01 ottobre 2011

Banca Popolare di Milano: una nobile decaduta

Sono riluttante a scrivere di Bpm. Troppe emozioni, troppi ricordi, troppe ferite appena rimarginate.
Ma l'odissea della sua governance, come si usa dire oggi, merita qualche modestissimo commento.
La peculiarità delle società cooperative è il voto capitario in assemblea. Conta il libro soci, non le azioni possedute. È certamente un concetto che sa di socialismo ottocentesco e di sana cultura mazziniana, ma funziona egregiamente, checché ne pensi Draghi, a precise condizioni.
1) La sfera decisionale dei manager, del consiglio di amministrazione e delle rappresentanze dei soci si riconosca reciprocamente totale autonomia nell'ambito delle specifiche competenze.
2) La banca sappia esprimere una redditività ed un'efficienza operativa di buon livello.
3) Il Consiglio di amministrazione sia la proiezione delle migliori istanze economico-culturali del territorio di riferimento.
Questa è l'unica "velina" che ha diritto di cittadinanza in una cooperativa e che ha ispirato per decenni i delicati equilibri e rapporti della Bpm, che fu negli anni '80 fra le prime otto banche italiane e, fra le popolari, seconda per dimensione alla Novara ma prima per efficienza gestionale (negli anni '90 vinse l'oscar del più trasparente bilancio bancario).
Sono passati quattro lustri e sono arrivate nuove generazioni di soci-cooperatori, che forse non hanno saputo distinguere il possibile dal passibile e si sono inebriati nel gioco del potere, senza l'umiltà di studiare la storia e senza la consapevolezza che una banca non è un consiglio comunale e che gli errori nessuno li ripiana. I consigli si sono sbiaditi qualitativamente e la gestione è stata a uomini di cultura finanziaria certo poco sensibile alle connotazioni storiche di una cooperativa forte e radicata sul proprio territorio e della cultura media dei livelli manageriali interni.
Ci si sono messe le crisi sistemiche e globali, certamente, ma da quelle ci si difende meglio se si è se stessi e non si scimmiottano improbabili modelli gestionali.
Si è dispersa una bella cultura bancaria, forse ruspante, ma genuinamente vicina alle esigenze del territorio; si sono fatte prove di grandeur espansionistica che hanno dilapidato il patrimonio aziendale e trovata impreparata la banca a dimensioni troppo dilatate.
Questa la mia analisi, discutibile, ma questo percorso introspettivo sarebbe stato bene che tutti gli attori in campo lo avessero fatto prima di esercitarsi in formulette statutarie che paiono pensate più per conservare lo sbagliato che non per recuperare l'originario spirito e il consenso e la solidarietà della clientela e del territorio.

30 settembre 2011

Nell'intervallo, una morbidella farcita di marmellata fatta in casa

Siamo agli sgoccioli di un settembre estivo come non se ne ricordano, ma la politica non ha cambiato spartito, sempre arroventata e vuota di contenuti propositivi. Da un lato un governo inesorabilmente infiacchito, con una maggioranza che non crede più al dovere di governare e si riposiziona per la conta elettorale prossima a venire; dall'altra un'opposizione con l'elettroencefalogramma piatto, che sa solo gridare terribili anatemi contro Berlusconi, ma dopo due anni non ha ancora detto quale sarebbe la sua ricetta di governo per toglierci dalle sabbie mobili.
Se la cultura di comando è la medesima del governo municipale di Milano della strampalata coalizione di Pisapia e del rancoroso Tabacci, viene francamente da rabbrividire.
Tutto finirà in vacca? No, tranquilli! È come ce lo spiega, in un arguto fondo di oggi sul Giornale, Marcello Veneziani.

Alla fine per stanchezza verrà Casini
(di Marcello Veneziani, su Il Giornale del 30/09/2011)

Dopo Berlusconi prevedo Casini. Mi azzardo a fare una previsione, anzi una profezia. Nella sfera di vetro ho visto il faccino di Pierferdy. Dopo il diluvio verrà la pioggerellina. Quando si tira troppo la corda alla fine si spezza, non scappa il morto ma scappano spaventati i presenti. Si accendono le luci in sala e arriva l'intervallo con i popcorn. Casini è la tregua tra due film. Casini delude tutti ma in modo tenuo ed equilibrato. Casini non entusiasma nessuno ma non dispiace a nessuno. Casini rassicura, non suscita gli amori e gli odi di Berlusconi e degli anti, ed è pure munito di conforti religiosi. Alla fine verrà Casini perché le guerre civili cercano poi la pace domestica. Perché disfatte le case della libertà, si torna ai palazzinari ed ai loro congiunti. Perché prima o poi tornano le mezze stagioni. Perché da noi anche nella scienza trionfano i neutrini. Perché dopo le erezioni viene la mosceria. Perché quando ci vogliamo divagare dopo una giornata intensa, andiamo in centro. Perché quando vogliamo addormentarci prendiamo il bromuro democristiano. Casini è l'ultimo prodotto dell'antica farmacia del Corso, è la camomilla parrocchiale. Magari non dice granché,non eccelle, non ha mai governato, ma ci fa riposare. L'Italia è il paese dell'acqua né liscia né gasata ma lievemente frizzante; l'Italia cerca sempre una via di mezzo tra Roma e Milano, alla fine ci si incontra a Bologna. Infine perché Casini è il peluche che ci lasciò mamma Dc quando morì, per farci compagnia la notte al buio.

26 agosto 2011

Giornale di bordo del 26 Agosto

Appello a Via Bellerio.
Chiudete in un convento di clausura Calderoli!
Per quanto scassata sia la politica italiana, risparmiateci almeno questo Tecoppa delle Orobie. L'ultima esternazione sulle pensioni di reversibilità è miserevole ed indegna e dimostra una insensibilità sociale inammissibile.
Invito gli amici alla lettura molto istruttiva e condivisibile dell'articolo di Giorgio Fedel sul Corriere a pag. 45 intitolato: "Perché manca una morale civica".
La chiusa è giustamente sconfortata sulla capacità di inventarsi un collante che tenga unita questa sgangherata comunità.
La retorica della patria, al di fuori del contesto liberal-risorgimentale corrotto dal fascismo, non ha retto l'usura degli anni e degli eventi ed il tentativo di riportarla in vita degli ultimi due Presidenti della Repubblica è caduto nell'indifferenza popolare, se mai è solo servito ad alimentare la stanca creatività dei markettari della pubblicità.
Cosa ci resta? Forse la riscoperta delle comuni radici cattoliche potrebbe essere l'avvio di una consapevolezza unitaria che la politica oggi non sa più promuovere.

