16 aprile 2008

Il blocco sociale della Lega

Per 20 anni siamo stati accompagnati dai giudizi sprezzanti dei radicals sul Corriere e dei republicones di De Benedetti: rozzi, razzisti, separatisti, paesani.
Ora che la Lega ha raccolto tanti voti da divenire il terzo partito italiano ed il primo in molte regioni del Nord, c'è un certo imbarazzo nei commentatori illuminati.
Dalla subitanea analisi del voto da mal di pancia, si è passati a giudizi meno affrettati, ora che l'andamento dei flussi elettorali dice che vi è una strana (per loro) corrispondenza fra il tracollo della sinistra estrema e la crescita della Lega.
Due piu due fa quattro?
Non credo proprio. In realtà il voto estremo si è probabilmente trasferito in massa sul PD, che infatti passa dal suo fisiologico 29% al 33%, mentre rilascia alla sua destra, insieme ad una quota non indifferente di elettorato di Forza Italia ed AN, consensi verso la Lega.
Ma vi è di più.
Per la prima volta la Lega diventa un soggetto elettorale importante nelle grandi città, raccogliendo consensi piccolo-borghesi nelle popolose cinture periferiche.
I politologhi domani scriveranno analisi più convincenti.
A pelle, la sensazione è che il partito si ancori ora ad un preciso blocco sociale che ha definito nella sicurezza, nel rifiuto dell'immigrazione selvaggia, nella rivolta contro tasse e burocrazia centralista, le proprie priorità di vita.
È una fascia di popolazione che con questi problemi convive quotidianamente, perché gli zingari magari li ha sottocasa, perché subisce furti e danneggiamenti quotidiani alle proprie cose, perché si vede costretta a rinunciare alla propria poca ricchezza a favore di uno Stato vorace ed improduttivo.
Tutti affanni che non sfiorano nemmeno i borghesi dei quartieri centrali che si possono permettere, tanto non costa nessun sacrificio, di dare lezioni di solidarietà e di sussidiarietà ai poveracci incolti ed egoisti.
Poche domeniche fa, durante l'omelia domenicale, un parroco di periferia invitava a pregare perché con il voto le cose evolvessero verso una società più rispettosa dei valori dellla tradizione.
Era un giusto richiamo alle nostre radici storico-religiose, ma anche un "basta" sonoro all'inerzia pubblica, all'esagerata attenzione ai problemi dei nuovi ignorando il progressivo degrado delle condizioni esistenziali di chi ha lottato una vita per sopravvivere dignitosamente, rispettando le leggi di convivenza civile.
In quel quartiere, come in tanti altri, la Lega si è attestata al 30%, perché probabilmente ha parlato la lingua che meglio è compresa da chi non ne può più del disordine e del degrado.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Purtroppo il ceto intelletuale e giornalistico le analisi sociologiche le affronta(se le affronta)dopo che i fenomeni si sono verificati.-
Un articolo in data odierna sulla Stampa di Andrea Romano analizza in modo puntuale il fenomeno del voto alla Lega(nel centro storico di Milano ha preso l'11% dei voti):-
Precisato che non si tratta di un fenomeno(La Lega esiste ormai da più di qundici anni)semplicemente non si é voluta leggere la realtà così come la sinistra antagonista si ostina a guardare con gli occhi all'indietro la condizione operaia.-
Non si sono resi conto,per esempio che l'operaio massa caro alle analisi sociologiche datati anni 70
si é riodimensionato nella sua numerosità e probabilmente riguarda sopratutto gli immigrati.-
Già ma i salotti radical-chic che possiedono i maggiori quotidiani(che considerano Berlusconi un parvenu)non sono interessati a queste cose.-
Pierurby Casini,per parte sua,ieri sera a Ballarò ha superato le anguille sfilandosi da furbastro democristiano dlla contesa Rutelli-Alemanno annunciando -fra l'altro -che lui al ballottaggio non andrà a votare.-
Già perché diversamente il suocero gli avrebbe tagliato i viveri perché dopo le elezioni per la definizione del piano regolatore avrà bisogno di dialogare con chi vincerà.-
Sì i valori non sono in vendita,effettivamente...
Giacomo

Anonimo ha detto...

