03 gennaio 2009

Ritorno alla base

Ricalato nelle nebbia gelida della pianura padana, il primo rimpianto dell'Egitto è il clima primaverile e la tintarella di Assuan sotto un sole cocente.
Tutto il resto è un intrico di sensazioni, di meraviglie ed anche di delusioni.

Nella mente restano scolpiti gli incredibili templi dell'Alto Nilo, imponenti, meravigliosi, imprese architettoniche che sembra improbabile siano solo il frutto dell'ingegneria di 5.000 anni fa.
Visitando Abu Simbel, salvato dalle acque della diga Nasser dagli italiani, o i templi gemelli di Luxor, mi sono tornate alla mente le teorie di Peter Kolosimo che, in libri letti in gioventù, proclamava la natura extra-terrestre dell'edilizia faraonica.
Parliamone.
Tanta audacia ingegneristica non può essere morta con le dinastie egizie. Forse è semplicemente finito il suggerimento scientifico. O almeno così mi piace credere.

In un villaggio nubiano, visitato per diletto turistico, ho appreso una grande lezione di civiltà.
In una scuola professionale, un gruppo di ragazzine si divideva un povero e modesto pasto. Polpette di fava. È stato sufficiente fermarsi ad osservare i loro disegni, perché molte di loro mi offrissero di condividere il loro cibo. L'intuito ha voluto che non rifiutassi, che non pensassi a norme igieniche spesso raccomandate, che cogliessi il dono di questa gratuita solidarietà.
Quelle mano tesa è stata una sconvolgente dimostrazione di fratellanza che solo gli ultimi della terra riescono ancora a coltivare nei loro cuori.

Ho trovato una chiesa cattolica, dei padri comboniani, a Luxor per la messa di Natale.
Non mi ha stupito il colore caldo del sole che inondava l'altare. Un'esperienza già vissuta sul Mar Rosso lo scorso anno.
Mi ha colpito la presenza di un buon numero di egiziani e la totale assenza dei turisti del mio gruppo.
La religione, qualunque essa sia, per noi Italiani è un'esteriorità di gesti superficiali, quali il bell'applauso ai funerali o il santo subito che non si nega a nessuno, neanche all'uomo di Arcore per le vie di Napoli.
Per gli egiziani cristiani, che pure sono il 10% della popolazione, frequentare una chiesa è un atto di testimonianza coraggiosa in un universo dominato da musulmani certamente non amichevoli.

Cairo è una città di una bruttezza emblematica. Quindici milioni di povere anime affollano rari quartieri lussuosi ed immense periferie sporche, sovrappopolate, trasudanti odori sgradevoli.
Per 300.000 c'è un girone infernale ancora peggiore. Il cimitero storico, in cui convivono morti e finti vivi. È detta, appunto, "la città dei morti viventi", offerta dal potere come soluzione provvisoria agli sfollati del canale di Suez nel 1956.
Mi sono chiesto se questo, fra duecento o trecento anni, sarà il destino di Napoli ma anche di Roma o Milano.
In questo sfacelo, sopravvivono cedendo ogni giorno spazi della loro solitaria maestà, le Piramidi, la Sfinge. Meravigliosi monumenti cui manca però l'austerità silenziosa dei templi del Sud. Troppa confusione, troppe macchine che occupano ovunque lo sfondo, troppe case che presto le stringeranno in una morsa.

L'amico fidato resta il deserto che da qui si estende, sassi e sabbia, sino alle sponde dell'Atlantico.

3 commenti:

Nautilus ha detto...

Casomai qualcuno avesse dubbi sulle capacità narrative di Danielone...

Anonimo ha detto...

Un amico, se ilenzioso come il deserto un vero amico, capace di ascoltare più che ascoltarsi. Bellissimo.
Di nuovo buon anno.
banzai43

Anonimo ha detto...

Le descrizioni e le sensazioni generano partecipazione.-
Credo che la povertà generi solidarietà,cosa che l'Occidente ha dimenticato probabilmente dall'Illumisnismo in poi e quindi non mi stupisce che alla messa di Natale non ci fosse nessuno del gruppo di viaggio.-
Giacomo