20 agosto 2011

Borse e stregoneria

C’è chi sta facendo e farà ottimi affari, approfittando di Borse che offrono prezzi sempre più bassi. Fra quanti possono gioire non rientrano i governi (mica solo il nostro), perché impotenti. I giornali titolano sui miliardi che vengono “bruciati”, vale a dire persi per colpa dei ribassi. La cosa non è del tutto ragionevole, perché avrebbero dovuto far titoloni anche sui miliardi che furono “creati”, quando gli indici sono stati improntati, per lungo tempo, al bello o al sereno. Il fatto è che quegli strilli non avrebbero attirato un gran interesse, perché è difficile credere che la ricchezza possa essere inventata e, comunque, la gente che cammina per la strada ed entra al supermercato non coglie il nesso fra i gloriosi rialzi borsistici e lo spessore del proprio borsellino. Un nesso che, al ribasso, vuole invece prepotentemente imporsi.
C’è sempre, quel nesso. Anche gli abitanti del paesello di campagna, che sorbiscono il caffè al circolo e vanno di briscola al tramonto, pur magari non avendo mai investito una lira in Borsa, hanno visto crescere il valore dei propri immobili. È avvenuto anche grazie al fatto che c’era gente disposta a pagare di più per avere un rifugio lontano dalla città. Nei sistemi aperti, la maggiore ricchezza degli uni arricchisce sempre gli altri. La maggiore povertà, di converso, li impoverisce. Ma fino ad un certo punto.
I governi che guardano alle Borse, cercandovi gli auspici per il futuro immediato, sono come i comandanti che interrogavano gli aruspici per sapere della sorte in battaglia: si spera, non del tutto in balia della divinazione. I mercati non sono governati da occulte cabine di regia o da comitati esecutivi di gente cinica e competente. Nella gran parte dei casi, funziona la logica del gregge: battete le mani da una parte e le pecore vanno tutte dall’altra. Ciascun operatore osserva il proprio computer e cerca di reagire in tempo reale, sulla base di modelli matematici, all’andamento della giornata. Siccome i modelli sono simili, va a finire che si muovono all’unisono. Talora provocando disastri, perché un gregge che corre cieco sui tuoi campi te li distrugge, e prega che non siano bisonti e di non trovartici in mezzo. Che loro non sappiano cosa fanno e non ne avessero l’intenzione è, alla fine, irrilevante.
Qualcuno crede di star per assistere ad una crisi del capitalismo. Sbagliato, assisterà alla sua vitalità. Quello che va in scena è l’inciampo della finanza, che crea un tonfo enorme. La finanza può agire da sistema nervoso del capitalismo, indicando quali sono i settori che i mercati considerano promettenti. Ma se lo droghi, un sistema nervoso, lo inganni. E lui, per vendetta, inganna te. Come quelli che prendono l’lsd e si lanciano dalla finestra con l’idea di volare, finendo spiaccicati al suolo. La finanza contemporanea ha veramente fatto credere che si potesse inventare la ricchezza, sicché oggi lascia titolare che la si brucia, ma, in realtà, quel che mangiamo va coltivato, allevato e preparato, quello di cui ci vestiamo va cucito, e anche impreziosito con il bottone del colore giusto. Se, poi, considero ricchezza quel bottone e lo valuto più del cappotto divento ricco e famoso finché dura, dopo di che crollo e faccio crollare, anche perché il cappotto s’usa per il freddo, non per il bottone. Se dico di avere eliminato i rischi, come s’è fatto con i derivati, induco ad andar per mare i non natanti e a far salire in vetta gli obesi. Finiranno annegati e sfracellati, perché non sono stati in grado di vedere il rischio.
I governi dovrebbero guardare alle economie reali, sapendo di non potere governare quelle virtuali, che sono, per definizione, sovranazionali e digitali. Il nostro governo non può fare un accidente per la Borsa di Milano, ma può fare molto per la nostra economia. Se gli rimproveriamo i crolli e da Palazzo Chigi si guardano solo gli indici ci prendiamo tutti in giro. Il tema della finanza globale dovrà essere argomento di relazioni internazionali, perché quella macchina, che è importante e deve funzionare, rischia di stritolare tutto. La regolazione della finanza ha oggi un valore pari alla risoluzione delle dispute territoriali: o lo si fa con la diplomazia o finiscono con il parlare le armi (siano essere quelle da fuoco o da speculazione). Nell’attesa c’è moltissimo da fare, ma ha a che vedere con le nostre capacità cognitive e produttive. Insomma, se l’economia s’esaurisce nella finanza (che, lo ripeto, è pur importantissima) sconfina nella stregoneria, e se la politica s’esaurisce nell’inseguire gli speculatori deborda nella totale inutilità.
Il benessere non s’inventa e non si brucia, ce lo si guadagna. Lavorando. Il dovere dei governanti è regolare i mercati in modo che i nostri risparmi non siano divorati da sconosciuti smanettatori con il master, ma anche quello di ricordare che non si diventa miliardari standosene in panciolle e affidandosi a loro.

da: www.DavideGiacalone.it

La buttano in cagnara ma sanno come uscirne

Stiamo assistendo, ma era prevedibile vista la dilatazione dei tempi fra l'annuncio del piano di risanamento e l'inizio del dibattito parlamentare, ad una squallida commedia della politica sugli interventi strutturali (?) per azzerare il deficit corrente dell'Italia entro il 2012.
È bene avere coscienza che la leva maestra è sempre quella delle entrate, come hanno fatto nel tempo ed in situazioni emergenziali dal '92 ad oggi la sinistra, la destra ma anche e soprattutto i governi dei mandarini di stato. La ragione è di una semplicità disarmante: per raccogliere soldi sicuri occorre prelevare laddove le fonti sono note ed accertate.
Inutile dire che pagano i soliti. Sì, pagano e pagheranno sempre i soliti, perché con la lotta all'evasione siamo a zero, sostanzialmente perché gli italiani non credono a questo stato e non sentono il dovere civico, etc. ma sono elettori buoni come gli schedati dal fisco, classici vasi di coccio di manzoniana memoria.
O si ha il coraggio di essere reazionari assolutisti, riservando il diritto di voto a chi contribuisce all'erario, o ci si accetta come siamo in questa finzione di stato in cui viviamo.
Torniamo al dibattito. La sinistra e Casini fanno il loro mestiere negando validità al piano e mettendo in evidenza, giustamente, l'assenza di un qualsivoglia progetto di rilancio dell'economia. Questo governo, o meglio Tremonti che è l'unica testa pensante della compagnia, si comporta come i manager bancari di oggi: dinanzi ad un cambiamento epocale del modo di fare banca non tagliano i costi e rimediano a decennali inefficienze, ma aspettano una ripresa degli spread sempre più lontana nel tempo.
Si afferma che si è disboscato il mondo degli enti locali e quindi si risparmierà moltissimo. Rammento che nel suo piccolo, un governo della prima repubblica fece eguali prospettazioni sulla eliminazione degli enti inutili, che ad anni di distanza sono rimasti in vita magari semplicemente cambiando pelle e finalità sociale.
Figuratevi con i comuni e le provincie, provvedimento già di per sè urticante per la cultura campanilistica degli italiani, ed in fondo ultimo baluardo di democrazia diretta nel nostro paese.
La triste realtà è che in Italia le riforme strutturali non si possono fare, perché la burocrazia, vera padrona del paese, vuole che nulla cambi per perpetuare la sua centralità ed inamovibilità. E gli italiani non sono disposti a fare nessuna rivoluzione, perché di questa burocrazia ci campano in tanti e perché comunque non credono che valga la pena cambiare lo status quo.
Cosa succederà in Parlamento? Poco importa e poco rileva. Chiediamoci invece cosa farà la Bce dopo le nostre abituali e rumorose cagnare.
Io vedo delineata una pesante patrimoniale che Amato, gran maestro di salassi, ha già profetizzato ed auspicato quest'inverno. Quanto ai mega progetti, verranno ripensati in una logica più ampia e sotterrati sino alla prossima recita.

12 agosto 2011

Le società di rating ed i loro portaborse

Dopo mesi di bufera ribassista, alimentata dalle tempestivissime pagelle delle società di rating, al Corriere (giornale dei banchieri e delle anime belle) alla vigilia di ferragosto, quando i quotidiani servono al più per riparare dal sole durante la pennicchella postprandiale sulla sdraio, si rivelano le inquietanti interconnessioni fra le suddette società di rating ed il mondo della finanza, dei fondi americani, degli hedge funds. Molto istruttivo! A pag. 17.
Se si vuole capire qualcosa di più, consiglio però di leggere in materia l'articolo odierno del Fatto quotidiano, che sull'argomento non soffre di reticenze, non essendo imparentato con queste catene di Sant'Antonio del potere globale.
A proposito di parentele. San Draghi non era consulente di una delle tre sorelle all'epoca delle privatizzazioni dei capitani coraggiosi amici di D'Alema?

