Nessuna rivoluzione può creare un uomo nuovo: ciò sarebbe sempre e soltanto violenza e costrizione; ma lo può creare Dio, a partire dal di dentro. La speranza che ce lo fa attendere conferisce anche al nostro agire dentro la storia una speranza nuova.
In verità, quando si lascia da parte il problema della morte, non viene data alcuna risposta sufficiente alle domande umane di giustizia e libertà. Tutti i morti della storia passata, infatti, sono uomini ingannati, se solo un avvenire imprecisato porterà un giorno la giustizia sulla terra. Non giova nulla dire che anch'essi avrebbero collaborato a preparare e a realizzare la rivoluzione e che per questo ora ne sarebbero entrati a farne parte. Essi non vi sono affatto entrati, sono anzi usciti dalla storia, e senza avere ottenuto giustizia.
In questo caso, la misura dell'ingiustizia rimane sempre infinitamente maggiore della misura della giustizia che si può realizzare. Per questo un pensatore così coerentemente marxista come Adorno ha detto che, se ci deve essere giustizia, ci dovrebbe essere giustizia anche per i morti. Una liberazione, che trova nella morte il suo limite definitivo, non è una liberazione reale. Senza una soluzione al problema della morte, tutto il resto diventa irreale e contradditorio.
Perciò la fede nella resurrezione dei morti è il punto a partire dal quale è possibile pensare una giustizia per la storia, e può quindi diventare ragionevole lottare per essa. Soltanto se esiste resurrezione dei morti ha senso anche morire per la giustizia: perché solo allora la giustizia è qualcosa di più che il potere, e soltanto allora essa è un a realtà, altrimenti non rimane che un'idea vuota.
Per questo, la certezza di un giudizio universale che attende il mondo ha anch'essa un significato eminentemente pratico. Lungo i secoli, la coscienza che un giorno ci sarà il giudizio è stata la forza che, sempre di nuovo, ha trattenuto i potenti a trasgredire determinati limiti. Noi tutti dovremo passare per questo giudizio, ognuno di noi ed è questo che costituisce quell'eguaglianza tra gli uomini, cui nessuno potrà mai sottrarsi. Il giudizio finale non ci esime quindi dallo sforzo di promuovere la giustizia nella storia; al contrario, esso dona a questo sforzo il suo significato e sottrae la sua doverosità ad ogni arbitrio.
Così anche il regno di Dio non è affatto un futuro confuso e indistinto. Solo nella misura in cui noi, già in questa vita, apparteniamo al regno, vi apparterremo in quel giorno. Non è la fede nelle verità ultime, la fede nella sua valenza escatologica a compiere l'errore di rimandare il regno nel futuro: è invece l'utopia che lo commette, poiché il suo futuro non ha alcun presente e la sua ora non arriva mai.
Joseph Ratzinger: Chiesa, ecumenismo e politica (p. 256s)
27 novembre 2009
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