C’è un partito che nell’ultimo decennio ha governato un quarto del Paese, ha prodotto una classe dirigente spesso giovane e competente ed è persino riuscito a sopravvivere alle proprie cattive maniere. Quel partito è la Lega e potrebbe diventare il motore riformatore del governo Berlusconi, se solo arriverà a completare il cammino di trasformazione avviato in questi anni. Dietro lo schermo del cabaret celtico e delle grida di secessione, Umberto Bossi è riuscito a dare solidità ad un movimento politico ormai lontano dalla rappresentazione zotica e valligiana a cui troppe volte ci siamo affidati.

Sempre più simile ad una Democrazia cristiana del Nord anche per la dimensione dei consensi che raccoglie in tre grandi regioni (e giustamente Stefano Folli rimandava ieri sul Sole-24 Ore all’esempio della Csu bavarese), la Lega si compone di anime diverse e conflittuali che Bossi ha tenuto insieme con un mix tra pugno di ferro, mitologia della resurrezione e scuola di buona amministrazione locale.

Ha tenuto la componente chiassosa e razzista insieme con quella pragmatica e moderata guidata da Roberto Maroni, i reduci della Guardia Padana accanto alla schiera dei circa duecento sindaci in gran parte quarantenni, la vecchia guardia insurrezionale insieme con il gruppo parlamentare più giovane della legislatura appena conclusa. Un partito che nel corso degli anni si è fatto sempre più articolato, presentandosi in molte realtà con il volto rassicurante di giovani preparati (come quello del leader piemontese Roberto Cota) che da domani potranno avere ancora più spazio nell’agone nazionale. La Lega è dunque approdata allo status di forza responsabile di governo?

Dipenderà da come verranno espresse in Parlamento e metabolizzate dalla nuova stagione berlusconiana le domande che vengono dal suo elettorato, anch’esse molto diverse dal passato. Se queste elezioni hanno brutalmente semplificato il quadro parlamentare, il voto leghista è portatore di una ulteriore carica di semplificazione politica. Filtrate dalla stagione del governo debole e dell’antipolitica, le sue richieste si sono fatte più concrete e meno sovversive. Quali servizi e quali infrastrutture per le tasse che paghiamo? Chi risponde dei fallimenti della burocrazia e dell’amministrazione pubblica? Chi difende i miei interessi di cittadino?

Domande crude, lontane dalla correttezza politica e dal bon ton consociativo in cui si sono impantanati i progetti riformatori dell’ultimo quindicennio (compreso l’ultimo governo Berlusconi). Domande alimentate da una voracità democratica e radicale a cui la leadership della Lega dovrà rispondere: accantonando definitivamente il teatro secessionista che l’ha resa celebre e traducendo in concreti atti politici la richiesta di innovazione che viene dal suo elettorato. Nonostante la semplificazione parlamentare, la nuova maggioranza di governo contiene al proprio interno idee assai diverse sull’opportunità e la profondità delle riforme da introdurre nel Paese. Tra lo statalismo di An e il liberismo spesso solo propagandistico di Forza Italia, la Lega potrebbe rivelarsi il reagente indispensabile ad una vera stagione di rinnovamento. In fondo è quello che chiede il suo elettorato, nel quale si sono trasferiti consensi provenienti da tradizioni politiche anche molto distanti (come ci racconta il voto operaio che Bossi ha raccolto in misura assai più rilevante che in passato). Come accade in politica, quei consensi non sono per sempre e potrebbero facilmente volatilizzarsi se la Lega scegliesse la strada antica e priva di sbocchi del folklore invece di quella suggerita dai nuovi «spiriti animali» che le hanno restituito forza e visibilità

Andrea Romano su la Stampa

Il Geco ha detto...

Tutto vero. Però ho l'impressione che la crescita della Lega sia dovuta anche al fatto che un certo elettore di Destra - contrario a dare il proprio voto a Berlusconi e non volendo disperdere il medesimo - con il partito unico FI-AN non aveva a disposizione che la Lega.

cassinolazio ha detto...

Ad ogni elezione abbiamo assistito al boom di un ( o più partiti) che è riuscito a comprendere le ragioni e le attese, in qualche caso non confessate, di una parte degli elettori. E' capitato ai radicali, a rifondazione comunista eccetera. Certamente la lega con il problema degli immigrati, delle tasse ingiuste di Roma ladrona del celodurismo eccetera, ha ormai acquisito diritto di cittadinanza in una buona parte dell'elettorato, soprattutto del nord. Il problema, come al solito, è far diventare questo consensus in atti politici coerenti e che stiano in piedi. Vera la scuola di politici, ma non ci ricordiamo il sindaco di Treviso, l'ampolla sul Po, i fucili da imbracciare, quella grande attrice di Irene Pivetti come terza carica dello stato. Vero che con gli strappi si avanza, ma vero anche con gli strappi qualche volta si rompe. Tutto qui. Per il resto grande conforto: mi sento giovane, vedendo gli anni del Berlusca, di Napolitano eccetera. E vai! qualche speranza per il futuro!!