03 agosto 2011

Tiro alle banche

La borsa di Milano ha una caratteristica unica in Europa. Il comparto dei bancari/finanziari rappresenta oltre il 60 per cento di capitalizzazione dell'intero listino. Ė così intuitivo che la speculazione, spendendo la sua forza d'urto sui bancari, riesca a realizzare due obiettivi essenziali per alimentarsi: deprimere l'indice generale con uno sforzo relativamente basso e tenere viva la sensazione di tracollo non solo sulle banche ma anche su tutti gli aggregati merceologici.
Questa evidenza è misurabile ogni giorno con un confronto fra le principali piazze europee.
Quindi le banche non perché più deboli o meno patrimonializzate delle concorrenti europee, ma semplicemente perché al flipper borsistico danno un maggiore punteggio.
Eppure le ragioni per ritenere relativamente messe meglio le italiane ci sarebbero tutte.
Hanno pagato un prezzo modesto alla deriva dei derivati, salvo casi eccellenti che il buon cuore delle autorità preposte ha amnistiato in istruttoria secondo inveterato vizio nazionale, sono state tutte "costrette" a sostanziosi aumenti di capitale che le costringeranno a darsi dei modelli produttivi più redditizi e hanno, talune, sopportato il peso economico dei tremanti-bond, che è stato un affare solo per il ministero dell'economia, hanno una profittabilità ancora accettabile anche perché gli effetti dei misfatti finanziari sono stati relativamente lievi.
Sono diventate bersaglio grosso perché l'effetto leva del loro arretramento per il listino di Milano è rilevantissimo, come detto.
Credo quindi che non vi sia in atto nessun tentativo di comprare banche a prezzo di realizzo, fatto salvo i casi più disperati che avrebbero comunque pagato pegno in qualsiasi diverso scenario.

31 luglio 2011

Storie di speculazione ribassista nel mercato globale

Seguo lo schema cronologico di Panorama del 20.7.2011.
1) Il 22.4.2011 l'agenzia di rating Moody's abbassa il voto della Grecia.
2) Il gestore di un fondo hedge stabilisce che la crisi greca può indebolire anche i titoli italiani..
3) In maggio il gestore inizia a vendere allo scoperto i titoli di stato italiani (quotati per ipotesi, 98 euro) con l'impegno a consegnarli fra tre mesi.
4) Afondi si accodano ed iniziano a vendere titoli italiani.
5) Il 17 giugno l'agenzia di rating annuncia che potrebbe tagliare il rating sui titoli italiani: il loro prezzo inizia a scendere.
6) I titoli di stato su cui ha scommesso il gestore scendono a 95. Il gestore li compra a 95 e li rivende a 98 con un guadagno di 3 euro per titolo.

Non è un caso di scuola, è quanto avvenuto in primavera ed i protagonisti hanno nome e cognome. Moody's non è una sigla inventata ma è una delle tre società che nel mondo dà i voti a tutti: imprese e debiti sovrani . Ogni tanto, poiché è congenitamente afflitta da uno spaventoso conflitto di interessi, prende qualche abbaglio (vedi subprime) o fa silenziose azioni di comparaggio per il mondo della grande finanza in cui affonda le sue radici.
La speculazione ribassista non l'hanno però inventata loro, con il supporto di sofisticatissimi software ed hardware potentissimi. La meccanica operativa è antica come il mondo ed in Italia Ravelli, con fiuto ed esperienza, era il ribassista principe della modesta ed asfittica Borsa di Milano.
Cosa c'è ora di diverso? L'economia globalizzata per le sue interdipendenze consente di ripetere il copione all'infinito senza tregua.
Il potere di analisi e decisione è passato dall'uomo ai sistemi informatici. Si possono governare grandi masse di eventi ma l'automatismo dei provvedimenti cosiddetti stop-loss rende disastrosi i cosiddetti effetti collaterali, trasformando dei fenomeni per definizione ciclici in crisi
planetarie e permanenti.
I governi del mondo assistono inerti a questo diabolico marchingegno che rende ricchi solo i cento padroni del mondo, siano essi non più solo i grandi finanzieri americani ma anche gli sceicchi arabi o gli oligarchi russi e cinesi. La politica gioca di rimessa rammendando la tela dell'economia reale sempre più logora ed attaccabile. Certo vi sono grandi errori sullo sfondo, il primo definitivo dei quali è stato pensare di potere assicurare un relativo benessere all'occidente con lavoro decrescente e sfruttamento inalterato del sud del mondo. Anche questa una strategia speculativa che prima dell'economia la storia ha sconfitto.
Ha un senso tutto ciò? O è semplicemente un'accelerazione della corsa che porterà l'umanità all'autodistruzione?

30 luglio 2011

Social network

Scrive (e sottoscrivo) Vittorio Feltri su il Giornale: "YouTube, la piazzetta preferita e maggiormente frequentata dai nuovi cretini e dai volontari del precariato, due categorie perfettamente fungibili".
Il giudizio politico sul precariato è di pancia e persino irriverente per un dramma sociale che investe il presente ed il futuro del mondo occidentale, specie nella certa prospettiva della fine del generoso e folle welfare italiano, ma su Youtube basta a confermarne la sprezzante definizione andare a vedere i filmati più cliccati.
Andate. Deprimente, ma istruttivo.

28 luglio 2011

Salentu: lu sule, lu mare, lu ientu

Prosegue una vacanza serena ed in cui mi sento totalmente a mio agio.
Tempo splendido, caldo ma temperato dalle brezze, mare trasparente, fondali bassi per i nuotatori da "si tocca?", come io sono.
Poi la scoperta dell'umanità, del dialetto, della cultura gastronomica ed enologica.
Un caleidoscopio di attimi, di sensazioni, di curiosità che la gente non respinge ma cortesemente asseconda.
Qualche annotazione.
I bambini, tanti, chi belli e chi obesi proprio come saranno da adulti, mediamente meno chiassosi ed isterici di quelli di città, guardati a vista da genitori che incutono loro un quieto rispetto e dai fratelli/sorelle maggiori. Perché qui le famiglie sono numerose ma non tribù, la media è ben oltre i due.
I ragazzi si sposano giovani ed il progetto-famiglia è ancora fra i loro obiettivi di vita.
Sembra poco ma per una comunità dinamica che vuole tramandarsi questo è tutto.
Non credo che le condizioni di sopravvivenza economica qui siano migliori che nelle aree post industriale: anzi, il tasso di emigrazione temporanea verso il Nord Europa è elevato.
Ma i riti e le costumanze qui si mantengono, e qui soprattutto si torna per le ferie o per sempre quando i risparmi consentono di avviare un'attività od integrare una pensione.
E' una connotazione di tutta la gente di Puglia, come ben sappiamo a Milano, la seconda città pugliese per abitanti dopo Bari.
Tornando alla famiglia, non senti mamme chiamare i loro figli gioia, amore e tesoro come siamo abituati a sentire noi.
I figli non sono generiche astrazioni, e se l'hai battezzato Nicola così lo devi e lo vuoi chiamare.
Se hai l'uzzolo malsano di adorare i nomi Luna, Asia o paccottiglia simile che le mode marchettare suggeriscono, o anche il solo passaparola in ufficio o in fabbrica, ti prendi un cane e così lo chiami perché né la chiesa né l'anagrafe te lo acconsentirebbero. Gli effetti nefasti della televisione spazzatura incidono anche qui, ma la tradizione e la famiglia sono ancora un'inaffondabile argine all'ignoranza dilagante.
Sembrano sciocchezze ma è civiltà tramandata e rispetto per un esserino che da adulto si sentirà affibbiare tanti nomignoli, fra cui a Milano "pirla" il più probabile e frequente.

