Il papa, i giovani, l’Australia. Alla Giornata Mondiale della Gioventù di Sidney questi sono i tre ingredienti principali. Sembrano fare a pugni tra loro, ma il papa è convinto di no. Come il solito i media hanno sbagliato bersaglio. Quando si tratta di religione, la tendenza a secolarizzare è molto forte. Il papa ha detto mezza parola sulla tutela dell’ambiente e i giornali a riportalo come un grande novità. Poi il papa ha detto che c’è contrasto tra essere prete e compiere abusi sessuali e i media a sottolineare l’affermazione come se fosse anche questa una novità. Qualcuno ha anche riportato con enfasi la frase del papa secondo cui gli abusi sessuali impediscono la santità. Poi ci si è soffermati sugli indigeni, che in Australia – è vero – sono cittadini di serie B. Il fatto è che il papa non è andato a Sidney per parlare di ecologia, né per occupare i titoli dei giornali con le sue invettive contro gli abusi sessuali di qualche sacerdote, né per denunciare le ingiustizie sociali di quel continente. Farà anche questo, se necessario, ma non è là per questo. E là per lanciare questa sfida: cosa ci stanno a fare insieme il papa, i giovani e l’Australia?
L’Australia è uno dei paesi più secolarizzati del mondo, con un benessere molto diffuso e una inflazione inesistente. E’ un paese dalle mille culture e dalle mille religioni, ma soprattutto è un paese postreligioso o, come si dice di solito, “emancipato”, dalle larghe vedute. La Chiesa è proprio per questo sofferente. Ricca anch’essa, in grado di aiutare generosamente altre chiese più povere, ma spesso proiettata sull’orizzontale, sulla salvaguardia dell’ambiente e sui diritti degli indigeni, appunto. Cose sacrosante in sé, ma che non fanno il cuore del cattolicesimo. La scelta di Sidney non è stata casuale: una terra ai confini, non solo ai confini del Pacifico, ma anche ai confini della fede o forse già ampiamente oltre. A questa Australia, e al mondo che essa rappresenta, il mondo “post”, il papa va a fare l’annuncio di Cristo, che qui può anche risuonare come un “primo” annuncio. La secolarizzazione non è un destino, l’allontanamento dalla fede, che i moderni maestri ci hanno abituato a considerare “menzongna” – L’uomo ha bisogno di Dio, quindi Dio non esiste, sosteneva Freud - non è una necessità, la ruota della storia può cambiare il proprio giro, la battaglia non è ancor conclusa. In quelle terre il papa è andato per parlare di Gesù Cristo e per aiutare quella Chiesa a ritrovare il suo essere, che non è quello di una agenzia sociale.
A Sidney sono arrivati tanti giovani da tutto il mondo. Le statistiche ci dicono che il gruppo maggiore viene dagli Stati Uniti e il secondo dall’Italia. Ce ne sono anche molti dall’Oriente. L’arrivo dei giovani americani e italiani ha un senso preciso, quello della ripresa. Il papa fa molta leva sugli Stati Uniti – lo si è visto nel suo viaggio recente - e sull’Italia. A questi due paesi assegna un ruolo particolare nella rievangelizzazione. Al primo per la saggia soluzione che ha sempre dato al rapporto tra fede e ambito pubblico. Il secondo perché esprime ancora una religione di popolo, che si è preservata, anche se ne è stata molto provata, dalla secolarizzazione della morte di Dio. Sono truppe giovanili che vanno in soccorso ai giovani australiani. Questi ultimi ascolteranno il papa, ma ascolteranno anche i loro coetanei di Washington e di Roma. Si sentiranno meno soli nel testimoniare una verità che il loro mondo fatica ad accettare. Sono arrivati anche i giovani poveri del Vietnam o delle Filippine, arrivati lì proprio grazie agli aiuti della Chiesa australiana. E da loro i supervitaminizzati giovanottoni australiani apprenderanno forse una ingenuità che essi hanno perduto, ma non irrimediabilmente. Spesso chi è nel bisogno – come dice il Salmo – vede meglio e di più.
Durante questa GMG I giornali continueranno prevedibilmente a carpire qua e là qualche frase del papa a sfondo sociale o politico, nel tentativo di orizzontalizzare quanto è verticale. Ma il papa è andato a Sidney e ha incontrato i giovani proprio per dire il contrario, ossia che un orizzonte solo orizzontale non è un vero orizzonte.
Stefano Fontana, su L'Occidentale
18 luglio 2008
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