18 novembre 2009

La frontiera del terziario: agitare accuratamente il fumo dentro lo scatolone

Il Convegno sul Digital Signage.

Se il mondo aziendale è il regno del non senso e il marketing è il riassunto del nulla, la partecipazione a un Convegno è la sublimazione assoluta del vuoto.

L’altra settimana ho avuto l’onore di partecipare a un convegno sul Digital Signage. Non chiedetemi cosa cazzo sia perchè non lo so e nemmeno mi interessa. Però ci sto lavorando da un po' di tempo e ho fatto una gran figura con il mio capo mostrando un certo interesse per partecipare alla cosa.

Va da se che a un corso o a un convegno si va esclusivamente per tre motivi:
1) Vedere se c’è figa
2) Mangiare a scrocco
3) Passare una giornata fuori dall’ufficio di merda

E’ con queste solide motivazioni che mi sono alzato alle 6 del mattino e ho messo il mio culo su uno sporchissimo Intercity di trenitalia diretto a Milano. Trascorso il solito viaggio con aria condizionata a -10° e il solito ritardo sono arrivato al prestigioso Hotel giusto in tempo per ascoltare il primo relatore.

Ben lungi da me l’idea di concentrarmi sulle presentazioni ho cominciato a esplorare attentamente la sala.
Tutti uomini! Ma porc.... e le famose belle ragazze milanesi? Tre o quattro al massimo e già ampiamente circondate da serissimi manager in abito scuro.
Disastro.
Tanti anni fuori da Milano mi hanno fatto perdere smalto. I manager Milanesi sono tutti inappuntabili, attentissimi e carichissimi. Io ho la faccia di cartone, rispetto a loro sono vestito come un diciottenne e il mio cervello ha la stessa capacità di concentrazione di una scimmia che salta da un ramo all’altro nella giungla...
Lo so che loro, nel loro intimo, stanno pensando “che palle” esattamente come me. Però non lo danno a vedere e, devo ammetterlo, se la tirano da gran professionisti.

Mentre rassegnato mi metto a seguire la materia del Convegno (facendo una estrema sintesi in genovese potremmo dire: tutte musse) riapro il book e mi saltano all’occhio i Curriculum Vitae dei relatori.
Una vera meraviglia. Chi più ne ha più ne metta. Titoloni a stecca, referenze a manetta e, soprattutto, una serie di minchiate immonde.

Tralasciando i numerosi figli di papà che da neolaureati si sono trovati “Direttori della filiale di Londra” oppure con un “Master alla San Diego University” di seguito riporto alcune perle che mi hanno commosso:

• Membro dell’associazione Mensa - associazione mondiale delle persone dotate di alto QI – (giuro, c’è scritto cosi!!!)
• Svolgo l’attività di Disruptive Innovator (e sticazzi!)
• Ero noto con lo pseudonimo di “1.0” (ma vaffanculo va!!!)
• E’ mia l’idea di dare voce (contenuto parlato) ai siti internet (e come no!!!)
• Nel 1996 realizza la prima moneta virtuale al mondo “EnergyBank” (ah belin!!!)
• Nel 2007 produce TuoVideo definito dalla stampa lo YouTube italiano (ah ah ah ah!!!)
• Mi interesso di letterattura francese e jazz (ma vai a lavorare va!!!)

Man mano che leggo, la consapevolezza che la gente che scrive queste cazzate poi fa carriera e soldi mi fa montare una tale carogna che mi porta a terminare velocemente la lettura prima di dover mettere le mani addosso a qualcuno.

Arriva l’ora dell’agognato pranzo. Purtroppo non è a buffet ma è servito al tavolo impedendomi le classiche razzie di piatti composti da pasta, carne, patatine, crocchette e sottaceti tutti mischiati assieme. Mi ritrovo a un tavolo dove parlano di lavoro. Tento qualche sortita di cazzeggio ma vengo subito stoppato tipo “Pierino, stai zitto che qui siamo gente seria e parliamo di business”. Rassegnato mi bevo cinque bicchieri di bianco per affrontare il pomeriggio.

Il Convegno riparte e ormai il mio livello di attenzione è lo stesso che ho guardando un GP di Formula 1. Morte apparente.
Passa un tempo indeterminato e sulla frase che da sola riassume il vero spessore intellettuale dei relatori: “anche i tristi musei possono essere ravvivati da questa tecnologia del Digital Signage” , mi riprendo e mi accorgo che devo correre in stazione. Faccio giusto a tempo a comprare un libro sul tema del convegno in modo da poter raccontare qualcosa al mio capo quando mi chiederà l’inevitabile resoconto di quel che hanno detto.
Prendo le mie carabattole e me la filo.