22 luglio 2011

Uscire dal silenzio

In ferie, in una terra incredibilmente stupenda ed amica: il Salento.
Ritorna anche la voglia di scribacchiare qualcosa o magari, più ambiziosamente come mi sollecita Stefano, rivisitare gli spazi e le persone del mio lungo sentiero umano.
Verrebbe voglia anche di impegnarsi in più elevate riflessioni per cercare di verificare con se stesso cosa si è capito dell'unico target che conta veramente nella vita.
Per ora, l'impresa è ritrovare la voglia di raccontarsi qualcosa e di trasferirlo a quei pochi pazienti lettori che mi resistono. Non a quei quattro furfanti che ravanano in vecchi post per lasciare messaggi e siti pornografici. Ravvedetevi! Non parlo alla vostra coscienza, perché non ho sufficiente autorità morale ma al vostro spirito mercantilistico: troppi pochi lettori per sprecare tempo e sterco; credetemi, nella nostra epoca chi non è attento al ritorno è solo un povero pirla o un lenone fallito.

Vediamo cosa è successo di saliente in questi tre mesi.
Berlusconi ed il Pdl cercano di sopravvivere a se stessi ed al partito dei manettari ma l'ossigeno sta finendo, come è giusto dopo 18 anni.
Cosa succederà dopo? Una dittatura dei mandarini di stato appare sempre più probabile, fra gli osanna della stampa massonico-borghese ed i sussulti di una sinistra che non c'è più dai tempi di tangentopoli, stranita dalle facili assoluzioni in istruttoria.
Le amministrative a Milano hanno consegnato per la prima volta alla sinistra radicale ed estrema Palazzo Marino. Non è merito di Pisapia, un borghese afflitto da sindromi romantico-rivoluzionarie, ma della rivolta popolare contro il clan Moratti e dell'antipatia naturale che permea la signora Letizia, finalmente ex sindaco, sostenuta sino al suicidio elettorale da Berlusconi, un tempo famoso per sapere interpretare gli umori popolari, ora stordito da Palazzo Grazioli e dalle notti da lupanare.
Rimarrebbe la squallida vicenda Calciopoli e l'ignavia della Federazione calcio.
Ma di questo vale forse la pena parlare in modo più diffuso, per capire come in Italia ci sia sempre un croupier che non solo dà le carte ma decide preventivamente chi deve vincere le partite.

15 aprile 2011

Quelli che in Europa vincono ogni 45 anni

Solo un curvaiolo irriducibile e gli indecenti parolai di Sky potevano illudersi, ed illudere il mondo, che l'Inter avrebbe ribaltato in Germania il 5 a 2 casalingo contro una squadretta che, peraltro, nel suo campionato veleggia nella parte destra della classifica. Nella settimana fra il 5 ed il 13 abbiamo assistito alla più mendace e fuorviante operazione di marketing calcistico, cui hanno dato un nobile avallo il proprietario dell'Inter Moratti ed il suo finto allenatore Leonardo. Chi ne mastica da una vita, sa che nel calcio vi è molta imprevedibilità - ed è il suo fascino - ma una regola è ferrea e infrangibile: se sei atleticamente esaurito non puoi battere undici giovanotti abbastanza scarsi che però corrono 90 minuti. E questa Inter è bollita da almeno un mese.

13 aprile 2011

A Milano il derby Moratti. La lista al caviale di Milly con archistar e registi.

L’ha chiamata «lista dell’aran­cia», ma solo perché le ostriche probabilmente erano finite. Mil­ly Moratti, moglie del presidente dell’Inter, scende in campo con­tro la cognata Letizia e mette in­sieme una squadra così chic che la tribuna d’onore di San Siro, nel giorno del derby, al confronto po­trebbe apparire la mensa dei po­veri. Evidentemente, per sostene­re il candidato della sinistra, ex di Rifondazione comunista, Giulia­no Pisapia, bisogna avere una cer­ta consuetudine ai ricevimenti targati Prada, alle vacanze a Forte dei Marmi o a Crans Montana, al risotto con la foglia d’oro e a quelle inserzioni delle riviste patinate che spacciano un attico di 700 metri quadri in centro a Milano per una «residenza dal sapore bohémien». Bohémien, eccome no, terrazze e verande comprese. L’unico problema è che il comitato elettorale di questa lista ostriche e arancia, per il momento, non ha ancora una sede. E tutti s’interrogano: dove si stabilirà? Da Cova o al Sant Ambroeus? Uno champagne, due tartine (col caviale), patanegra e analcolico eco-drink. Si parte: nella lista Moratti, presentata ieri, si candidano 4 architetti, 3 avvocati, un editore, 4 imprenditori cultural-teatrali, un gastronomo, 2 registi, 2 veterinari, un neurochirurgo, un medico (l’ex deputato Elio Veltri), 2 giornalisti, 2 docenti universitari, un professionista dei media, un comunicatore (la differenza tra professionista dei media e comunicatore? Bah), un fotografo di moda, un’attrice, un musicista e due scienziati fisici (una è Mil-ly, guai a chi ride). Di operai, naturalmente, nemmeno uno, di saldatori e panettieri manco l’ombra. Si capisce: la lista che sostiene la sinistra si può forse mescolare con chi non ha mai sorseggiato nemmeno un cognac a Villa Imbersago? C’è un pensionato, a dir la verità, tal Mario Mosca: probabilmente è capitato lì per caso, avrà sbagliato porta, magari cercava una tabaccheria per il Gratta&Vinci. L’hanno subito messo in lista perché un veterano Inps fa la sua figura, fra il fotografo di lusso e il regista teatrale. O Dio, quant’è chic. Ma il pensionato, per quanto chic, resta un’eccezione. Per entrare nella lista della Milano Cova-Sant Ambroeus e sostenere la sinistra già comunista di Pisapia, in realtà, bisogna avere un conto corrente di famiglia come minimo milionario. Simile a quello di Ada Marchetti Gigli, la docente universitaria che ha studiato a fondo l’organizzazione sindacale dei tipografi e poi (alla faccia dei tipografi) si è sposata un editore, cioè il notaio Piergaetano Marchetti, presidente Rcs: grazie al reddito annuo del marito, che sfiora i 4 milioni di euro, la Marchetti Gigli può permettersi di scrivere sul calendario del popolo, di fare la pasdaran dell’operaismo e di sostenere il compagno Giuliano. Se poi proprio non si ha il portafoglio gonfio, allora, come minimo per essere ammessi nel club di Milly bisogna essere presidenti dell’Accademia di Brera, come Gabriele Mazzotta, editore di prestigiosi libri d’arte, sede in Foro Bonaparte, responsabile di una fondazione che organizza mostre come «L’estetologo Gillo Dorfles e l’avanguardia tradita» oppure «Arte ed eros nel Giappone del periodo Edo». Quando si dice essere vicini ai bisogni della gente, eh? Ma si capisce: quelli della lista Moratti, tutti Sant Ambroeus e Cova, sono di natura molto vicini alla gente. Ne parlano sempre ai bagni Piero in Versilia, ne discutono molto a St. Moritz: come aiutare i cittadini di Milano? Se lo chiede Patrizia Wachter, ex gestore del teatro Ciak, che oggi divide il suo tempo fra Gabriele Salvatores e il Festival di Locarno. Se lo chiede l’artista con studio in via Moscova Donata Almici, che (ci fa sapere) «da sempre dipinge in isolamento per rispetto della severa professione del pittore» e che «si apre alla contemplazione del mare» (da via Moscova? E come fa?). E soprattutto se lo chiede il gastronomo Carlo Fiorani, uno degli autori del Bio-food, quello che propone cibi ad «energia rinnovabile» come l’insalata di pollo piccante alla papaya e cocco e il curry di patate dolci con okra e curcuma. Visti i protagonisti, siamo ansiosi di leggere i programmi della lista arancia e champagne: non è che in via Moscova, visto che ci contemplano il mare, vogliono permettere il transito solo ai pedalò (assai eco-chic)? Non è che penseranno di risolvere il problema del traffico mettendo l’obbligo di circolazione in barca a vela sui Bastioni? E non è che nelle mense scolastiche proporranno menu a base di papaya, cocco, okra e curcuma? Per carità, siamo pronti a tutto, anche al curcuma. La presentazione dell’Armata BrancaMilione del resto è avvenuta in un teatro, e anche questo la dice lunga su come i Milly’s boys siano pronti a dare spettacolo. Fra i candidati vicini allo show, ci sono anche Claudio Trotta, noto per aver organizzato il concerto di Springsteen, il fondatore di Zelig Saturno Brioschi e soprattutto Luca Mangoni, uno che sale sul palco con il gruppo Elio e le Storie Tese e, anziché cantare, si esibisce come Zorro, SuperGiovane, Dottor Stramangone o mille altri travestimenti. Lo chiamano rock demenziale. E, a pensarci bene, è la colonna sonora perfetta per una lista così. da Il Giornale di oggi.

