiali, quali il bell'applauso ai funerali o il santo subito che non si nega a nessuno, neanche all'uomo di Arcore per le vie di Napoli.
Per gli egiziani cristiani, che pure sono il 10% della popolazione, frequentare una chiesa è un atto di testimonianza coraggiosa in un universo dominato da musulmani certamente non amichevoli.
Cairo è una città di una bruttezza emblematica. Quindici milioni di povere anime affollano rari quartieri lussuosi ed immense periferie sporche, sovrappopolate, trasudanti odori sgradevoli.
Per 300.000 c'è un girone infernale ancora peggiore. Il cimitero storico, in cui convivono morti e finti vivi. È detta, appunto, "la città dei morti viventi", offerta dal potere come soluzione provvisoria agli sfollati del canale di Suez nel 1956.
Mi sono chiesto se questo, fra duecento o trecento anni, sarà il destino di Napoli ma anche di Roma o Milano.
In questo sfacelo, sopravvivono cedendo ogni giorno spazi della loro solitaria maestà, le Piramidi, la Sfinge. Meravigliosi monumenti cui manca però l'austerità silenziosa dei templi del Sud. Troppa confusione, troppe macchine che occupano ovunque lo sfondo, troppe case che presto le stringeranno in una morsa.
L'amico fidato resta il deserto che da qui si estende, sassi e sabbia, sino alle sponde dell'Atlantico.
Tutto il resto è un intrico di sensazioni, di meraviglie ed anche di delusioni.
Nella mente restano scolpiti gli incredibili templi dell'Alto Nilo, imponenti, meravigliosi, imprese architettoniche che sembra improbabile siano solo il frutto dell'ingegneria di 5.000 anni fa.
Visitando Abu Simbel, salvato dalle acque della diga Nasser dagli italiani, o i templi gemelli di Luxor, mi sono tornate alla mente le teorie di Peter Kolosimo che, in libri letti in gioventù, proclamava la natura extra-terrestre dell'edilizia faraonica.
Parliamone.
Tanta audacia ingegneristica non può essere morta con le dinastie egizie. Forse è semplicemente finito il suggerimento scientifico. O almeno così mi piace credere.
In un villaggio nubiano, visitato per diletto turistico, ho appreso una grande lezione di civiltà.
In una scuola professionale, un gruppo di ragazzine si divideva un povero e modesto pasto. Polpette di fava. È stato sufficiente fermarsi ad osservare i loro disegni, perché molte di loro mi offrissero di condividere il loro cibo. L'intuito ha voluto che non rifiutassi, che non pensassi a norme igieniche spesso raccomandate, che cogliessi il dono di questa gratuita solidarietà.
Quelle mano tesa è stata una sconvolgente dimostrazione di fratellanza che solo gli ultimi della terra riescono ancora a coltivare nei loro cuori.
Ho trovato una chiesa cattolica, dei padri comboniani, a Luxor per la messa di Natale.
Non mi ha stupito il colore caldo del sole che inondava l'altare. Un'esperienza già vissuta sul Mar Rosso lo scorso anno.
Mi ha colpito la presenza di un buon numero di egiziani e la totale assenza dei turisti del mio gruppo.
La religione, qualunque essa sia, per noi Italiani è un'esteriorità di gesti superficiali, quali il bell'applauso ai funerali o il santo subito che non si nega a nessuno, neanche all'uomo di Arcore per le vie di Napoli.
Per gli egiziani cristiani, che pure sono il 10% della popolazione, frequentare una chiesa è un atto di testimonianza coraggiosa in un universo dominato da musulmani certamente non amichevoli.
Cairo è una città di una bruttezza emblematica. Quindici milioni di povere anime affollano rari quartieri lussuosi ed immense periferie sporche, sovrappopolate, trasudanti odori sgradevoli.
Per 300.000 c'è un girone infernale ancora peggiore. Il cimitero storico, in cui convivono morti e finti vivi. È detta, appunto, "la città dei morti viventi", offerta dal potere come soluzione provvisoria agli sfollati del canale di Suez nel 1956.
Mi sono chiesto se questo, fra duecento o trecento anni, sarà il destino di Napoli ma anche di Roma o Milano.
In questo sfacelo, sopravvivono cedendo ogni giorno spazi della loro solitaria maestà, le Piramidi, la Sfinge. Meravigliosi monumenti cui manca però l'austerità silenziosa dei templi del Sud. Troppa confusione, troppe macchine che occupano ovunque lo sfondo, troppe case che presto le stringeranno in una morsa.
L'amico fidato resta il deserto che da qui si estende, sassi e sabbia, sino alle sponde dell'Atlantico.
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