Un’altra proficua giornata da uomo di marketing è trascorsa.

di Polonegativo, dal blog: Burattini da ufficio



Rendo onore e merito al blog di Polonegativo, che trasuda verità lapidarie ed incontrovertibili, e porto qui la mia onesta testimonianza di manager in una società "attiva nel settore della comunicazione digitale e più specificamente nel digital signage delivery". Posso per di più pregiarmi di avere assistito al convegno di cui all'oggetto del post.
Sono con ciò portatore sano (ma non in ottima salute) di solide esperienze ed argomentazioni, attraverso le quali tenterò di diradare le nebbie che ancora oggi si addensano davanti agli occhi dell'autore e dei molti altri che tuttora si domandano: ma il Digital Signage, in definitiva, che cazzo è?
La risposta è das Nicht, il nulla. Non esiste nella stanza, alla stregua della donna nell'aforisma di Karl Kraus. Esso non esiste in sé! A questa drammatica conclusione esistenziale sono giunti (dopo un paio di ricapitalizzazioni, un numero imprecisato di trasferimenti di quote sociali e svariate centinaia di migliaia di euro di perdite a fronte di zero centesimi di euro di ricavi) anche i due titolari della mia azienda “attiva nel Digital Signage”.
Il primo s'è dileguato con le prime brume d’autunno, portandosi appresso soci di capitale, partner di servizio e (in una grossa scatola di cartone) persino i robot d'acciaio con i quali aveva adornato gli scaffali (freddi e vuoti) della nostra sede operativa: gli scaffali che noi dipendenti - così, per farci un po' di compagnia e di calore - avevamo affettuosamente battezzato "le minchie" (una volgare deformazione di "le nicchie"). Mi si perdoni la divagazione romantica, ma tant'è.
Dal momento che al peggio non vi è mai fine, il secondo titolare (dopo aver ricevuto in dono dagli ex azionisti le quote della società, con annesse le perdite a cinque zeri di cui più sopra) nell'estremo tentativo di salvare la nave che cola a picco, ha pensato dunque di affidarsi a due "professionisti del marketing". Con ciò, sono diventato il responsabile operativo di una "agenzia di marketing".
Ora, un cristiano medio come me si domanda: ma che cazzo fa una agenzia di marketing?
Dopo una prima fase di smarrimento (chi siamo? dove andiamo? ci sarà vita su Marte?) ho tuttavia recuperato aplomb e dirittura metodologica, e prontamente ho convocato una riunione con i due "professionisti del marketing" ed il seguente ordine del giorno:

1) Il nuovo modello di offerta:
a. Dichiarazione formale dei servizi che sono oggetto del business aziendale,
b. Dichiarazione delle partnership di servizio in essere (specifica dei referenti e modalità di relazione).
2) La nuova strategia di marketing:
a. Formalizzazione degli obiettivi aziendali (qualitativi e quantitativi),
b. Dichiarazione delle azioni di marketing atte a raggiungere gli obiettivi aziendali,
c. Definizione degli strumenti (materiali) a supporto delle azioni di marketing.
3) I nuovi materiali istituzionali (declinazione del modello di offerta e della strategia di marketing):
a. Determinazione dei materiali da realizzare,
b. Identificazione dei responsabili (interni/esterni) del rilascio dei materiali da realizzare.
4) Le nuove linee-guida commerciali:
a. Approvazione della (mia) proposta di processo per la gestione dell’offerta commerciale,
b. Declinazione della strategia di marketing nella gestione dei prospect (quali mezzi: mail? telefonata?).
5) Reporting delle attività commerciali:
a. Approvazione del report proposto (da me) per il tracciamento dello stato avanzamento lavori,
b. Determinazione della frequenza di erogazione del report e condivisione delle modalità di feed-back.

La reazione dei due “professionisti del marketing” alla lettura dell’agenda è stata, per dirla con un eufemismo, un po' scomposta. La riunione ha avuto infatti una durata complessiva di non più di mezzora, nella prima metà della quale sono stati sommariamente smarcati i punti relativi alla mission aziendale: “vogliamo essere consulenti della comunicazione”, alla strategia di marketing: “il nostro scopo è portare a casa ordini di una prestazione di marketing” e agli obiettivi quantitativi: "1,5 milioni di euro di fatturato entro 30 giorni, 10 milioni nel 2010".
Alla mia cortese richiesta di declinare con maggiore concretezza strategie e obiettivi in azioni e strumenti, uno dei due "professionisti del marketing" abbandonava polemicamente la sala riunioni, sostenendo di non avere altro tempo da perdere. Il secondo mi accusava di essere “un sofistico” e mi congedava con l’invettiva: “Lei dovrebbe lavorare all’Eni!”.
La notte ha portato sonni disturbati.
Stamane il mio datore di lavoro mi ha convocato per comunicarmi che, stante la mia totale assenza di proattività e il disagio ambientale da me provocato con la riunione del giorno prima, devo ritenermi sollevato da tutte le responsabilità di supervisione e controllo dei processi operativi dell'azienda.
Ho tentato di argomentare sulla differenza che corre fra le mansioni attinenti i processi operativi e quelle di natura strategico-decisionale. In altre parole: questo cazzo di piano di marketing dovrà mica descriverlo il responsabile di processo??
Lo sguardo perso nell’infinito del mio interlocutore (soglia di attenzione crollata a zero dopo cinque secondi) mi ha persuaso della totale irrecuperabilità della situazione.
Da domani mi occuperò di “progetti verticali”.
Ma se rinasco, giuro che rinasco proattivo. Oppure professionista del marketing.

zioSteve (el Hombre Vertical)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Per la cronaca ed a titolo di curiosità : Luca Casarini(si proprio lui!)è diventato imprenditore costituendo la società Nexus 7 che dovrebbe occuparsi di marketing e comunicazione.-
Fonte : intervista del medesimo a Michele Brambilla sulla Stampa di oggi 19 Novembre 2009.-
Giacomo

Nautilus ha detto...

Alle scuole medie inferiori ci hanno insegnato (a ragione) che tutto ciò che finisce per "-ismo" è, nella migliore delle ipotesi, un qualcosa di negativo.

Ho notato che quasi sempre lo stesso concetto si applica benissimo anche a ciò che termina per "-ing".