03 aprile 2011

L'Aida è resuscitata?

Mai trarre considerazioni definitive parlando di calcio. Questo verrebbe da dire dopo avere assistito ad un derby ove un Milan incerottato ha travolto gli ectoplasmi di oltre Naviglio. Eppure il dubbio che si sia trattato della magia di una notte, la consapevolezza che il derby è una partita a sè soprattutto sul piano nervoso, che trovare sulla panchina avversaria un bamba come Leonardo capita solo due volte all'anno, induce a rinviare ogni considerazione a metà maggio, a campionato concluso.

31 marzo 2011

Cabaret Berlusconi

L'ineffabile Cav. spende gli ultimi spiccioli della sua presidenza del consiglio in esibizioni di pura arte teatrale. Ieri a Lampedusa ha nell'ordine promesso: liberazione dell'isola in 60 ore dai clandestini, Nobel per la pace, zona franca doganale, casinò, riverniciatura delle case, rimboschimento dell'isola. Non una parola sul domani dell'isola, che si vedrà periodicamente invasa da orde di nuovi poveri attratti dall'Italia perché ventre molle dell'Europa. Per l'oggi il problema si risolve come con lo sporco sotto il tappeto. Via da Lampedusa, trasferimento a Manduria, in Puglia ove è più facile allontanarsi e disperdersi sul territorio. Pronto il Cav. ad atterrare anche là per snocciolare un'altra favola degli specchietti colorati e prendersi applausi e coriandoli.

29 marzo 2011

I cari estinti, di Giampiero Pansa

Da leggere. Per i reduci ed i simpatizzanti della prima repubblica, per gli amanti della politica e dei politici, per capire attraverso quali meccanismi la nostra democrazia è diventata da vent'anni ostaggio dei giustizialisti, consiglio vivamente di leggere questa indispensabile cronaca della politica italiana fra il 1960 ed il 1990. Edizioni Rizzoli, 2010.

20 marzo 2011

Palermo-Milan 1 a 0

Ed anche quest'anno, parafrasando il grandissimo Gianni Brera, l'é morta l'Aida. Grazie geometra di Monza per l'avveduta campagna di rafforzamento di gennaio.

14 marzo 2011

Una lettura utile per i 150 anni

Nel mare agiografico dei pubblicitari e dei politici con la cattiva coscienza, scatenati intorno al succoso osso dell'anniversario dell'unità d'Italia, mi permetto di consigliare un agevole libricino del giornalista ed ex-ambasciatore Sergio Romano:
"Finis Italiae" , Edizioni Le Lettere.
A Milano cercatelo in Galleria alla libreria Rizzoli.

12 marzo 2011

Parliamo del dopo Berlusconi

Cari compagni,

Nel centro destra c’è chi s’illude di poter essere il successore di Silvio Berlusconi, faticando a comprendere che i voti non sono come il fatturato dell’azienda di famiglia e che gli spazi politici vanno interpretati, non ereditati. La cosa più impressionante, però, è che nella trappola sono caduti per primi quelli della sinistra, i quali, quando saranno privati di Berlusconi, non sapranno neanche più di cosa sono la sinistra. Ne è sintomo l’ultima sceneggiata, che segnala un inquietante vuoto mentale: prima raccolgono le firme per chiedere le dimissioni di Berlusconi, poi si accorgono di avere avuto l’appoggio di Pippo, Pluto e Paperino, quindi provvedono a dir lo sproposito dei dieci milioni e, alla fine, non contenti della performance, consegnano il tutto a Gianni Letta. Il significato è chiaro: Silvio, sei tutti noi, salvaci da noi stessi, resisti, dura, rimani, decidi tu cosa fare, altrimenti noi non solo non sappiamo che dire, ma neanche a chi dirlo.

Cari compagni della sinistra, molti di voi sono stati comunisti per l’orrore d’essere stati fascisti, altri per moda, altri ancora perché qualcosa sentivano di dover essere, pur non capendone il perché. La storia vi ha condannato ad essere gettati fra i relitti inguardabili. Le cose che diceste e scriveste paiono anche a voi vergognose, tanto è vero che, a chi ve le rammenta, non sapete dire altro che: ancora credi all’esistenza dei comunisti? In fondo vi sentite morti, e ne comprendo il dramma. Però, vedete, una democrazia ha bisogno di una sinistra che possa andare al governo, di forze alternative a quelle di maggioranza, che si candidino a far progredire il Paese, non solo a vendicarsi. Vi pare possibile che la sinistra, in Italia, s’incarni in reduci della sconfitta e in adoratori dei governi tecnocratici? Credete pensabile che si possa oscillare fra l’affabulazione vendoliana e il corteggiamento di Mario Monti, passando per un prodotto dell’economia socialistizzata dell’Emilia Romagna, che si esibisce nelle stazioni ferroviarie con cartelloni che non dicono un bel niente?

Fuggire al dialogo sul tema della giustizia è suicida. Il centro destra ha commesso molti errori, alcuni dei quali intollerabili (e qui non abbiamo fatto sconti), ma voi li avete coperti con errori ancora più grandi. Non vi siete accorti che state balbettando, nel mentre chiedono d’arrestare un vostro parlamentare, laddove è solare che non deve essere arrestato? Ricordate che il vostro ultimo governo è caduto per mano delle procure? Siete prigionieri delle vostre paure, della vostra cattiva coscienza e della vostra inconsistenza. Luciano Violante vi ha condotto nei pasticci, ma è anche il più intelligente fra voi, sicché mena ancora le danze, fa il ragionevole, dialoga, poi chiude, il tutto con la vostra parte politica che si limita a pigliar schiaffi e far la faccia di chi li merita.

