La Barona, un Bronx milanese.
Sentivo il bisogno, una volta tanto, di pubblicare il rovescio della medaglia (tutte le medaglie hanno un rovescio), le realtà scomode. Questo è un lembo di città al sud ovest di Milano, di nuova edificazione, strappando campo per campo alla campagna e demolendo le vecchie cascine (Boffalora, Barona, Moncucco, Battivacco, Cantalupa). Qui vivono più di 50.000 persone (come una piccola città di provincia), qui fino a 30 anni fa c'erano le marcite (ci sono ancora) e pascolavano le pecore. La nostra amministrazione prima ha fatto costruire le case, poi le strade (mi pare logico), poi qualche sparuto negozio, infine un paio di scuole e dopo molto tempo un ospedale. Null'altro. Cioè il nulla, un quartiere dormitorio di vecchi, di giovani disadattati, di extra comunitari. Una normale squallida solitudine urbana. Per fortuna da qualche anno sono finite le sparatorie, .... ed è comparsa la droga. Dimenticavo, buon'ultima hanno costruito anche una caserma dei Carabinieri (peccato solo che non si vedano mai in giro). Una cattedrale in un deserto. Non è ora, dopo tante promesse, di garantirci una miglior qualità della vita?
Il nostro nuovo Sindaco Letizia Moratti, appena insediato, ha dichiarato che concentrerà le sue energie per prima cosa sulle tematiche sociali, iniziando dalla Barona per fronteggiare il disagio minorile. Grazie, era ora.
dal sito di Umberto Pini, www.pbase.com/ugpini
18 ottobre 2007
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4 commenti:
Voglio fare una segnalazione per questo ottimo sito fotografico, che ho scoperto un po' per caso, navigando alla ricerca di vecchie immagini della Milano in bianco e nero. La Barona non è il mio quartiere di origine ma quasi, essendo il panorama che da circa quarant'anni osservo a nord-ovest, dalla finestra della camera da letto. Alla Barona ho avuto compagni di Liceo e una biblioteca (la "mitica" Biblioteca San Paolino) dove ho speso qualche ora di studio e qualche altra no, negli anni disordinati dell'Università Cattolica (dove, per definizione, non si trovava un posto a sedere). La Barona è un po' l'altra riva della Via del Mare (e del Naviglio Pavese) rispetto al mio quartiere: ognuno ha la Rive Gauche che si merita (la nostra Senna è una striscia d'asfalto che porta allo svincolo delle autostrade, e da lì forse al mare). Una specie di estensione naturale insomma, e quindi ci sono affezionato quasi come al Missaglia. Che è l'anticamera del purgatorio di Gratosoglio. Che è l'anticamera dell'inferno di Rozzano (passando per il limbo di Quinto de' Stampi). Sicché, "noi di qua" e loro "di là", abbiamo guardato gli stessi quadri grigi (come cantava il Fortis) e abbiamo mangiato la stessa nebbia per tanti anni. Una nebbia che sfuma il giallognolo dei lampioni, sale dai campi e dalle risaie (misteriosamente, anche dove i campi e le risaie non ci sono più) e entra diretto nello stomaco: come un cazzotto. D'altronde, la nostra Milano l'abbiamo sempre guardata così: piegati in due e con poco fiato in gola.
Ciao Steve,
come sai la Barona è il mio quartiere d'origine. Ci sono vissuto trent'anni, lì ho i miei primi ricordi - sempre selvaggiamente con i miei compagni ad esplorare le cascine, ad attraversare i campi (il nostro "west") - lì, in quell'ospedale, ho respirato l'ultima volta con poco fiato in gola (ciao Papà, ti voglio bene...non te l'ho mai detto).
La Barona non è mai stata bella, ma una volta era possibile viverci tranquillamente. Dopo è peggiorata la nostra città, è peggiorato il nostro paese (entrambi, ora, con la lettera minuscola). E la Barona, come ogni periferia, amplifica tali peggioramenti. Ed il fiato in gola è sempre meno....
Quanti ricordi, Franchino.
Quelle file di finestre tutte uguali, quei prati disegnati dalle file di case tutte uguali, quella "cupola" di cemento che buca il cielo - come un graffio, un'oscenità architettonica fuori luogo e fuori tempo, pensata per compiacere chissà quale illuminato futurista - e soprattutto quei portici che danno i brividi alla luce del sole, figurarsi col buio. Sole, insomma... si fa per dire una macchia luminosa che interrompe il cielo bianco di periferia. Eppure lì c'è tutta la nostra poesia: in quel West (come lo hai splendidamente definito) di campi scampati chissà come alla devastazione edilizia, nel quale si perdevano i nostri occhi durante le interminabili chiacchierate sul futuro. Abbiamo molto passato in comune (ricordi forti come il mio "drammatico" ritorno dall'estate in Sardegna, con un pernottamento a casa tua; o come il matrimonio di tua sorella, del quale mi resta forte la sensazione delle foglie sollevate dal vento; per non dire del tragicomico "addio filmato" al mio mitico Bolide bianco). E la vita ha voluto intrecciare anche il nostro ultimo presente. Chissà perché certe parole non si trova mai il coraggio di pronunciarle per tempo.
Un forte abbracio, Stefano.
Speriamo ascoltino le nostre tardive affermazioni, speriamo lo abbiano sempre saputo in cuor loro.
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