Nautilus ha detto...

Le analisi corrette, le uniche, sono quelle degli istituti di statistica, almeno quando evitano (come a questo giro) di cadere nel trappolone degli exit poll.

Quest'anno le analisi dei flussi elettorali hanno detto che il voto alla Lega proviene un po' da varie parti, in particolare ex astensionisti, frattaglie della sinistra comunista, una piccola quota da Forza Italia e un 30% da AN. Il resto sono chiacchiere.

I commentatori politici, in questo Paese, ci capiscono poco, dovrebbero occuparsi di leggere i dati, comprenderli e tradurli, mediante la formalizzazione del linguaggio scritto e parlato, in una attenta descrizione della realtà. Ma, quasi sempre, ci dicono e scrivono quello che la realtà vorrebbero che fosse. È gente che si occupa dei loro desideri e di quelli dei loro editori e mandanti politici, non di noi.

Il boom della Lega non è altro che un ritorno ai livelli del passato, anzi, a ben guardare, abbiamo avuto percentuali anche più alte. Caso mai la novità è che queste quote, oggi sono state raggiunte all'interno di una coalizione, mentre ieri le si otteneva quando correvamo da soli.

I dati dicono anche che il PD ha fatto un ottimo risultato se pensiamo che ha preso molti più voti della somma di DS e Margherita. Non sembra bello dirlo di fronte alla vittoria di Berlusconi, ma questa è al realtà.

Comprendere la Lega significa anche capirne i riti e capire che eliminare quei riti equivale a eliminare la Lega stessa. Chi invoca la rinuncia alla secessione o l'abbandono dei raduni sul Po e di Pontida, probabilmente non ci è mai stato e non immagina l'atmosfera che se ne respira.

Essere cittadini forti e consapevoli significa riprendere in mano i libri di Storia, capire quel che è successo realmente; significa cominciare a smettere di vergognarsi di parlare di secessione, significa tornare a nutrire il proprio orgoglio, sfuggire alla tenaglia di questo giornalismo spazzatura che smussa, ovatta e uniforma tutto; significa assumere atteggiamenti critici verso l'homo economicus, la globalizzazione, le multinazionali e tutto quel che sappiamo. Ci vuole coraggio, ma ne vale la pena. Il coraggio che, per esempio, ha avuto Tremonti nella prima parte del suo ultimo libro.

Non c'è un solo dirigente leghista che rinuncerà mai alla secessione, compreso il mite Maroni, che in passato ha avuto qualche sbandamento.

Capire la Lega vuol dire prima di tutto capire Bossi, magari leggere quel che ha scritto in passato o quel che di lui ha scritto un grande giornalista, scomparso giovane e purtroppo dimenticato: Daniele Vimercati.

TheSteve ha detto...

L'Italia è il paese della mistificazione ipocrita della realtà. La realtà è che la Lega ha sempre fatto e continua a fare paura: ai politici, alle istituzioni, a Roma (in senso lato, per tutto quello che Roma rappresenta). Il popolo bue per vent'anni ha creduto alla favola del nord razzista e della sinistra solidale e pacifista, divulgata ad arte attraverso le linee editoriali dettate dai partiti "romani". La realtà è che oggi a parlare è la storia degli ultimi vent'anni, storia che brucia sulla pelle, e quando la pelle brucia anche il popolo bue smette di credere alle favole. La storia dirà.

Nautilus ha detto...

Ci dipingono come folklore, da vent'anni almeno. Fa parte del trucco, ma i trucchi durano poco, lo diceva bene il grande Hemingway ("si può ingannare tanta gente per breve tempo o poca gente per lungo tempo, ma non si potrà mai ingannare tanta gente per lungo tempo"; una delle frasi preferite di Bossi).

Io sono per la pace, per l'ambiente, per l'ecologia, per la sperimentazione scientifica; sono contrario alle grandi ideologie (Comunismo, Fascismo, Islam, Cristianesimo), e alcuni di questi temi sono in contrasto con il mio movimento, ma prima di tutto sono lombardo. Quel che non si è capito fin qui è che noi non siamo classe, noi siamo luogo.