Pensare di andare al referendum sul nucleare mettendosi dalla parte del più logoro luogocomunismo, pensando d’essere i socialisti degli anni ottanta (fu una delle loro colpe più grandi), anzi, pensando di essere Claudio Martelli, significa qualificarsi come inadatti a governare qualsiasi cosa. Ma non avete imparato? Metteste all’Enel un ecologista, Chicco Testa, che ha cambiato casacca e ora vi dà lezioni. Quanto contate di potere continuare, in questo modo. Per non dire dell’acqua: ma davvero v’apprestate allo sforzo demenziale di far credere che la si privatizzi? Vi comportate da minoranza che vuole restare tale, perché ha paura delle cose che farebbe se divenisse maggioranza. Naturalmente voterete per l’abrogazione del legittimo impedimento, perché almeno in quello vi soccorre la vostra unica bussola: Berlusconi. Ma quando avrete finito di farlo non avrete ottenuto un fico secco, se non di andare a rimorchio di un giustizialista fascistoide. Alla faccia della sinistra!

In attesa che Massimo D’Alema e Walter Veltroni concludano vegliardi il congresso della Federazione Giovanile Comunista, in corso da quaranta anni, stabilendo chi dei due ce l’ha più adattabile, non credete che sia fin troppo chiaro il bisogno di cambiare classe dirigente? Non c’è un solo vincente da salvare, siete agevolati. E se continuate, come a Torino, a cancellare quel che arriva dall’esterno per candidare quel che si crede eterno, diventerete la barzelletta della più grottesca conservazione.

Vi dirò, quel Matteo Renzi (non me ne voglia), se la smette di fare il Jovanotti sinistrato, non è poi male. Ne avete altri? Che il cielo ve li benedica. Metteteli in pista. Il berlusconismo è una stagione durata a lungo e non terminata, cercate di non esserne gli ultimi e patetici alfieri.

da www.DavideGiacalone.it

28 gennaio 2011

Gli eterni gattopardi

Mentre la politica italiana si accanisce sul cadavere di Berlusconi, chi per salvare la seggiola chi per vocazione da mozzaorecchi, mentre la giustizia (cfr. relazione della Cassazione) denuncia il tracollo del sistema con qualche apertura ad analisi meno corporative dell'abituale, gli eterni padri della spesa pubblica, il tristo Amato in prima fila, si apprestano a confezionare un ulteriore scippo ai risparmiatori secondo lo stile e la cultura della sinistra marxista. Una patrimoniale di dimensioni inaudite che avrebbe il falso obiettivo di riportarci sotto la linea del 100 nel rapporto Pil/debito pubblico, ma che in effetti acconsentirebbe di riaprire il portafoglio dello stato, rinviare a mai le riforme strutturali e la modernizzazione della macchina pubblica, creare un clima di effimera euforia dei consumi con cui accativarsi il consenso delle plebi assisistite soprattutto nel Sud.
Questa spogliazione colpirebbe i ceti medi, poiché il grande capitale, alleato storico della sinistra, conosce sistemi e metodi per sfuggire alla tagliola.
Effetti collaterali? Tutti compatibili con l'etica politica della sinistra: fuga dei capitali, sterilizzazione dell'iniziativa privata, ritorno dello statalismo economico.
Sarà interessante seguire il dibattito nei prossimi mesi e vedere come gli araldi della democrazia ma anche della spesa pubblica si muoveranno per fare digerire ad un'opinione pubblica imbesuita dai festini del premier e dallo sdegno mediatico lo scippo del terzo millennio.
Scomettiamo che Casini e Fini (Rutelli è un due di picche) riscopriranno le loro antiche radici stataliste e corporativistiche?

24 gennaio 2011

Ciao, Pino Brumatti

Pino Pino. La gente lo accoglieva così quando il Simmenthal, l’ultima vera Olimpia, andava all’assalto. Noi, piangendo, lo gridiamo ancora adesso che Pino Brumatti se ne è andato a 62 anni e non poteva essere che il cuore, il suo grande cuore, a tradirlo, perché regalava alla gente felicità, ai compagni amicizia vera, al gioco che amava tutta la sua straordinaria forza di goriziano nato per andare sempre all’attacco. Impeto e assalto, ma aveva testa, sapeva sempre dove fermarsi e colpire. Arresto e tiro. Poesia in movimento. Ci è mancato tanto quando il grande basket lo ha costretto ad uscire dalla scena, perché non aveva imparato a mettersi in maschera come piaceva a troppi dirigenti che ci hanno poi portato alla deriva.

di Oscar Eleni, sul blog Indiscreto

21 gennaio 2011

Il nazismo che ci sta comprando

Intervista al professore di storia economica Giulio Sapelli, che diversamente dalla maggioranza dei colleghi è molto interessato al presente e poco al politicamente corretto. Temi liberi: la forza del Brasile, l'argentinizzazione dell'Italia, il parassitismo belga, la sottovalutazione del pericolo cinese, l'ottusità del managerialismo...

Al grande pubblico è noto soprattutto per quel “gnocca senza testa” carpito da Striscia la Notizia e riferito a Rula Jebreal, allora collaboratrice di Santoro. Definizione abrasiva in tempi così politically correct, ma non sorprendente per chi conosce Giulio Sapelli e ne ama lo spirito. Professore di Storia Economica, nonché scrittore, editorialista del Corriere della Sera e con una vita passata in giro per il mondo tra università e aziende come Olivetti, Eni, Telecom. Lo incontriamo nel suo studio alla Fondazione Enrico Mattei di cui è attualmente ricercatore emerito, ad alcuni anni di distanza dall’ultima lezione universitaria a cui avemmo la fortuna di assistere.

La crisi che ancora sta attanagliando i paesi più sviluppati pare non aver toccato i grandi paesi emergenti, i BRIC. In Italia si parla soprattutto di Cina e India meno di Russia che viene menzionata in caso di crisi d’approvvigionamento di gas o per l’amicizia tra Putin e Berlusconi. Ancor meno si parla però del Brasile, la nazione che, nonostante tutto, ci è più vicina culturalmente.
“Il Brasile è sicuramente il più affidabile tra i 4, anche l’India lo è ma in misura minore. Il Brasile è il più stabile innanzitutto perché ha avuto 20 anni di buona politica, partendo dal governo di Cardoso, mio collega a Parigi ai tempi della dittatura militare. Lula ha proseguito in quel solco col vantaggio di non avere alle spalle un partito col 5% come Cardoso, ma del 25%. Un altro vantaggio è che la dittatura, pur essendo sanguinaria, ha avuto anche qualche merito, come la grande spinta data all’industria aeronautica che oggi è tra le migliori al mondo. Lula poi ha istituzionalizzato il movimento dei senza terra, creando una piccola e media borghesia contadina, capendo che così ci si salva dagli effetti nefasti del riversamento di tutte queste persone nei contesti urbani. In più è un grande paese esportatore e ha anche enormi giacimenti petroliferi. Infine sta diventando la forza stabilizzante dell’America Latina.“

Senza dimenticare che fra pochi anni avrà Mondiali di calcio ed Olimpiadi...
“Sì, e il mondo si accorgerà sempre più della grandezza di quel paese, pensiamo per esempio ai suoi architetti... Ma un altro dato fondamentale per capire se uno stato sudamericano ha futuro è vedere se la borghesia crede e investe nel proprio paese, in Brasile ciò avviene al contrario dell’Argentina dove i ricchi portano i soldi a Miami e dove hanno avuto la disgrazia del Peronismo. Basti vedere anche quel che è successo pochi anni fa coi Kirchner che han voluto tassare ancor di più gli esportatori di carne per finanziare la spesa pubblica improduttiva. Nonostante tutti i problemi amo molto l’Argentina e mi piacerebbe trascorrer lì la mia vecchiaia, è un paese di persone straordinarie, di grandi intellettuali, anche del mondo ebraico e c’è un grande vitalismo, come han dimostrato quegli operai che han voluto riaprire le fabbriche dopo il default invece di accontentarsi dell’assegno di disoccupazione. ”

E pensare che a inizio anni ’50 era un paese che aveva un reddito pro capite ai livelli della Francia, ma da quel momento in poi decenni di sostanziale non sviluppo.
“Colpa innanzitutto del peronismo, una vera e propria sifilide, che s’è scontrato con le classi dirigenti del mondo finanziario e contro la borghesia contadina. Oltre a questo ci son stati dei mutamenti negli scambi internazionali che l’hanno svantaggiata. Ed infine il radicalismo, un movimento di stampo socialdemocratico europeo che ha espresso anche un presidente come Alfonsine, non è riuscito a diventare egemone.”

