21 aprile 2008

Ecco come va affrontata "l'altra casta", quella dei sindacati

Il governo Berlusconi – al pari di tutte le compagini di centro destra - ha un problema visibile con i sindacati. Deve scoprire al più presto quale sarà la linea di condotta delle grandi confederazioni dei lavoratori e della Confindustria (dove è in arrivo il nuovo gruppo dirigente dopo la gestione - disastrosa ed orientata a sinistra - di Luca Cordero di Montezemolo).
A un governo moderato, in Italia, non è sufficiente vincere le elezioni. Deve mettere in conto l’opposizione pregiudiziale della Cgil (la Vecchia Guardia dei Napoleoni della gauche) con gli effetti di trascinamento sulle altre organizzazioni (soprattutto in anni, come quelli appena trascorsi, in cui la Confindustria aveva una sola idea forte riassumibile nello slogan "mai senza la Cgil").
Tanto vale, allora, intraprendere subito la seconda fase della battaglia verso l’obiettivo della possibilità di governare. Come fare? Il governo dovrebbe promuovere direttamente un confronto con le parti sociali, mettendo a disposizione delle loro richieste (sgravi fiscali sulle retribuzioni, riduzione della tassazione sulle imprese) l’ammontare del "tesoretto" (una volta verificatene l’esistenza e la consistenza senza creare problemi ai conti pubblici) ad una precisa condizione: che entro 40 giorni le parti fossero capaci di avviare e concludere un negoziato sulla riforma degli assetti contrattuali, orientato a valorizzare il più possibile gli elementi della retribuzione collegati alla produttività e la contrattazione decentrata.
Sarebbe questo un tentativo di giocare di anticipo, fornendo un quadro stabile e solido all’iniziativa e al ruolo delle componenti più ragionevoli e meno strumentalizzabili tra le organizzazioni sindacali, mettendo nel contempo alla prova la nuova presidenza di viale dell’Astronomia. In fondo, il punto più alto dell’iniziativa politica dell’ultimo governo Berlusconi fu la stipula del Patto per l’Italia del luglio del 2002. Ecco perché sarebbe importante che al Dicastero del Welfare (di nuovo ricostruito dopo lo ‘spezzatino’ partitocratrico voluto da Prodi) andasse una personalità competente, magari lo stesso Roberto Maroni o uno di coloro che furono al suo fianco nella trascorsa legislatura e portarono a compimento, in quel ministero, talune delle riforme grazie alle quali quell’esperienza governativa merita di essere ricordata.
Per Silvio Berlusconi il seguire queste indicazioni non entrerebbe in contraddizione con l’esigenza di onorare, al più presto, alcuni degli impegni assunti in campagna elettorale allo scopo di non disperdere il clima di "luna di miele" instaurato con i cittadini. Certo non aiuta un disegno siffatto l’analisi, tardiva e sopra le righe, compiuta da un "uscente" Luca Cordero di Montezemolo, a proposito della rappresentatività delle confederazioni sindacali. La battuta di LCdM ha suscitato la reazione dei vertici di Cgil, Cisl e Uil.
I leader sindacali dovrebbero smetterla di reagire come una divinità pagana offesa ogni volta che qualcuno si permette di svelare i vizi delle loro organizzazioni (si veda il tono indispettito e arrogante con cui è stato accolto il saggio "L’altra casta" nel quale Stefano Livadiotti mette a nudo i privilegi e le zone franche del potere sindacale). Ma le critiche di Luca Cordero di Montezemolo (LCdM) – giunte ormai in zona Cesarini di un mandato presidenziale sicuramente discutibile – sembrano parecchio esagerate. Per tanti motivi. Innanzi tutto perché le analisi dei cambiamenti sociali e dei loro riflessi sul voto meritano considerazioni più attente. Sarà anche vero, infatti, che gli operai del Nord - anche quelli che in passato facevano convergere i loro suffragi sui partiti di sinistra - hanno votato in gran numero per la Lega. Ma non hanno stracciato la tessera delle confederazioni storiche per iscriversi in massa al Sin.Pa. (il sindacato padano che resta un’organizzazione tuttora minoritaria nei posti di lavoro).
Certo, con i "chiari di luna" che si sono visti il 13 e il 14 di aprile diventerà sempre più difficile – anche per la stessa Cgil – usare per fini politici (condurre un’opposizione strumentale al governo Berlusconi) la forza, le prerogative e i mezzi dell’iniziativa sindacale. Purtroppo, i dirigenti confederali dimostrano di non aver capito la lezione e di voler portare avanti i loro cascami ideologici piuttosto che le aspettative dei lavoratori.
Per una ricorrente vocazione all’autolesionismo stanno criticando le proposte del governo riguardanti l’abolizione dell’Ici e la detassazione del lavoro straordinario nonostante che si tratti di misure molto popolari tra i lavoratori e i cittadini meno abbienti.
Alla base di questi "mal di pancia" stanno dei residui pregiudizi ideologici nei confronti dei "proprietari immobiliari" (anche se sono titolari soltanto della casa in cui dimorano con la famiglia, avendola acquistata con tanti sacrifici) e di coloro che non si tirano indietro se è necessario lavorare di più. Detassare il lavoro straordinario (l’operazione riguarda poco più del 5% del totale delle ore lavorate) non comporta assolutamente il superamento dei limiti quantitativi posti dalla legge e dai contratti a tutela dell’integrità fisica del lavoratore.
Non si comprende, pertanto, per quali motivi il prossimo governo non dovrebbe dar corso ad un impegno elettorale più volte ribadito, dopo che – in modo corretto – proprio ieri i ministri uscenti Damiano e Padoa Schioppa hanno varato il decreto interministeriale chiamato a sperimentare (è prevista una copertura di 150milioni di euro) le agevolazioni fiscali sul salario variabile di cui al protocollo del 23 luglio scorso e alla legge attuativa (l. n.247/2007).
I sindacati devono sicuramente essere coinvolti nelle scelte che riguardano i lavoratori. Se non vogliono, tuttavia, continuare ad essere i "professionisti del veto" (è questa la critica di Montezemolo) i dirigenti sindacali devono capire che taluni cambiamenti sono ormai ineludibili. Al presidente della Confindustria, però, sarà il caso di ricordare che qualche responsabilità sullo stallo delle relazioni industriali grava pure sul vertice di viale dell’Astronomia. Fin dall’inizio del suo mandato la linea di condotta di LCdM è stata chiaramente protesa a ripristinare e a mantenere un rapporto con la Cgil, nutrendo ed allevando, in tale maniera, i principali "professionisti del veto".

