Donna Letizia è preoccupata ed ha bisogno di soldi per il suo Expo. È un p0' come un tamagochi, la sindachessa: fa l'indipendente, nel senso che cammina da sola e si lascia andare a parole ed appelli in libertà, ma come il pulcino virtuale che ha costretto milioni di uomini a fargli le coccole e dargli la pappa, così la Moratti ogni tanto smette di inneggiare all'efficienza del nord e della sua Milano e batte cassa a Roma. L'ultima volta, ai primi di dicembre, ha chiesto 2,3 miliardi. Lamenta, donna Letizia, gravi ritardi e spiega che quei soldi le servono per nove grandi opere. Grandi ed indispendabili: senza, il suo Expo, sarebbe un flop.
Ora va tutto bene - cioè tutto male - ma a parte che non siamo ancora nel 2009 e non so a voi ma a me l'Expo del 2015 li ha belli che rotti da tempo, ci sono almeno due considerazioni da fare sulle contraddizioni per così dire umorali del primo cittadino milanese: la prima è che più che un appello, ogni volta che parla sembra un aut-aut ("Paolo Glisenti amministratore o la società non parte"; "O arrivano i soldi o non arriva manco l'Expo") e la seconda è che bisognerebbe intendersi sul valore del termine "suo". Che già in grammatica è piuttosto ambiguo (può essere pronome possessivo o aggettivo determinativo) ma con di mezzo la Moratti si salvi chi può. Tre cose sente - e dice - sue più di tutte: la prima è appunto l'Expo, la seconda Milano. Bene, cioè male, perché punto uno se l'Expo è effettivamente suo ed ad amministrarlo c'è effettivamente il suo braccio destro, non è che i rincari ed i ritardi possono essere di Giulio Tremonti o di mio cugino e, punto due, Milano è sua quanto mia che ci vivo, o del Roberto Vecchioni di Luci a San Siro, con la differenza che Vecchioni a Milano è disposto a recedere "soldi e celebrità", mentre donna Letizia al massimo porterebbe nove opere, che per grandissime ed idispensabili che fossero, chissà quando sarebbero pronte (e con i soldi di chi).
Un po' come se Vecchioni, in cambio della 600 e della ragazza lasciasse alla sua Milano i soldi e la celebrità di Guccini o di Ligabue; che poi, diciamocelo francamente, tutto questo ardore ed ardire per il cartellino di Milano è un po' come litigare per quello del fratello scemo di Maradona. Sinceramente, con tutto l'affetto che provo per Milano, dire che fa pena è farle un complimento. Ci sono grandi, lunghissimi, bellissimi tram stilizzati che oltre a bloccare il traffico hanno il piccolo difetto di andare diritti in curva e fuori dei binari anche in rettilineo; le case hanno dei prezzi che quando i figli tornano tardi i genitori prima li sgridano, "questa casa non è un albergo", poi aggiungono "magari lo fosse", ci costerebbe di meno; e l'unico mercato a buon mercato è quello della cocaina, materia in cui abbiamo strappato i record di spaccio e consumo perfino a Bogotà.
In compenso, come dicono a Napoli, teniamo l'Ecopass, cosa questa che Letizia Moratti può effettivamente rivendicare sua, ma che forse a ben vedere e pensare male dopo un inizio incoraggiante non ha dato i frutti sperati, al di là del fioccare multe che sembrano le frustate di Cleopatra agli schiavi egizi nel costruire le sue piramidi. Non ce ne voglia il sindaco: ma se le piramidi erano inutili al popolo, almeno sono sopravvissute a tutto; mentre l'Ecopass poco si manca abbia peggiorato traffico ed inquinamento.
A dispetto dei dati comunali e dell'Atm (azienda che ha appena scoperto e lanciato la bicicletta come nuovo mezzo pubblico) che parlano di un 20% in meno d'incidenti nel centro storico. Bella forza, basta non farcele entrare, le macchine. A questa stregua stia tranquilla, donna Letizia: basta non farlo e niente andrà storto. Neppure il suo Expo.
di Mino Bora, su Economy di Dicembre 2009
16 gennaio 2009
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