A proposito di Argentina, mi viene in mente l’opinione di Luca Ricolfi sulla situazione italiana che secondo lui sta vivendo “una lenta argentinizzazione” più che un rischio di deriva in stile Cecoslovacchia.
“Il nord e il centro dell’Italia sono una grande colonna della cosiddetta “Germania europea”, cioè di una regione che parte dal cuore manifatturiero del continente e che arriva fino a coprire una parte del nostro territorio. Credo che il federalismo fiscale, soprattutto quello demaniale, farà da apripista alla secessione anche perché è probabile che il sud vada alla deriva, in virtù del non controllo del territorio e della mancanza del monopolio della forza da parte dello stato, però è altrettanto vero che se non si fa il federalismo allora il sud trascina il nord nell’abisso, come dice Ricolfi, e quindi la secessione sarebbe anche salutare. Tutto questo è però un fenomeno che va al di là della Lega Nord nel senso che le nostre identità pre-unitarie son rimaste più forti dell’identità unitaria. Tuttavia va detto che il federalismo storicamente nasce per unire, ma ciò vale nei paesi che nascono federali come Stati Uniti e Germania, non come da noi.”

Un fenomeno che pare essersi messo in moto anche in Belgio.
“Sì, anche lì fiamminghi e valloni son divisi, ma ciò che li tiene assieme, più della monarchia, è quell’idrovora di soldi chiamata Bruxelles, piena di funzionari che non servono a nulla se non a rapinare le tasche degli europei. Prima il Belgio prendeva saprofiticamente dalla colonia congolese, adesso da queste istituzioni europee, però c’è una grossa differenza: i congolesi avevano più dignità.”

Tornando all’argomento Bric, vale la pena parlare dell’ultima lettera, la Cina. é d’accordo con chi sostiene che la democrazia arriverà come conseguenza dell’arricchimento della popolazione o invece sarà il suo modello di capitalismo autoritario a corrompere le democrazie occidentali?

“La Cina è una dittatura che rientra nel grande filone dei regimi comunisti che abbiamo visto nel secolo scorso. In questo momento sono in una fase di N.E.P. (nuova politica economica) di Leniniana memoria, con la “piccola” differenza che quella Unione Sovietica non era un paese di quasi 1,2 miliardi di persone. Ovviamente ci sono delle differenze, e anche in Cina esistono diverse visioni all’interno della sua nomenklatura, però un dato importante è che quella cinese è una dittatura di stampo militare mentre quella bolscevica aveva un carattere misto. L’errore catastrofico, ai tempi dell’era Clinton, è stato quello di farla entrare nel WTO creando così un’asimmetria incredibile che sta distruggendo una parte d’economia dei paesi più avanzati e soprattutto democratici. A me pare che la Cina sia una riedizione dell’Unione Sovietica con tratti di nazismo e quindi sia un pericolo per la civiltà.”

Quasi che l’America abbia creato inconsapevolmente un mostro...
“A me preoccupa molto l’allontanamento degli Stati Uniti dall’Occidente; è significativo che Hillary Clinton il primo viaggio l’abbia fatto in Cina e non in Europa. Un errore strategico loro, ma anche nostro, che si rischia di pagare carissimo. Tuttavia in Cina i conflitti sociali son in aumento nonostante una repressione feroce e credo che non andranno molto lontano: hanno una grande carenza di lavoratori qualificati e le aziende ed il sistema bancario non sono così sani come vogliono far sembrare. Hanno un grande bisogno di know-how e la gran parte delle loro esportazioni è fatta da multinazionali americane ed europee che lavorano lì. Anche le loro statistiche sull’economia secondo me sono false, se fossero vere dovrebbero consumare 5 volte l’energia elettrica che consumano, quindi è un po' difficile discutere in modo scientifico della loro economia. Però sono certamente una grande potenza e rappresentano una nuova forma d’imperialismo in un’area che diventa sempre più importante come l’Asia.”

Secondo diversi economisti la Cina non sta facendo altro che attuare una politica mercantilista tenendo artificialmente basso il cambio dello Yuan.
“Beh, ma è una cosa per niente sorprendente. È uno stratagemma usato per certi versi anche dall’Unione Sovietica che faceva un po' quel che voleva non rendendo convertibile il rublo e manovrando la ricchezza che le derivava dal petrolio incrociando l’andamento del prezzo internazionale del greggio con la rivalutazione del rublo. La vera questione di fondo è che non si vuol fare la guerra contro di loro, 100 anni fa si sarebbe fatta. La grande occasione persa è stata la guerra dell’oppio e lì la Cina sarebbe poi dovuta esser divisa, ma purtroppo le grandi potenze non vollero.”

Quindi non crede ad una Cina non aggressiva...
“No, assolutamente. Io vado spesso in Australia e lì i laburisti, che in fondo sono più anti-cinesi dei conservatori, sono convinti che la Cina vorrà prima o poi invadere l’Australia. Come fecero i giapponesi, d’altronde. I miei critici rispondono che contro Taiwan non hanno fatto nulla, ma solo perché non son ancora pronti... è un dato di fatto poi che si stia sempre più sviluppando un pensiero nazionalista. Credo che il futuro sarà molto interessante.”

Intanto in Africa, la strategia d’insediamento cinese pare avere soppiantato quella americana che legava gli scambi economici a questioni legate a diritti umani e democrazia in quei paesi. Magari non credendoci fino in fondo e forse anche con un po' d’ipocrisia, ma perlomeno dava l’impressione di provarci.
“Beh, se pensiamo che i cinesi esportano addirittura il lavoro forzato dai famosi Laogai... il quadro che ne esce è quella di una potenza coloniale di tipo nuovo che ha all’interno un eccesso di forza lavoro che lo stato sfrutta esportando schiavi per costruire infrastrutture in Africa, per questo parlo di un’economia nazionalsocialista. La Cina non sta che realizzando quello che Hitler voleva fare con gli slavi. La cosa sconvolgente è che di fronte a tutto ciò le classi dirigenti dell’occidente capitalistico e democratico rimangano affascinati.”

A proposito di nazionalsocialismo mi rimase impresso in un suo articolo il conio della definizione di “managerialismo” in cui tracciava una sorta di parallelo con la forma mentis nazista.
“È l’ideologia delle varie Mckinsey, Bain ecc. che propugnano un pensiero piatto senza prospettiva storica, senza complessità, anti- e a-umanistico. La loro visione è la slide di powerpoint al quadrato e le persone trattate come commodities. C’è quindi un abbassamento del livello culturale generale, di cui il managerialismo è parte, che sta infettando la direzione delle grandi imprese e non solo.”.

di Andrea Ferrari, in esclusiva per Indiscreto

20 gennaio 2011

Lo sputtanamento contro il puttanaio, ovvero The End

Il paese del bunga bunga e dei piemme piemme.

