09 gennaio 2009

Un altro di quelli di cui si è perso lo stampino

È esagerato definire Beppe Chiappella una leggenda del calcio? No, dal momento che è uno di quei rari personaggi che prima in campo e poi in panchina hanno riempito l'immaginario dei calciofili di due generazioni. Milanese di San Donato, classe 1924, con gavetta giovanile in C nel Redaelli (1942-43) e nella Stradellina (1945-46). Nel 1946 il salto in B nel Pisa, e nel 1949 l'approdo in maglia viola, di cui diventa una istituzione. È l'inizio del grande amore tra Beppe e Firenze. Gioca a Firenze fino al 15 maggio 1960: 329 partite, 5 gol, e uno scudetto storico nel 1956. Non vestirà nessun'altra maglia. Nazionale 17 volte. Poi la carriera da allenatore: Fiorentina (1964-67), Napoli (1968-73), Cagliari (1973-75), Inter (1975-77), ancora Fiorentina (1977-78) e Hellas Verona (1978-79). Beppe Chiappella ha risposto con grande disponibilità al fuoco di fila delle nostre domande. Lo ringraziamo di cuore.

C'è un sogno calcistico che non è riuscito a realizzare?
Beppe Chiappella: Principalmente tre. Ai tempi in cui giocavo nella Fiorentina, non avere disputato la finale di Coppa dei Campioni contro il Real Madrid. Mi ero infortunato due giorni prima. Poi il non avere avuto la chance di allenare la Nazionale. Infine, non essere il detentore del record di presenze in maglia viola. Mi superò Antognoni, anche se il suo computo comprendeva anche spezzoni di partita, mentre il mio le presenze di 90 minuti.


E quello che invece ha realizzato?
B.C.: Giocare in Nazionale, anche se non sono riuscito a giocare un mondiale: dopo le qualificazioni fu chiamato il blocco dell'Inter, e non chi portò gli azzurri alla fase finale.


Davanti a quale giocatore ha provato l'emozione più forte?
B.C.: Davanti a Pelè, quando giocai in Italia-Brasile a S.Siro. Vincemmo 3 a 0, ma la sua classe illuminò lo stadio per tutta la partita.


A parte l' Inter, quale squadra le è rimasta nel cuore?
B.C.: La Fiorentina. Ho giocato e allenato per talmente tanti anni a Firenze da ritenerla tuttora la mia seconda casa.


Come si può capire se un ragazzino può diventare un buon calciatore?
B.C.: Dall' intelligenza tattica e dalla tecnica di base. Ma se durante la crescita queste doti non si sviluppano, il ragazzino tenderà a perdersi.


Qual è il fondamentale più importante nel calcio?
B.C.: Il passaggio. Senza la padronanza del passaggio diventa impossibile costruire il gioco. Un giocatore che non ha questo fondamentale non potrà mai arrivare a certi livelli.


Da allenatore, cosa mancò alla sua Inter per vincere?
B.C.: Era un gruppo difficile da gestire, dove mancava l'amalgama. Nei momenti di difficoltà, questo fattore si è fatto sentire.


Lei fu uno dei primi allenatori a guidare l'Inter dopo la fine del grande ciclo: quali difficoltà trovò?
B.C.: Trovai un ambiente in parte già sazio di vittorie, e giocatori arrivati dopo, che facevano fatica a integrarsi col resto del gruppo. In qualsiasi squadra, dopo un ciclo, è difficile ripetersi subito. Io presi la squadra in un momento di transizione. Mancava la consapevolezza nei propri mezzi e la mentalità vincente che si perse dopo gli anni della Grande Inter.


Nella sua prima estate in nerazzurro (1975) arrivò Giacomo Libera dal Varese, con grandi aspettative. Perchè fallì?
B.C.: Era un ottimo giocatore, ma il passaggio dal Varese all'Inter fu per lui uno stacco difficile da superare. Le pressioni a Milano erano e sono enormi, e dopo le prime critiche lui non riuscì a giocare - specialmente a S.Siro - con la tranquillità necessaria per riuscire a mostrare il suo valore.


