08 marzo 2008

Il paradosso di Tremonti

Questione dell'aborto a parte, quella innescata da Giulio Tremonti su protezionismo e globalizzazione, con le reazioni polemiche che ha suscitato, è, almeno fino ad ora, l'unica discussione politico- culturale degna di questo nome della campagna elettorale. Investe un tema su cui l'intero Occidente è diviso e, plausibilmente, si dividerà ancor più nei prossimi anni. Una divisione che, per giunta, è impossibile ricondurre alla logora distinzione destra-sinistra. Si pensi, ad esempio, al fatto che il protezionismo è una delle bandiere del candidato alla nomination democratica Barack Obama.
Tremonti, armato dell'intelligenza e dell'anticonformismo che tutti gli riconoscono, ha rotto lo schema classico che vede (dall'epoca reaganiana e thatcheriana in poi) i liberal- conservatori combinare anti-proibizionismo in economia e tradizionalismo nelle questioni etiche. Riprendendo temi che aveva già sollevato in passato e a cui ha dato veste più sistematica nel suo ultimo libro, Tremonti ripropone l'idea della necessità di una dura difesa europea, e occidentale, dalla concorrenza asiatica. Nel quadro di una rivolta, anche morale, contro la rinuncia della politica a guidare il mercato. Sarebbe facile (ma sbagliato) dire che in questo modo i «no-global», coloro che combattono il mercato globale, hanno trovato un campione, inaspettato ma anche molto più preparato di quelli che si erano scelti fino ad oggi. Sarebbe sbagliato perché Tremonti non è certo, a differenza dei no-global, un avversario del capitalismo e della libera impresa. Ciò che propone è una protezione del capitalismo occidentale dal dumping sociale, ossia dall'aggressione economica portata da Paesi nei quali le condizioni politiche garantiscono bassi salari e vantaggi competitivi. Una protezione che, nella visione di Tremonti, spetta agli statisti, a una politica di nuovo consapevole del proprio ruolo di comando, assicurare.
Non c'è dubbio che una posizione come quella di Tremonti sia fatta per dividere trasversalmente gli schieramenti. Contrastata dai liberali del centrodestra (ben rappresentati da economisti come Renato Brunetta o Antonio Martino) può trovare orecchie attente nel sindacalismo, Cgil compresa. Può attrarre quella parte del ceto medio, per esempio il mondo artigianale, estraneo ai processi di internazionalizzazione dell'economia, ma può anche arrivare a spiazzare e imbarazzare la sinistra estrema .
Non è certo l'unico, né il primo, Tremonti, a mettere in guardia contro la cosiddetta «faccia oscura della globalizzazione». In Occidente lo hanno già fatto molti altri prima di lui. Ma c'è una differenza. Tremonti occupa un ruolo politico di primissimo piano all'interno di uno schieramento liberal-conservatore e, se le elezioni daranno la vittoria al Popolo della libertà, sarà di nuovo alla guida dell'economia italiana. Ha ragione Alberto Mingardi quando, sul Riformista, osserva che Tremonti sembra proporre l'archiviazione del reaganismo, sinonimo (più nell'immaginario che nella realtà) di liberalismo economico senza vincoli, e il ritorno a forme di conservatorismo «sociale» come quello che fu incarnato in Europa dal generale De Gaulle.
Come Francesco Giavazzi (su questo giornale), come Renato Brunetta, come Antonio Polito ( Il Riformista), come Fabrizio Onida ( Il Sole 24 ore), anche chi scrive pensa che la strada indicata da Tremonti non sia quella giusta, e che la concorrenza, anche quella drogata dei colossi asiatici, possa essere affrontata solo con riforme liberalizzatrici e con la lotta contro l'oppressione burocratico-statale dell'economia. E non mi sembra che questo sarebbe un compito indegno, o subalterno, da proporre alla politica. Per esempio, piuttosto che la creazione di istituti di credito, se non pubblici, comunque guidati dallo Stato, non servirebbe di più al nostro Mezzogiorno, come ha proposto l'Istituto Bruno Leoni, la sua trasformazione in una no taxation area per le imprese disposte ad investirvi?
Pur non condividendo, riconosco tuttavia che quella di Tremonti è una posizione rispettabile e seria. E' quello, comunque, uno dei più importanti temi con cui gli occidentali dovranno confrontarsi nei prossimi anni. Nonostante il ruolo politico di Tremonti, tuttavia, non credo che, in caso di vittoria del centrodestra, la sua posizione culturale possa tradursi in immediata azione politica. Non solo perché nel centrodestra sono in molti a pensarla diversamente da lui. Ma anche, o soprattutto, perché chi avrà responsabilità di indirizzo economico nei prossimi anni sarà inevitabilmente «assalito dalla realtà», dovrà fare i conti, prima di ogni altra cosa, con la necessità, comunque, di liberalizzare l'economia, colpire le rendite politiche annidate al centro e alla periferia, fare insomma tutte quelle cose che piacciono ai liberali, a quelli che pensano che il mercato, meglio senza frontiere, non sia solo il mezzo più efficiente per creare e distribuire ricchezza ma sia anche garanzia di libertà (per chi ce l'ha) e di emancipazione (per chi vi aspira).
Angelo Panebianco, sul Corriere