Il reato di bunga bunga non esiste. Esiste, invece, l’inviolabilità delle conversazioni private. Esiste nella Costituzione, quella carta fondamentale tanto invocata da chi poi la viola ogni giorno a caratteri di scatola. Il quadro sulla vita privata del premier è da sultanato (copyright Giuliano Ferrara). Non è vita privata, se poi paghiamo lo stipendio a Nicole Minetti. È basso impero, basso alquanto. Anche senza tener conto delle parole di Veronica Berlusconi. Le decennali inchieste sul conto del premier sono da repubblica delle banane. C’è un potere militante e irresponsabile (non risponde a nessuno) che si diverte a sovvertire l’espressione della sovranità popolare, da Berlusconi a Prodi, dalle giunte di destra a quelle di sinistra. Questa tendenza antidemocratica di parte della magistratura italiana è ben più grave di qualsiasi bunga bunga e di qualsiasi reato, ma ovviamente non li giustifica di una virgola. Berlusconi s’è fatto male da solo. La Procura di Milano non c’entra. Sarebbe stato sufficiente non assoldare escort di ogni tipo, per evitare lo sputtanamento a mezzo stampa. Questa è la partita finale tra lo sputtanamento e il puttanaio. L’Italia è questa? Sono convinto che sia piena di né né, né sputtanatori né puttanieri. Ci fosse un’opposizione credibile (Renzi, Veltroni, datevi una mossa) si farebbe un boccone del berlusconismo così mal ridotto. Ma un’opposizione seria non c’è. Il Pd non ha nemmeno il coraggio di chiedere le elezioni. Vuole abbattere Berlusconi al solito modo, con i giudici e con lo sputtanamento totale, non alle urne. Berlusconi dovrebbe staccarsi la spina, lasciare a Tremonti e fare, una volta tanto, lo statista. Dubito che lo farà. Ma è finita. Speriamo che il finale non sia quello immaginato nel film Il Caimano. Speriamo che a sinistra qualcuno provi a rifondare, prima che il vuoto venga colmato da quelli che un tempo si chiamavano poteri forti. Ma lì finiremo.

dal blog Camillo

09 gennaio 2011

Buon anno 2011

Vi auguro sogni a non finire
la voglia furiosa di realizzarne qualcuno
vi auguro di amare ciò che si deve amare
e di dimenticare ciò che si deve dimenticare
vi auguro passioni
vi auguro silenzi
vi auguro il canto degli uccelli al risveglio
e risate di bambini
vi auguro di resistere all'affondamento, all'indifferenza, alle virtù negative della nostra epoca.
Vi auguro soprattutto di essere voi stessi.

Frasi di Jacques Brel

L'Italia del boom

Sono sempre stato convinto che nella mia storia personale, ma credo anche di tutta la mia generazione, l'età dell'oro del nostro Paese sia stato il periodo 1948-1963, quello caratterizzato politicamente dall'alleanza centrista(DC-PRI-PSDI-PLI)
Il buon governo e l'alto profilo dei governanti determinarono le condizioni per quel boom economico dei primi anni Sessanta che diede all'Italia benessere diffuso e una definitiva trasformazione dell'economi da prevalentemente agricola ad industriale, con conseguenti fenomeni di concentrazione urbana al nord e di imponenti fenomeni di migrazione dal sud al nord.
Forse la nostra storia post-unitaria non ha mai vissuto un periodo così tumultuoso e positivo, euforico, con grandi strati della popolazione che migliorarono significativamente il loro stile di vita. Cominciò l'era dei consumi, seppure allora solo essenziali.
La guerra era ormai alle spalle, dimenticata. Eravamo proiettati verso il domani, che allora si chiamava Stati Uniti d'Europa.
In questo mare di ricordi che mi riprometto di sistemizzare, ho voluto fare una ricerca ed un elenco dei benemeriti politici che guidarono l'Italia dalle macerie nelle strade alla 600 per tutti.
Ed anche un riconoscimento doveroso, seppure per me tardivo, del ruolo di guida fondamentale della prima Democrazia Cristiana, della sua avvedutezza politica nell'inventarsi la politica centrista, nella sua fedeltà alla politica liberista con cui Giuseppe Pella, allievo di Luigi Einaudi, improntò la sua azione per quasi un decennio al Ministero del Tesoro.

Fra i Presidenti del Consiglio, l'omaggio ed il record di durata va al padre della repubblica Alcide De Gasperi, che guidò per sette anni il governo, attraverso due legislature (1948-1953 e 1953-1958) e che seppe calibrare la durata dei suoi governi secondo la sapiente cultura democristiana, che per sfamare la bestia politicante ogni 18 mesi faceva fare un giro di sottosegretariato alla truppa (questo il Berlusconi che vuole battere i record di durata non lo ha mai capito, perché non ha cultura politica ma padronale).
Per non tediare: ecco l'elenco degli anni del centrismo.

Presidenti del Consiglio: De Gasperi (7 volte), Zoli, Segni (3), Scelba, Fanfani (4), Pella, Tambroni (governò con un monocolore dal 25/03 al 26/07 del 1960 e si dimise dopo violentissimi scontri di piazza organizzati dal PCI in tutta Italia, a causa delle aperture politiche del suo governo al Msi di Almirante, che lo sosteneva in parlamento).

Ministri del Tesoro: Giuseppe Pella, Silvio Gava, Medici, Tambroni, Taviani (stabilmente verso la fine degli anni Cinquanta).

Ministri delle Finanze: Vanoni, sino alla morte nel dicembre 1956 e poi Andreotti, dopo una lunghissima esperienza di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con De Gasperi e con i suoi successori.

Il poeta del sud dell'esistenza

Nichi, ma che stai a di'?

"Morte, bellezza, dolore. Le tre parole sono sorelle, stanno in qualche maniera dentro una danza vitale: a me riocordano il Dio che danza la vita, e danzare la vita non è un modo per fuggire dalla inquietudine del pensiero della bellezza, dalla drammaticità (che ci rende fratelli e sorelle) dell'esperienza del dolore e dall'incombenza della morte".

Nichi Vendola: "I dilemmi della speranza: un dialogo", Meridiana Editore, pagina 27

da: www.ilfoglio.it/cerazade

08 gennaio 2011

05 gennaio 2011

Batte la mezzanotte del 31 e ritorna Dan

Per un vecchio disilluso dagli sport marchettari del terzo millennio, la notizia che il proprietario dell'Olimpia Basket Armani ha silurato disastro Bucchi è già un bel godere. Ma nulla al confronto dell'entusiasmo per la scelta del sostituto: Dan Peterson, anni 75, pluridecorato vincitore di scudetti, coppe dei campioni etc. sino a 25 anni fa, quando smise la panchina perché non reggeva lo stress agonistico.
È una trovata pubblicitaria? È circonvenzione di incapace? È una lucida follia che può generare miracoli? Certamente è la rivincita dell'anagrafe e questo mi basta ed avanza. È un tuffo nel mare delle sensazioni forti con il sapore dei trionfi europei. È la speranza che il tempo riprenda a battere sui ritmi che imponeva questo grande piccolo uomo alla sua squadra: ardore, forza fisica, carattere di fuoco ed impegno sino all'ultima stilla di sudore. E poi la magica 1-3-1 con Mordente nelle vesti di Premier ed un uomo vero (da trovare sul mercato) che si metta i baffi di Mike. Forza immarcescibile Dan. Comunque vada io torno sugli spalti a gridare!