05 novembre 2009

Expo 2015: un fallimento annunciato

Tra liti, immobilismo e buchi di bilancio.
Expo, l'occasione (quasi) perduta.

Nell’Italia che ha altro a cui pensare, parlare di Expo e di Milano sembra quasi fuori luogo, ma il sinistro scricchiolio che arriva dal capoluogo del Nord (opere pubbliche in ritardo, finanziamenti tagliati, risse istituzionali, conti pubblici in rosso) è un brutto segnale per tutti. Se uno dei motori possibili della ripresa è già in avaria vuol dire che c’è un allarme da non sottovalutare che va oltre il silenzio del ministro del Tesoro, il disinteresse della Lega e il gelo del premier: vuol dire che Milano rischia di perdersi ancora una volta nei ritardi e nelle nebbie della bassa politica, rinunciando a quel ruolo tante volte invocato di guida, di traino dell’intero Paese.
C’è sicuramente un malessere generale, il peso di una crisi che avvolge un po’ tutti, ma se dopo il rullio di tamburi per l’Expo il risultato percepito è solo un balletto di potere, una inutile guerra tra Roma e Milano, allora vuol dire che non interessa la partecipazione, la potenzialità civica della città, il progetto di rilancio capace di dare una prospettiva al futuro di tanti giovani. Milano in questi giorni sta facendo da sola la sua parte, e male. Undici milioni di deficit all’inizio della gestione non sono una buona partenza. L’Expo 2015, nonostante il masterplan e l’orto globale dedicato ai valori della sostenibilità, dell’ambiente e della ricerca contro la fame nel mondo, resta un’incompiuta che non decolla. Doveva dare alla città più metropolitane e meno traffico, più decoro e meno degrado, un sistema di infrastrutture da capitale europea e una Grande Brera da offrire ai visitatori di tutto il mondo. Ma tra accuse, dimenticanze romane e buchi di bilancio, il grande evento sta diventando il pretesto per un regolamento di conti, una litania di occasioni perdute.
Colpiscono l’inerzia, l’immobilismo, il gioco delle parti: la Provincia senza fondi, la Regione già in campagna elettorale, il sindaco Moratti schiacciato in un angolo dai dubbi nella maggioranza sulla sua ricandidatura. Ma sorprende di più l’incapacità di coinvolgere le forze positive di Milano in un progetto importante, da presentare al mondo: la città dei talenti, dei creativi, dell’imprenditoria diffusa, delle università e della ricerca si aspettava (e meritava) molto di più.
E così si perde il senso di un’opportunità, di un futuro che con l’Expo si potrebbe inventare, come nel lontano 1881, quando Milano odorava ancora di fieno e acque stagnanti ma era una città in divenire e faceva decollare, insieme alle fabbriche, la «vitalità del sentimento » nelle arti e nella scienza. Servirebbe qualche segnale diverso da parte di chi governa questo evento, da Milano e anche da Roma, un’assunzione di responsabilità sui finanziamenti dovuti, un maggior gioco di squadra. Oggi l’Expo sembra diventata una clava per colpire l’avversario, un simbolo che mostra più inefficienze che potenzialità. Forse si può ancora rimediare, correggere la rotta, restituire a Milano l’orgoglio di fare e fare bene. L’Expo non è più una partita immobiliare, è l’occasione per mostrare le buone pratiche di un Paese e di una città. Il nuovo disegno architettonico è un’idea che va sfruttata meglio, mobilitando energie che creano consenso. Anche nell’austerità ci può essere entusiasmo. I privati pronti a dare una mano non mancano, ma oggi chiedono dove si andrà con l’Expo 2015: verso il mondo o in un ingorgo di traffico, come a una sagra di paese?

di Giangiacomo Schiavi, sul Corriere della Sera del 4 novembre 2009


Un fallimento annunciato, doloroso e rovinoso.
La scelta di un evento che ha finito di avere un senso alla fine dell'800 e che ha segnato fallimenti finanziari clamorosi nelle ultime edizioni.
Una classe politica promotrice senza radici culturali nella città e con capacità propositive appena utili per organizzare una pesca benefica.
Il sacro terrore dei finanziatori privati d'avvicinarsi al pubblico, con il rischio di ballare nei corridoi di Corso di Porta Vittoria per anni.
L'assoluta indifferenza della città, che alla propria amministrazione chiede interventi per migliorare la qualità della vita e sicurezza nelle strade piuttosto che astruserie sul mondo ecosostenibile.
Queste fra le cause di un disastro organizzativo e d'immagine epocali.

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