Giuliano Cazzola, su L'Opinione

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Indubbiamente,leggendo L'altra casta,si rimane con un senso di nausea per gli eccessi che vengono perpetrati nella pubblioca amministrazione ed in settori protetti come quelle dei trasporti o - prima - delle telecomunicazioni.-
Tremonti ha dichiarato recentemente che non si può governare contro il paese ed é giusto.-
I sindacati però non rappresentano tutto il paese,hanno la delega e la rappresentanza dei ceti lavorativi che sono protetti e tutelati che non sono maggioranza.-
Per rimuovere molte delle incrostazioni nel campo sociale ed economico qualche callo bisona pur pestarlo e qualche privilegio rimuoverlo.-.
Il mandato elettorale,almeno nelle sue dimensioni,é chiaro;se si agirà con lucidità e mettendo in testa l'interesse generale credo che l'opinione pubblica capirà e l'intendenza-come recentemente diceva il cavaliere parafrasando Napoleone - seguirà.-
Aspettiamo e vediamo convinto come sono che al pari delle aziende le cose importanti o si fanno nei primi cento giorni(per la politica diamo un aiutino e facciamo sei mesi)o non si fanno più.-
Giacomo

Anonimo ha detto...

Giuliano Cazzola,ex sindacalista, ora analista apprezzabile del movimento sindacale, qui secondo me si fa prendere dai sentimenti di gioventù e si immagina un sindacato che non c'è più. Un sindacato capace di fare strategia, con solidi radici rappresentative, pronto nel cogliere il sentito più profondo dei suoi iscritti.
Se tali fossero le condizioni, avebbe un senso una trattativa sui modelli contrattuali con premio finale in cui operai ed impiegati riconoscessero benefici salariali reali.
Al contrario dagli anni 80 quando il sindacato si spaccò sulle modernizzazioni di Craxi ed in seguito quando divenne la forza d'urto anti berlusconiana di una sinistra imborghesita e svirilizzata, il movimento sindacale ha progessivamente cessato di capire i lavoratori, come forza complessiva e poliforme, per rifugiarsi in battaglie sempre più settoriali, più stereotipate. Cresceva nel frattempo il peso delle sue burocrazie, la valenza dei suoi business finanziari gestiti da una miriade di ramificazioni secondarie, la dispersione nella teoria del sindacato dei cittadini nel tentativo di occupare spazi interclassisiti in contraddizione con la filosofia classista del movimento operaio.
Il risultato oggi è lo stanco rituale di questi mandarini del potere atoreferenziale, sconosciuti negli uffici e nelle fabbriche, ove da almeno due generazioni non riescono a raccogliere nè iscritti, nè consensi.
Se questa nuova edizione del Berlusconi pensiero vorrà procedere agli ammodernamenti essenziali per fare uscire il paese dalla palude in cui è intrappolato, tutto dovrà fare meno che avviare stanchi e defatiganti cerimoniali e trattative consociative.
Se ne è accorto, tardivamente, persino LCDM, che con questi sindacati è sempre e solo tempo di veti.
Si proceda coraggiosamente a politiche di detassazione individuale che facciano comprendere agli individui-lavoratori che si è voltata pagina.
Gli accordi-quadro, le festose tavolate al ministero di 200 sindacalisti, le interviste televisive ai capi-popolo, le adunate dei pensionati in viaggio premio, ormai non dicono più nulla al popolo lavoratore che non di folclore e rituali vive ma di problemi di sopravvivenza a cui qualcuno deve finalmente pensare seriamente.
danielone