Le posizioni ideologiche di Tremonti non sono mai banali ed immeditate. Se un campione del liberismo senza barriere elebora una ricetta economica protezionistica le ragioni vi sono. È agli occhi di tutti l'insostenibilità della concorrenza asiatica costruita su costi bassissimi e disprezzo per le regole ecologiche anche elementari. I nostri mercati potranno resistere rifugiandosi nelle nicchie di prodotto o cambiando radicalmente le regole della convivenza sociale nel mondo Occidentale.
Tema affascinante e non eludibile.
Piacerebbe un ampio dibattito fra i frequentatori del blog, mentre daremo conto dei contributi degli economisti che vorranno misurarsi su questa tesi tremontiana.

2 commenti:

Nautilus ha detto...

Tremonti e Bossi hanno fatto molti voli Milano-Roma e ritorno. Tremonti ha mostrato molta attenzione a certe istanze leghiste, sposandone molte. Ora sarebbe opportuno che Bossi capisca l'importanza di abolire le province.

Anonimo ha detto...

Ho cominciato a leggere La paura e la speranza,ultimo libro scritto da Giulio Tremonti;lo stesso ha dichiarato ad Anno Zero che i diritti d'autore li devolverà in beneficenza.Se così sarà é indubbiamente da apprezzare.-
Sono ancora,a proposito del libro,all'analisi spero(la speranza appunto !)che ci siano proposte che servano a superare la paura.-
Dico la mia.-
Il mondo globalizzato,per le dimensioni del fenomeno,si trova ad affrontare problemi che nella storia non hanno precedenti.-
Indubbiamente l'Europa, nel suo insieme,é destinata a perdere un ruolo di centralità(e quindi di benessere)che può farsi risalire alla prima industrializzazione partita dall'Inghilterra.-
Il "binario del benessere" probabilmente si sposterà dall'Atlantico al Pacifico con gli Stati Uniti che prospetticamente avranno un ruolo subordinato rispetto a quello di oggi mentre l'Europa appare destinata ad un declino che potrà essere rallentato se le proprie classi dirigenti,preso atto del fenomeno, appronteranno rimedi conseguenti.-
Il mercatismo denunciato da Tremonti appare paragonabile al turbocapitalismo a suo tempo denunciato da Giorgio Bocca.-
Guido Rossi,per esempio ,propone
che sia il diritto a governare un processo così complesso e nuovo;il diritto però deve essere accettato da tutti i giocatori e se,a mio parere,l'India potrebbe condividere regole comuni dubito che la Cina possa fare altrettanto.-
Riemerge la politica ed il desiderio di leadership che per ora la Cina gestisce da paese totalitario e con evidenti risvolti politici,appare in tutta la sua potenzialità squilibratrice.-
Per sintetizzre : a mio modo di vedere l'Europa dovrà cercare di avere rapporti collaborativi con l'America(per ora ha l'esercito più potente del mondo)perchè non riesco ad immaginare un suo ruolo autonomo di rapporti con l' "asse del Pacifico".-
Spero che il dibattito si vivacizzi.-
Giacomo