La sua seconda stagione in nerazzurro fu la più amara: Mazzola a fine carriera, la Coppa Italia persa in finale col Milan. Si aspettava di più?
B.C.: Sì. Mi aspettavo di vincere la Coppa Italia, perché pensavo di potere battere il Milan in finale. Ma comunque fu una stagione positiva, perché l'Inter chiuse per la seconda volta al quarto posto, dopo un bienno in cui era andata peggio.


In che modo le fu comunicato che non sarebbe più stato l' allenatore dell'Inter ?
B.C.: Sapevo già che se non avessi vinto la Coppa Italia sarei stato allontanato.


Col senno di poi, avrebbe fatto scelte diverse in quei due anni?
B.C.: Non mi pento mai delle scelte fatte, perché tutte erano dettate da una logica societaria.

Chi è stato il più grande giocatore della storia dell'Inter?
B.C.: Giuseppe Meazza. Un bomber con la sua classe è difficile vederlo anche oggi.


Qual è stato il momento più emozionante della sua carriera?
B.C.: Quando in occasione dell'amichevole tra Egitto e Italia a Il Cairo venne convocato il blocco della Fiorentina, della quale facevo parte. Fu la mia prima convocazione in Nazionale.


Come valuta nel complesso la sua carriera di allenatore?
B.C.: Piena di soddisfazioni, dettate dal fatto di avere conosciuto piazze come Napoli e Cagliari, Firenze e Milano, Verona e Pisa. Un'esperienza stupenda, avendo avuto la possibilità di allenare grandi squadre e riuscendo a sperimentare le differenze del tifo, da nord a sud, sempre con la consapevolezza di lavorare per tentare di rendere felici tanti tifosi. Il loro calore è sempre stato uno stimolo per il mio lavoro.


Meglio il calcio di adesso o quello degli anni settanta?
B.C.: Quello degli anni settanta era un calcio più lento, che prediligeva la tecnica di base. Ora, con i ritmi altissimi che ci sono, la forza fisica è diventata la base del gioco.


Il ricordo più bello e quello più brutto del Chiappella giocatore.
B.C.: Il più brutto è la finale di Coppa Campioni persa dalla Fiorentina a Madrid, dove non potei giocare: da fuori fu una sofferenza vedere i miei compagni in difficoltà e non potergli dare una mano. Il più bello è lo scudetto dei record nella stagione 1955-56, dove solo all'ultima giornata a Genova perdemmo l'imbattibilità.


Le piace il calcio televisivo o le dà la nausea?
B.C.: Sinceramente non mi piace. Troppe partite trasmesse in TV annoiano lo spettatore e allontanano la gente dagli stadi. Preferirei stadi più pieni e meno partite alla televisione.

Se non avesse sfondato nel calcio, quale mestiere avrebbe fatto?
B.C.: L' incisore d'argento. Nel periodo in cui giocavo a Stradella, avevo iniziato a fare questo lavoro a 14 anni, presso un orefice a Milano.


Pensa di avere più dato o ricevuto dal calcio?
B.C.: Ho dato molto, ma ho ricevuto tantissimo. Perché certe emozioni che il calcio mi ha trasmesso sono impossibili da descrivere. Il fatto di essere da tanti anni lontano dagli stadi non ha fatto dimenticare ai tifosi le mie gesta. E tuttora mi fanno festa, ogni qual volta mi riconoscono.


(Un ringraziamento a Andrea e Alessandro Polenghi, 4-4-2 Pub Milano)

da La Settimana Sportiva

1 commento:

TheSteve ha detto...

Gloria e Onore al 442, mitico pub di via Procaccini dove i nostalgici del calcio come me possono rifugiarsi a gustare una buona spina e dell'ottimo football inglese! Segnalo il link, e la galleria fotogragica (nella quale peraltro compaio): http://www.fourfourtwo.it/index.php?option=com_content&task=view&id=61&Itemid=46